Lo Stato malato (di canaglite) del ventunesimo secolo – di Cesaremaria Glori

In questi nostri tempi c’è nel mondo un malato grave. Sono gli Stati Uniti che sono pervenuti ad un tale livello di degrado morale da voler credere che quelli che non si vogliono piegare ai loro intenti di degradazione debbano essere diffidati e marginalizzati.

di Cesaremaria Glori

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z-tsnmI giorni scorsi, apprendendo dalla Rai- TV che l’Italia, in base agli accordi Nato, avrebbe inviato suoi militari alla frontiera lettone, mi sono venuti i brividi. Sta a vedere che ci andiamo ad impelagare in un altro conflitto che non ci interessa affatto e che è nell’aria da un po’ di tempo in qua per la politica aggressiva e sconclusionata che il grande Stato di oltre Atlantico conduce da circa trenta anni, più o meno gli anni che ci separano dall’implosione dell’Unione Sovietica. La crisi statunitense è soprattutto una crisi di dirigenza. Non c’è una linea politica e strategica lineare, chiara e affidabile per i suoi alleati. La linea  ondivaga della politica estera americana è spiegata più che a sufficienza dai numerosi conflitti in cui gli USA si sono andati a cacciare in questo trentennio  che ci separa dallo sgonfiamento sovietico. Una serie di guerre sparse qua e là senza uno scopo  chiaro e razionale  e senza una strategia coerente e lungimirante. Guerre che hanno finito per sfiancare moralmente il grande Stato in conflitti locali mal condotti e quasi sempre sfociati in un grave insuccesso rispetto agli obiettivi frettolosamente fissati. Guerre che hanno portato lo scompiglio e il disordine caotico laddove sono state fatte combattere da popolazioni già alle prese con gravi problemi sociali e umanitari.

Non intendo andare lontano nel tempo e mi limiterò ai focolai di guerra scoppiati dopo l’implosione sovietica e che hanno interessato, prevalentemente, i paesi arabi o mussulmani. Lasciando da parte la questione palestinese, le cui cause vanno fatte risalire all’accordo Balfour/ Rothschild del 1917 e quella indocinese ove gli USA pensarono di sostituirsi ai francesi per affermare una presenza determinante in quella nevralgica parte del mondo che fa da cerniera fra il mondo indiano e quello cinese, cominciamo dai conflitti aventi per tema di fondo il petrolio.

Gli USA, d’accordo con l’Arabia Saudita, sostennero ed armarono l’IRAK di Saddam Hussein favorendo le  rivolte sunnite contro la maggioranza sciita della popolazione dimorante nella parte meridionale di quello Stato, al solo fine di accendere la miccia della guerra fra il regime degli Ayatollah iraniani e il dittatore irakeno. Quella guerra, durata oltre dieci anni, fra Iran e Iraq, costò ben due milioni di morti  distribuiti in modo equanime fra i due contendenti. Il dittatore irakeno che s’era battuto da leone, (come, del resto anche i suoi avversari), si sentì giuocato dal potente ma poco affidabile sostenitore e giocò la carta Kuwait, che, prima del 1914, aveva stretti rapporti di ogni genere col popolo irakeno. Contro Saddam furono fatte due guerre e la seconda fu giustificata da false calunnie (possesso inesistente di armi chimiche). Si destabilizzò uno Stato che non dava grossi problemi e garantiva all’Occidente e, quindi anche agli USA, un accettabile equilibrio in quella nevralgica zona del pianeta. L’attacco contro Saddam fu portato dai due Bush che dovevano sdebitarsi con i piccoli stati arabi della costa arabica, Stati che avevano sostanziosamente finanziato le campagne elettorali dei due presidenti (padre e figlio) notoriamente affiliati alla Skull and Bones. Ma c’era un altro Stato mediorientale con il quale gli USA continuavano a flirtare per garantirsi il controllo dell’intero Oriente, l’Arabia Saudita dominata da clan famigliari tutti imbevuti di Wahabismo esasperato e progressivamente messisi sulla strada di un espansionismo religioso in tutto il mondo mussulmano ove finanziavano, con grande prodigalità, tutte quelle frange fondamentaliste che si ingrossavano a mano a mano che gli aiuti si facevano sempre più consistenti. Tutto ciò poteva avvenire perché gli USA, in assenza di concorrenti agguerriti che bilanciassero il loro potere su scala mondiale,  si sentivano sicuri di poter portare i loro interventi e le loro mire dove volevano.

L’orso russo era svuotato di energie ed era reduce da sonore sconfitte soprattutto d’immagine e di prestigio sui fronti ove si era spinto (Afghanistan). Gli Usa cercarono subito di indebolire l’ex impero sovietico favorendo la sollevazione delle popolazioni del Caucaso (Georgia, Ossezia, Azerbaigian,Cecenia). Altri tentativi furono fatti per seminare divisioni all’interno delle repubbliche centroasiatiche (Tagikistan, Usbekistan e Turkmenistan) e dell’Europa orientale. In questo settore gli USA intervennero con larghi sussidi specialmente in Ucraina ove le popolazioni, russa e ucraina, che si erano mescolate nei 70 anni di dominio sovietico  senza però fondersi fra loro, erano particolarmente sensibili a subire il fascino di richiami nazionalistici. In questo caso, però, Putin reagì con decisione incorporando la Crimea e infiltrandosi nel Donbass ove maggioritaria era la popolazione russa. Gli Usa in questa regione dell’Europa miravano ad un conflitto di più larghe proporzioni, forse convinti che la Russia non avrebbe osato reagire per le sue perduranti difficoltà economiche del postcomunismo. La reazione russa fu talmente decisa da sorprendere la dirigenza statunitense che si fece più cauta nello spingere sull’acceleratore del conflitto. La guerra continuò stancamente con improvvise ma brevi vampate, divenendo uno dei tanti punti caldi accesi dagli Stati Uniti negli ultimi cinquanta anni.

 Putin aveva risvegliato l’orgoglio russo richiamandosi più ai fasti imperiali zaristi che alla vittoria sovietica del 1945. Le stesse celebrazioni della vittoria del 1945 furono smorzate per non riaccendere la rivalità con la Germania con la quale si stavano avviando importanti accordi commerciali.  Fu infatti stipulato un buon accordo fra Schroeder e la Russia per la fornitura di gas e petrolio e per la realizzazione di un importante gasdotto con il quale rifornire l’Europa del Nord. Intanto l’era Reagan cessava e cominciava quella Clinton. Questo cambio al timone statunitense mutò radicalmente la politica americana sia nella condotta interna che in quella estera. Il mutamento negli otto anni di Clinton fu avvertito soprattutto nella politica interna che prese indirizzi di radicalizzazione specialmente in ambito della morale privata e pubblica. Ne risentì anche la politica estera che cominciò a palesare una carente strategia a medio/lungo termine, come se fosse ispirata ora da una voce ed ora da un’altra. Le scelte cominciarono ad essere ondivaghe, incerte sia nell’azione che nella progettualità, sintomo abbastanza chiaro di interessi contrastanti che ispiravano le decisioni a livello politico. Questa incertezza si traduceva in una minore influenza in ambito ONU, forse anche per una scelta concorde fra le diverse anime della dirigenza statunitense stanca di sostenere un’istituzione inefficiente e potenzialmente ingovernabile. In questo periodo cominciarono a prendere corpo le attività di intelligence statunitense contro Putin, supportate dall’intervento della finanza globale ove determinante è sempre stato l’influsso ebraico. L’ebreo ungherese Soros cominciò a finanziare rivolte femministe nella stessa Russia ma soprattutto in Ucraina, ove il femminismo “fondamentalista” si alleò col nazionalismo mai sopito ereditato col mito di Stepan Bandera. Sotto il governo democratico gli Usa armarono l’Ucraina i cui armamenti utilizzati  nella guerra intestina per il Donbass e per la Crimea erano di chiara provenienza occidentale (anche italiana!). Ma l’attenzione fu rivolta anche agli altri Stati europei dell’ex impero sovietico favorendo l’ascesa al governo di élite liberali che provocarono un diffuso malessere fra le masse popolari insofferenti ai mutamenti radicali anche nel campo della morale privata. Si tentò di pilotare politiche progressiste in Ungheria (in questa sua antica Patria Soros finanziò il partito liberale, cioè smaccatamente filoamericano ed europeista contro la politica definita “populista” di Orban), in Polonia e in Slovacchia e nella stessa Croazia, ove però non hanno trovato terreno fertile, perché 70 anni di Comunismo avevano vaccinato le popolazioni locali contro le perversioni morali dell’Occidente, per molti versi tanto simili alla morale comunista. Gli Usa hanno poi spinto i governi dei Paesi baltici puntando sui loro comprensibili timori di fronte al colosso russo. Questi stati vennero subito inglobati nella Nato, sino a favorire le loro politiche di assoluto apartheid nei confronti della numerosa minoranza di lingua russa della Lettonia e dell’Estonia, due Stati che, anticamente, formavano il Ducato di Curlandia dell’Impero Zarista. Le minoranze russe non hanno diritto di voto e non ricevono quelle provvidenze sociali (pensioni, assistenza sanitaria etc) garantite ai cittadini autoctoni, col pericolo di provocare sollevazioni che troverebbero sicuro appoggio a Mosca.

Gli sgarbi e l’ostilità verso il Cremlino e verso la persona di Putin in modo particolare sono sfociati nella installazione di basi missilistiche nei territori di queste piccole repubbliche che confinano direttamente con la Russia. Se pensiamo che gli Usa stavano per scatenare una guerra atomica per i missili di Cuba, che dista quasi trecento miglia dalla costa americana, non si fa fatica a comprendere che ora sono gli USA i guerrafondai e il pericolo concreto di guerra.

C’è da aggiungere ancora la equivoca, anzi subdola politica seguita dagli Usa per l’Europa, nel vicino Oriente e nell’Africa settentrionale. Si sono rovesciati governi palesemente filooccidentali ( Egitto, Tunisia e Libia) e si è distrutto un Paese storicamente decisivo per l’equilibrio di quella cerniera fra Europa ed Asia che è la Siria. Si è demonizzato Assad favorendo (armandole) le fazioni avverse che trovarono subito l’unione proprio perché fondamentaliste e intenzionate a riportare la Sharia in quello Stato. Assad era l’unica forza in grado di mantenere l’equilibrio fra le varie religioni presenti appunto perché laico. Scalzarlo significava destabilizzare quel paese come è avvenuto in Egitto, Tunisia e Libia ove si sono avuti scellerati interventi europei per supportare campagne elettorali meschine della Francia e della Gran Bretagna). Destabilizzare il Maghreb e il vicino Oriente significa provocare milioni di profughi con i quali destabilizzare anche l’Europa a trazione germanica, le cui vivacità economica comincia a preoccupare il gigante americano. La politica di Bruxelles ignora volutamente questo stato di cose in vista di un globalismo diretto e pilotato da una élite internazionale tecnocratica con una regia ancora occulta ma non troppo.

La debacle della politica estera americana è  stata resa palese dal  repentino mutamento dell’alleato principale nel Mediterraneo, quella Turchia che era stata, sino a qualche mese fa, lo stato cuscinetto fra il colosso russo e la frastagliata congerie di Stati che s’affacciano sull’antico mare che separa, anzi unisce tre continenti.  L’ondivago e incerto comportamento degli Usa nei confronti del volitivo e sempre più arrogante Erdogan (l’arroganza è sempre favorita dalla arrendevolezza e dalla indecisione altrui) ha manifestato con estrema chiarezza quanto sia stata debole, incerta e fallimentare la politica estera del governo Obama, forse il gradino più basso toccato dalla dirigenza americana dall’epoca della dottrina di Monroe in poi. Il dittatore Erdogan ha compreso che non c’è da fidarsi degli attuali USA e ha deciso improvvisamente di mettersi ad un tavolo con quello che sino a pochi mesi or sono era l’avversario di sempre della Turchia, quella Russia che incombe sulla penisola anatolica, già alle prese con gli endemici problemi sollevati dalle diverse nazionalità che popolano il vicino Oriente e il suo stesso territorio. Il realismo turco ha preso atto che gli Usa non si sentono più sicuri in casa loro da quando l’attacco alle Torri gemelle ha fatto loro intendere che non esiste più la certezza della loro invulnerabilità. Da quel momento la politica americana è stato tutto un succedersi di errori e di deriva morale e psicologica. Una deriva che è stata resa  evidente dal sostegno dato alle campagne più radicali e nikiliste  della storia dell’Occidente. Da oltre Atlantico sono venute e continuano a venire le mode e le teorie più rivoluzionarie: teorie e mode che mirano a sconvolgere l’antropologia, la morale e le istituzioni più sacre non soltanto dell’Occidente ma pure dell’intero mondo islamico. La presidenza Obama si è distinta in questa operazione di deriva morale che ha portato alla ribalta un oppositore volenteroso ma impreparato e inadatto proprio in un momento in cui sarebbe stata necessaria la presenza di una figura che si distinguesse per moralità, piglio e autorevolezza che invano cercheremmo nella Hilary Clinton. I grandi Imperi e i grandi Stati sono sempre caduti per l’assenza di figure carismatiche che sapessero restituire quella fiducia e  quell’orgoglio che li fece grandi.

La crisi americana ed occidentale in genere è soprattutto una crisi di valori paragonabile a quella dell’Impero Romano. Una crisi soprattutto di costume, una crisi della morale pubblica e privata che disfece il tessuto sociale riducendo a brandelli ciò che era saldo e resistente. L’Impero Romano non fu abbattuto per essere stato vinto dai suoi nemici ma per essersi lasciato andare in una crisi profonda che lo snervò e lo privò delle sue vitali energie. Fu logorata la famiglia introducendo costumi lascivi e perversi che fiaccarono la virilità e la saldezza morale e psicologica; la denatalità crescente spopolò le campagne e riempì le città di sfaccendati sempre in attesa di sussidi e di regalie (le Annone si ridussero ad enti di distribuzione gratuita di vivande) mentre i ludi circensi addormentavano le coscienze già inebetite dai vizi privati, facendo rimpiangere ai pochi saggi rimasti gli antichi ludi militari ove i giovani si addestravano alla lotta ansiosi di rinnovare le gesta dei padri. L’Impero Romano cadde non per il ferro nemico ma per la sua debolezza. Una debolezza che compromise per primo lo spirito e soltanto successivamente fiaccò i corpi. I barbari entravano nell’Impero per stabilirvisi e romanizzarsi prestamente ma non trovarono uomini che li assimilassero bensì caricature di uomini che non potevano assimilare perché  non avevano nulla da trasmettere che non fosse fatto di vile materia. Avevano tante cose, tanti beni ma mancava loro l’essenziale, cioè il gusto e la passione di plasmare l’uomo, quel gusto e quella passione che aveva animato il romano di un tempo, forte e coraggioso in battaglia ma autorevole e severo nel gestire la cosa pubblica anche se litigioso ed intemperante nello scontro ideologico. I barbari dell’Occidente non abbatterono l’Impero con le armi. Volevano essere romani e cooptati nella gestione del potere e si ribellarono quando fu loro negato questo diritto che s’erano conquistato brandendo armi romane. Si sostituirono ai romani divenuti imbelli ma non avevano ancora le capacità di gestire una realtà della quale non avevano che una superficiale cognizione. Per loro fortuna il Cristianesimo salvò quella realtà e la pose al servizio dei nuovi romani che, fusi completamente con i superstiti dell’antica gente, dette vita alla civiltà occidentale che ora ripercorre, con maggiore velocità di caduta la stessa china percorsa da quelli che furono romani ma non lo erano più nello spirito.

Con maggiore velocità di caduta, perché i valori della civiltà sulla quale l’Occidente poggia le sue fondamenta sono stati erosi da una voluttuosa volontà di autodemolizione. In questa  smania di autodemolizione gli Stati Uniti rappresentano oggigiorno la punta più avanzata; le avanguardie più spericolate nel perseguire sentieri di svilimento morale vengono da oltre Atlantico. Gli Usa vittoriosi nel 1945 pensavano di avere nelle armi la soluzione per fondare il loro impero ma ben presto compresero che quei mostruosi strumenti di morte non bastavano a incoronarli. Occorreva lo spirito, la volontà di perseguire sino in fondo il proprio obiettivo, ma si accorsero che i loro giovani non l’avevano più. Nelle paludi e nelle foreste del Vietnam iniziò la veloce china statunitense. I giovani si rifugiarono nella droga e nel sesso perché non avevano più valori oltre al benessere materiale e la gran parte dei coetanei d’Europa li imitò con sorprendente crescente consenso, grazie alla potenza della tecnologia che ha favorito la diffusione istantanea delle perverse idee e del degrado morale.

All’est c’è però qualcosa di nuovo. La gente prostrata da settanta anni di esilio dalla sua dignità umana sta riscoprendo gli antichi valori. Valori che sono quelli che salvarono l’Impero Romano per rifondarlo su nuove basi. Ora questa gente è ostracizzata, calunniata con accuse che rappresentano l’esatta diagnosi del male che affligge gli accusatori. Questi calunniatori sotto bardature democratiche si sono attendati pericolosamente alle frontiere dei renitenti alla Modernità imperante. Per nostra buona sorte all’Est non si elevano urla e scomposte proteste; non si fanno sfilate che sollevano sdegno e pietà; non ci si agita inutilmente e in modo scomposto. All’Est, per nostra buona sorte, non si risponde alle provocazioni e si mantiene salda  compostezza. Il giusto conta più sulla sua coscienza che sul favore delle masse e sulla potenza degli strumenti.

In questi nostri tempi c’è nel mondo un malato grave. Sono gli Stati Uniti che sono pervenuti ad un tale livello di degrado morale da voler credere che quelli che non si vogliono piegare ai loro intenti di degradazione debbano essere diffidati e marginalizzati. In Occidente si vuole credere che basti minacciare per ridurre i renitenti al Nuovo Ordine Mondiale. Quale errore! Hanno avuto la dimostrazione che anche i poveri sanno reagire se credono in un ideale, per quanto nefasto esso possa essere. Lo hanno dimostrato i Mussulmani che non temono di andare alla morte sicura.

All’Est c’è gente già vaccinata da settanta anni di un morbo che poteva essere mortale (e lo è se ci si crede) ma che si è rialzata e che, rinvigorita dal ritorno all’antica fede gelosamente custodita all’interno delle famiglie,  s’è posta a difesa di quella civiltà che l’Occidente ha ripudiato.

Il malato grave si appresta  fra poche settimane ad eleggere il suo capo. E’ ad un bivio pericoloso, perché nessuno dei due contendenti è all’altezza della situazione. Uno dei due, quello più quotato, potrebbe portare il suo Paese e il mondo intero al disastro. Lo ha già dichiarato parlando di Apocalisse. Sa infatti che il mondo intero è ad un bivio decisivo per le sorti dell’Umanità, ma il pericolo maggiore non è nell’avversario ma nelle idee che alimentano la sua parte. Auguriamoci che Dio assista il popolo americano in questa sua scelta. La speranza è soltanto in Lui e in nessun altro. Il mondo è veramente vicino all’abisso.

7 commenti su “Lo Stato malato (di canaglite) del ventunesimo secolo – di Cesaremaria Glori”

  1. Letto tutto d’un fiato. Una canzone, dei miei stupendi anni giovanili, di Leo Valeriano che aveva scritto per la rivolta d’Ungheria, diceva che”….il sole non sorge più ad est”. Con quale speranza e gioia ora grido ” il sole risorge ad est”. Complimenti!

  2. il conflitto ci sarà proprio perchè Putin,la Russia,il Popolo Russo, per sua natura,come la Storia insegna,non si è mai piegato ad essere globalizzato secondo una mentalità che a noi occidentali sembra sinonimo di democrazia,perchè non abbiamo più valori da difendere e in cui credere.Il comunismo imposto al popolo russo alla fine ha dovuto abdicare ,cosa che non è capitata in Cina dove la mentalità ben si sottomette a dittature sia comuniste che capitaliste ed ove il rispetto dell’individuo non è mai esistito ne mai esisterà.Ma da tale conflitto l’occidente-europa ne uscirà pesantemente sconfitta proprio perchè, a causa di assenza di valori, non ha più niente in cui credere ne una patria da difendere avendo ormai abdicato ad una invasione programmata della nostra terra.Per quanto concerne Renzi,il suo timore più grande è quello di dover affrontare un referendum che lo vedrebbe sicuramente sconfitto(salvo eventuli brogli)e dimissionario…quindi ben venga un folle conflitto con la Russia,così da rendere tale referendum non realiizzabile.Fantapolitica?Lo vedremo presto.

    1. Caro Carlo, anche io qualche volta ho ceduto a questa tentazione, del “tanto peggio tanto meglio”, e credo che mi si ripresenterà altre volte, anche io poi credo che l’unico modo perchè questo mondo malato guarisca sia quello di far sfogare la febbre lattente del suo malessere,e sicuramente alla fine qualcosa del genere accadrà. L’unica cosa mi piacerebbe che l’Italia stesse dalla parte giusta, il che non significa di quella del vincitore, almeno di quello provvisorio. In ogni caso è ormai assodato che la Russia è lo strummento che Dio userà per ricondurre alla raggione coloro che hanno messo in piedi questa situazione folle.

  3. Complimenti, grazie stupendo articolo che fotografa la realtà, impietoso ma veritiero, sono persuaso ormai da tempo che gli USA, siano un malato grave la cui infezione potrebbe causare per così dire un contaggio, però bastano pochi “santi” ed è vero che c’è ancora un piccolo gregge veramente cattolico molto fervente negli States che guidato da un uomo come Sua Emminenza Raymond Leo Burke, si starà faccendo senzìaltro onore. A noi stà appoggiare il loro sforzo.

  4. giorgio rapanelli

    Fantastico e reale articolo. Fa una sintesi di avvenimenti che ci rinfrescano la memoria. Effettivamente siamo alla caduta dell’Impero Romano (americano). All’epoca ci fu Carlo Magno e i monasteri benedettini a salvare il salvabile e a fare rimanere qualcosa dell’organizzazione e della cultura romana. Oggi non c’è ancora qualcuno che riperpetui quella Storia. Non c’è un Carlo Magno, non c’è un papato con le idee chiare. In più abbiamo Satana che sta distruggendo la vecchia America e sta impiantando quella nuova demoniaca con dirigenti imbelli, corrotti e pazzi.
    Affidiamoci allo Spirito Santo e diventiamo soldati di Cristo, altrimenti siamo fritti e morti.
    Io so chi sono i nemici del Cristo e come agiscono con settarismo e menzogna: facevo parte delle loro file, con l’obiettivo di distruggere l’ordine naturale del Vangelo con divorzio e aborto. Oggi hanno fatto ulteriori passi con l’omosessualità e l’infiltrazione massiccia nella Chiesa, che sta disperdendo il gregge, messo in confusione da cardinali, vescovi e perfino il papa. Ribelliamoci e battiamoci, orientando i…

  5. Analisi profondamente realistica che chiarisce in maniera perfetta le cause di questa decadenza giustamente assimilabile a quella dell’Impero romano. Allora fu la novità del cristianesimo, con la forza morale che portò con sé a far sorgere il grande occ idente che conosciamo; oggi vogliamo sperare che questo seme conservato gelosamente nella Russia santa durante gli anni della devastazione diventi un baluardo per la salvezza che non meritiamo, ma che imploriamo gementi e piangenti alla Vergine Immacolata , regina delle vittorie e vincitrice della radice di tutti i mali, quella che con la sua terrificante astuzia crede ormai di avere in mano le sorti del mondo. Lei gli schiaccerà la testa, stiamone certi, ma attraverso quali sofferenze dovremo passare?

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