L’Italia si sta restringendo. A dircelo gli indicatori demografici annuali dell’Istat: per il quinto anno consecutivo il nostro Paese fa registrare un calo di popolazione di 116mila unità in meno rispetto al 2018. L’istituto nazionale di statistica mette in evidenza anche un altro dato importante: per ogni 100 persone che muoiono in Italia ne nascono solo 67, dieci anni fa erano 96. Il tasso di ricambio naturale tra nascite e decessi è il più basso mai espresso dal paese da 102 anni. Dato ancora più preoccupante è la spaccatura dell’Italia, con un Mezzogiorno, tradizionalmente prolifico,  dove si concentra il calo della popolazione, mentre a crescere è la popolazione del Nord, in modo particolare nelle province autonome di Trento e Bolzano, in Lombardia ed Emilia Romagna. 

I numeri non danno scampo: secondo una costante universale  il valore di sostituzione, ovvero il numero di figli necessari a garantire una bilancia demografica in pareggio, è  di 2,1. Se un Paese lo supera la popolazione ha tendenze espansive, se non lo raggiunge si va verso una contrazione demografica. Le statistiche dell’Italia mostrano che il Paese è sceso sotto il tasso di sostituzione nel 1977, e dal 1984 è stabilmente sotto il valore di 1,5, un livello che non solo non evita il declino demografico, ma annuncia quasi certamente che la caduta sarà traumatica.

Questa la fotografia della realtà, oggettivamente disarmante  anche per le conseguenze della crisi demografica, che avranno – sempre di più – un peso determinante sul sistema pensionistico (con la diminuzione della massa dei contribuenti e l’aumento dei beneficiari), sul sistema sanitario  (sostenuto da una popolazione attiva ridotta), sulle dinamiche socio-economiche nel loro complesso (sempre più “frenate”) e sulle relazioni tra le diverse aree del mondo (con un’evidente sproporzione delle nascite tra il nord ed il sud del pianeta).

Sul  “che fare” le indicazioni appaiono  decisamente poco aggressive. Scontati i richiami alle politiche sulla famiglia, alla precarietà lavorativa ed esistenziale, ai servizi insufficienti, al welfare inaccessibile e al disatteso,  da decenni, “Quoziente Famiglia”, cioè il calcolo delle tasse basato sul numero dei figli. Oltre non si va. Soprattutto per “aggredire” le cause “strutturali” del crollo delle nascite. Il tema infatti, ancor più che relativo alle politiche sociali, è antropologico e culturale. 

Il primo dato è la “percezione” della maternità tra le giovani generazioni, figlie del relativismo etico e dell’edonismo, nel nome del “child-free”, che ormai ha contaminato ampi strati della popolazione, facendosi cultura diffusa, luogo comune condiviso. Secondo una ricerca dell’Eurispes, pubblicata nel 2019 (“Soprattutto io. Coppie millenians tra stereotipi, nuovi valori e libertà”), per sette italiani su dieci i figli non sono una condicio sine qua non per essere felici nella vita.   

Oltre i  numeri, oggettivamente allarmanti,  ancora più allarmante è che nessuno sembra volersi fare carico del  problema. Pochi ne parlano. I mass media ne fanno appena cenno. Nessun talk show dedica  attenzione alla crisi demografica. Quando va bene si possono ascoltare le solite, spesso stanche  e ripetitive critiche sulla mancanza di politiche per la famiglia e sulla crisi economica: troppo poco per trasformare in  un caso il crollo delle nascite, creando il necessario allarme nazionale sulle ricadute socio-economiche di tale crollo. 

L’invecchiamento italiano (con un’età media che si aggira intorno ai 44 anni) condiziona infatti  le stesse dinamiche sociali, come confermano gli ultimi cinquant’anni della nostra storia. 

Pensiamo all’Italia degli Sessanta del ‘900 (dove, non a caso il tasso di natalità era doppio rispetto a quello attuale) espressione di un un’energia sociale ed economica, in cui la spinta demografica era un fattore essenziale, una sorta di “investimento” sul futuro che, oggi, purtroppo non si riesce neppure ad immaginare. 

A vincere è l’interesse particolare, il soggettivismo, l’egoismo individuale. A crescere sono le diseguaglianze, con una caduta della coesione sociale e delle strutture intermedie di rappresentanza che l’hanno nel tempo garantita. Siamo insomma al “letargo esistenziale collettivo”. In discussione c’è l’esistenza stessa del nostro Paese: linea piatta per l’Italia senza figli e senza domani. Decisamente una brutta prospettiva. A meno che non si cominci a invertire la tendenza, favorendo la crescita di una nuova cultura dell’accoglienza alla vita e delle politiche in grado di favorirla.  

Di questo bisogna trovare il coraggio di discutere, prendendo consapevolezza delle conseguenze della crisi demografica ed  invitando le forze politiche e le istituzioni a una forte assunzione di responsabilità. Consapevolezza e responsabilità: di questo, alla prova dei fatti, c’è un gran bisogno, ancora prima che degli asili, degli assegni familiari e degli incentivi per le famiglie. Che pure servono, ma non bastano.

8 commenti su “L’Italia si restringe”

  1. e’ SEMPLICEMENTE INDISPENSABILE che le donne ricomincino AD ESSERE MAMME, A FARE LE MAMME, non le donne d’affari, di carriera…..

    1. Pietro Patriarca

      La crisi della famiglia e, di conseguenza, il calo demografico hanno una causa primaria assolutamente determinante: LA FORSENNATA EMANCIPAZIONE DELLA DONNA non solo voluta e tollerata ma perfino stimolata ed incoraggiata! Tutti lo sanno, e devono convenirne per forza, ma nessuno, salvo la sig.ra Paola succitata, brava, che abbia il coraggio di farne cenno e tantomeno di dirlo chiramente. Questa è la cosa grave.
      Pietro

  2. Senza un reddito alla maternita’ è praticamente impossibile invertire la tendenza. Credo che il fondo non si sia ancora toccato. Tra 20 anni il welfare che oggi conosciamo, sarà solo un bel ricordo.

  3. stefano raimondo

    “Culturalmente” sono in sintonia con l’articolo, però vorrei aggiungere alcune cose. L’Italia ha una densità demografica molto alta: siamo più di 60 milioni di abitanti per un territorio di circa 300.000 chilometri quadrati. Per dire, la Spagna, nazione latina e mediterranea come l’Italia. conta 47 milioni di abitanti per un territorio di 500.000 chilometri quadrati. L’Italia, nei secoli, non è mai stata abitata così tanto come adesso, insomma secondo me siamo troppi! Semmai possiamo dire che l’età media dell’italiano si è alzata, questo sì, ma mettersi a figliare come conigli io lo sconsiglio… Inoltre un ulteriore espansione del welfare (per dare “aiuti alla maternità”) non è sostenibile: dove li troviamo questi soldi? Abbiamo già le tasse tra le più alte al mondo e un debito pubblico tra i più alti mondo. Io sono per la famiglia tradizionale (io abolirei anche il divorzio) ma la questione non può essere posta solo in termini demografici di figliolanza, evitiamo piuttosto la cancellazione etnica mediante lo stop agli arrivi di stranieri, è in questo senso che dovremmo agire.

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