Mario Palmaro, testimone della concretezza della vita eterna – di Alessandro Gnocchi

In un mondo stanco per la troppa gente che finisce per credere come vive, Mario ha voluto fino in fondo vivere come ha creduto. Questo lo ha reso sempre più giovane e lieto agli occhi di Dio e agli occhi di chi ha saputo guardarlo con almeno un po’ della sua stessa fede.

di Alessandro Gnocchi

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mpSorge dai secoli luminosi e profondi del medioevo quel “Dies irae, dies illa” che nella Messa tradizionale per i defunti trafigge i cuori e le menti prima della lettura del Vangelo secondo Giovanni. “Io sono la risurrezione e la vita” dice nel brano evangelico il Figlio di Dio a Marta, che piange la morte del fratello Lazzaro. “Chi crede in me, anche se fosse morto, vivrà; e chiunque vive  e crede in me non morrà in eterno. Credi tu questo? Gli rispose: Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo, che sei venuto in questo mondo”.

La dolcezza maestosa del dialogo trascritto da San Giovanni può essere compresa solo nel contrappunto del rigore visionario in cui Tommaso da Celano descrive quel “Dies irae” che “solvet saeculum in favilla: teste David cum Sibilla”, quel giorno dell’ira che dissolverà il secolo in favilla, come attesta Davide e la Sibilla. Quando il Giudice verrà nel tremore del mondo e la morte e la natura stupiranno al risorgere di ogni creatura.

E’ questa la vera misericordia che la Chiesa ha incarico di portare al mondo: mostrare la dolcezza di un Dio intenerito davanti alla morte dell’amico di cui sarà giudice giusto e inflessibile nel giorno del giudizio. La Messa tradizionale dei fedeli defunti lo rammenta a ogni passo reiterando quel “requiem aeternam dona eis, Domine” che vola verso il cielo da cuori e menti consci di essere solo momentaneamente su questa sponda.

La mattina del 12 marzo 2014, al funerale di Mario Palmaro, questo legame invisibile e invincibile tra i vivi e i morti, tra questa e l’altra sponda, ha preso forma nel nitido e luminoso rigore di una Messa come si celebrava nei tempi civili. Cantata in latino, con sacerdote, diacono, suddiacono e ministranti rivolti verso Dio, secondo il rito che non si lascia violentare dai sentimenti e dai protagonismi.

Mario vi si era preparato fin dal momento in cui i tecnici della medicina, eretti dal secolo a propri sacerdoti, gli dissero di non avere scampo. Anche il secolo ha le sue liturgie, riflessi di matematiche rigorose che, a differenza di quelle celesti, non conoscono speranza. Per questo ha pensato immediatamente all’epilogo terreno, che avrebbe dovuto essere abbastanza luminoso da vincere inesorabilmente i riti mondani. E ha fatto di ogni giorno della sua malattia il passo di un incedere liturgico verso l’esito finale. Si è incamminato verso il sacrificio come il sacerdote in sacrestia si avvia a celebrare la Messa in cui presterà il suo corpo a Cristo sulla Croce. Prima con esitazione, e poi con una levità che poco aveva di terreno, ha dato ai gesti, ai pensieri, alle preghiere dei suoi ultimi due anni un tratto nitidamente rituale. Che non significa algido formalismo, ma adorazione della grandezza infinita di Dio e, dunque, docile sottomissione al suo volere. Per questo il suo Calvario è stato così sereno e così edificante per tutti coloro che vi hanno assistito almeno per un tratto.

Lui si preparava a morire e chi gli voleva bene si preparava ad accompagnarlo alla morte. Senza dircelo, lo abbiamo fatto dal momento in cui mi telefonò per dire che proprio non ci sarebbe stato nulla da fare, salvo un miracolo. Ma una cosa è prepararsi ad accompagnare il tuo più grande amico alla morte e altro è avviarsi docilmente a morire: il Signore chiede sempre al migliore il sacrificio più grande.

Impercettibilmente agli occhi del secolo e di tanti cattolici, la vita di Mario è diventata come quella di un monaco e la sua casa, per quanto affollata di telefonate, visite e affari quotidiani, si è trasformata in un piccolo cenobio. Questo padre di famiglia con moglie e quattro figli ha replicato nella sua vita quotidiana ciò che millecinquecento anni or sono si era manifestato nel genio religioso di San Benedetto. Il santo della Regola aveva disegnato un itinerario di santità che prescriveva i modi e i tempi anche del più piccolo gesto nell’orazione, nel lavoro, nel riposo, nella ricreazione conferendo loro un significato ulteriore. Nella medesima maniera, ha salvato le cose, i gesti e le parole della sua vita quotidiana dall’abbandono al secolo per farne qualche cosa di sacro, il segno che la sua casa si sarebbe regolata fino in fondo secondo il volere del Cielo.

Così ha preso a prestare alle realtà un’attenzione che non era solo di questo mondo e si palesava nella forma di un candore sempre più inattaccabile. “L’attenzione” scrive Cristina Campo “è il solo cammino verso l’inesprimibile, la sola strada al mistero. Infatti, è solidamente ancorata al reale, e soltanto per allusioni celate nel reale si manifesta il mistero. (…) Davanti alla realtà l’immaginazione indietreggia. L’attenzione la penetra invece, direttamente come simbolo”.

Questa attenzione al reale, divenuta quasi devozione, portava Mario a parlare anche del suo male e degli inevitabili esiti con un distacco incomprensibile ai più. Per trarne giovamento, bisognava coglierne la radice nella capacità di leggere in qualsiasi frangente della vita disegni che sono celesti e, dunque, vanno accettati. Più si avvicinava la fine e più era possibile scorgere nel suo sguardo qualche dardo che testimoniasse questo dono. “Tali lampi” dice ancora Cristina Campo “non sono se non quella scintilla (di origine e natura sempre più misteriose via via che per ogni cosa ci viene fornita una chiave) che l’attenzione sollecita e prepara: come il parafulmine il fulmine, come la preghiera il miracolo, come la ricerca di una rima l’ispirazione che proprio da quella rima potrà sgorgare”.

Il fulmine, il miracolo, l’ispirazione sgorgata da una rima si manifestavano nelle tante telefonate con cui ci sentivamo ogni giorno, in uno straziante “Oggi sono contento perché…”. “Ciao Mario, come va?”, “Oggi sono contento perché…”. Era contento per ogni cosa, ogni evento, ogni pensiero che avesse anche solo una briciola di importanza. Perché la chemioterapia lo aveva lasciato in pace un po’ di più, perché le piaghe ai piedi e alle mani lo facevano tribolare un po’ meno, perché la moglie Annamaria gli aveva preparato quel tal piatto che gli piaceva tanto. Venti giorni prima di morire, nella telefonata di rito della nove di mattina era contento perché aveva trovato un hospice che lo avrebbe seguito a casa per la terapia del dolore. “Così non devo più andare in ospedale e non disturbo Annamaria. Sono proprio contento”. Sono proprio contento: ed era la certificazione che, di lì a poco, a vista umana, sarebbe finita.

L’occhio profano non poteva vederlo e il cervello mondano non poteva comprenderlo, ma quegli “Oggi sono contento perché…” erano come i paramenti di cui il sacerdote si riveste per entrare nell’agone della Messa, come i panni ricamati che coprono le Sacre Specie. Velature che la depravazione illuminista penetrata anche dentro la Chiesa considera come un ostacolo all’intelligenza, e, invece, sono ciò che dà all’invisibile una forma capace di mostrare all’uomo ciò che altrimenti non potrebbe percepire.

E ogni giorno di questo Calvario si è trasformato in un passo consapevole, accettato e gradito verso il sacrificio. Sempre più lieve e celeste, come promette l’inizio della Messa che Mario amava ed era riuscito a portare a Monza, a due passi da casa: “Introibo ad altare Dei. Ad Deum qui laetificat iuventutem meam”. Mentre agli occhi degli uomini il suo corpo invecchiava e segnava le prove e le sofferenze, agli occhi di Dio la sua anima ringiovaniva e letificava. Ed era proprio questo contrasto a edificare chi gli stava attorno. Vederlo dal fondo della chiesa, faticosamente inginocchiato al solito banco, alcune volte, faceva pensare all’uomo che sta per cedere alle aggressioni della terra. Ma poi, quando tornava dalla comunione, negli occhi conservava ancora più ravvivato quel lampo di attenzione che non può cedere a certe brutalità del reale perché ha la chiave celeste per comprenderle e si lascia raggiungere solo dall’inevitabile.

In quei momenti, sarebbe stato percepibile anche a occhi profani che quest’uomo di quarantacinque anni si stava avviando a morire così come professava la sua fede, a morire come aveva pensato, scritto e insegnato, a morire come era vissuto. In un mondo stanco per la troppa gente che finisce per credere come vive, Mario ha voluto fino in fondo vivere come ha creduto. Questo lo ha reso sempre più giovane e lieto agli occhi di Dio e agli occhi di chi ha saputo guardarlo con almeno un po’ della sua stessa fede.

Diversamente, nella sua morte si potrebbe leggere solo il capriccio di una sorte beffarda e crudele. Ma, grazie a Dio, ha ragione il cardinale Newman quando, nel sermone Sul significato dell’esistenza dice: “A mio avviso, il termine delusione è l’unico in grado di esprimere quello che proviamo di fronte alla morte dei santi di Dio. Se la nostra fede non è abbastanza viva da penetrare al di là della tomba e intuire il futuro, ci sentiamo depressi per quella che sembra essere una sconfitta della grandezza. Eppure è proprio da questo sentimento che, come per contraddizione, riusciamo ad attingere un po’ di speranza, perché se questa vita è così deludente e così incompiuta, certamente essa non è tutto”.

Questa morte e questo modo di morire sono tattile e perenne testimonianza della concretezza della vita eterna, sono sacramento della certezza che l’essenziale è invisibile agli occhi. Ma certo non possono eludere le domande sul perché proprio Mario e proprio in questo modo. Negli ultimi tempi, in vista della fine, se ne parlava, come sempre con familiare semplicità. “Mario, tutti pregano per il miracolo e anch’io spero che tu guarisca. Ma ora riesco solo a pregare perché tu possa sposare fino in fondo il volere del Signore, qualunque sia… E poi penso che, se Lui ti vorrà con Sè, lo farà per risparmiarti ciò che presto si dovrà vedere fuori e, soprattutto, dentro la Chiesa”. “Dici che sarà davvero così?”, e tremava per la sua Chiesa. “Mario, più prego e più mi convinco che, se muori, è perché il Signore ti vuole veramente bene…”.

Un dialogo magari incongruente a orecchi mondani. Eppure, non potevo avere dubbi su come sarebbe andata a finire da quando un nostro amico sacerdote mi confidò di avere offerto a Dio la sua vita in cambio di quella di Mario, ma senza esito, senza risposta. “Io sono un povero parroco di campagna, conto poco e non ho famiglia. Lui ha moglie, quattro bambini e sta facendo tanto bene alla Chiesa… Ma, evidentemente, il Signore ha altri disegni”.

Questa è la comunione dei santi, il vincolo tra chi si ciba dello stesso corpo e dello stesso sangue, che si alimenta della vita santa di chi abbraccia la croce. Prima di scrivere queste righe ho chiesto a quell’amico se potessi rivelarne l’offerta, senza violare la sua identità: “Naturalmente” mi ha scritto “anche se non è cosa che meriti tanto riguardo – lo dico senza finzioni – nei tempi cristiani era cosa normale”. In qui tempi cristiani che oggi, nell’epoca dello splendore mediatico, sono completamente evaporati al sole malato del mondo. Forse è proprio per fecondare questi tempi, così mondani anche dentro la Chiesa, che il Signore chiede il sacrificio dei suoi figli migliori, anche se si protestano servi inutili, come ha fatto in tutta sincerità Mario in uno dei suoi ultimi scritti.

Anche Mario sapeva che sarebbe andata così, lo sapeva prima di tutti e meglio di tutti. E sentiva che il tempo andava sempre più spedito. Poi sarebbe venuto il momento supremo e solenne, ma prima avremmo dovuto salutarci con tutte nostre famiglie. La domenica prima di quella della sua morte, ha voluto che ci fermassimo a casa sua per cena. Una serata speciale nella sua normalità. Lui seduto a tavola, al suo posto, a onorare gli ospiti oltre il possibile, senza un lamento. Solo il vezzo gentile di mettere in tavola i piatti belli perché quelli di plastica proprio non andavano. Sapevamo tutti che quella sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo visti con le famiglie al completo. Lo dicevano gli sguardi e le attenzioni discrete, che in nulla contrastavano con il discorrere lieto e sorridente di una domenica sera tra amici che si vogliono bene.

La settimana dopo, sarei stato in ginocchio accanto al suo letto a recitare le preghiere degli agonizzanti. “Proficiscere, anima christiana de hoc mundo in nomine Dei Patris omnipotentis, qui te creavit; in nomine Iesus Christi, Filii Dei vivi, qui pro te passus est, in nomine Spiritus Sancti, qui in te effusus est, in nomine gloriosae et sanctae Dei Genitricis Virginis Mariae…”. Parti anima cristiana da questo mondo in nome di Dio Padre onnipotente… di Gesù Cristo… dello Spirito Santo… della Vergine Maria…

Nell’agonia dolorosa e tormentata, ogni tanto riusciva a guardare chi gli stava attorno. Per chiedere aiuto e consolazione, ma sicuramente anche per elargirne, per dire che tutto si stava per compiere così come aveva desiderato e come aveva chiesto al Signore. ”Libera, Domine, animam servi tui ex omnibus periculis inferni, et de laqueis poenarum, et ex omnibus tribulationibus…” Libera Signore l’anima del tuo servo da tutti i pericoli dell’inferno, dai lacci delle pene e da tutte le tribolazioni… Come liberasti Enoc ed Elia… Come liberasti Noè… Come liberasti Abramo… Come liberasti Giobbe… Come liberasti Isacco… Come liberasti Lot… E poi Mosè, Daniele, i tre fanciulli, Susanna, Davide, Pietro e Paolo, la beatissima Tecla. Non rammentare, Signore, le colpe e le ignoranze della sua gioventù… Gli si aprano i Cieli, si allietino con lui gli Angeli…”. Sembrano interminabili, le preghiere degli agonizzanti, quando si leggono nel breviario. Eppure sono un soffio quando le si recita accanto a un uomo che sta per comparire davanti al giudizio di Cristo per fargliele stringere in mano come ultimo dono.

Poi, poco dopo le dieci di sera, Annamaria ci ha invitato a intonargli il “Salve Regina” “che a lui piace tanto”. Con la mamma di Mario e due vicine di casa lo abbiamo cantato con la certezza che il Cielo ormai fosse aperto. “… O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria”. Non c’è stato il tempo di avviare il “Gloria Patri” ed è stato l’ultimo respiro, proprio come fu per Gilbert Keith Chesterton, dopo il canto dolcissimo levato da padre McNabb.

Tutto questo per dire come muore un cristiano.

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fonte: Il Foglio

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18 commenti su “Mario Palmaro, testimone della concretezza della vita eterna – di Alessandro Gnocchi”

  1. Grazie dott. Gnocchi grazie per questo scorcio di Mario…grazie per avercelo donato proprio il giorno della solennità del beato Giuseppe santo sposo della Vergine Immacolata.
    Giampaolo

  2. Sono commossa. Non riesco a scrivere altro.
    Anch’io come il signor Giampaolo, le dico grazie dott. Gnocchi, grazie davvero!
    Preghiamo il Gloriosissimo S. Giuseppe, Patrono della Chiesa, terrore dei demoni, Colui al quale Dio ha affidato Suo Figlio e la Vergine Santissima. Quale santità, purezza, virtù, dovette avere S. Giuseppe per essere scelto da Dio fra tutti gli uomini?
    Sia Lodato Gesù Cristo.

  3. Ho detto dapprima: -Povero Alessandro Gnocchi, da solo a firmare un articolo!- Ma mi sono ricreduta e questa commozione che mi attanaglia, ora che ho finito di leggere l’ultima riga, non è perché qui si racconta la morte del più caro amico, ma perché si comprende come l’amore per Cristo, reso sublime in vista della fine che si conosce vicina, trasfiguri gli affetti umani ponendoli così in alto che pare tocchino il Cielo in uno scambio reciproco di bene. E i canti e le preghiere per affidare chi muore a Dio ne sono la stupenda corona. Questa ineffabile pagina è stasera, al tramonto della festa di San Giuseppe, la più bella meditazione che ancora una volta GNOCCHI§PALMARO potessero offrirci.

  4. Non ci sono parole … Solo un grande grazie a Dio, a Mario e a Alessandro, che ha voluto condividere con noi quanto ha vissuto. La Madonna, che stetta ai piedi della Croce, accolga l’anima del carissimo Mario e protegga la sua famiglia!

  5. Testimonianza commovente e bellissima di Vera Amicizia e di come un Cristiano dovrebbe affrontare la morte!
    Ammiravo moltissimo Mario, ora lo ammiro ancora di più!
    Se si mettono a confronto la nobile testimonianza di Alessandro con l’osceno becerume uscito dalla bocca di padre Livio il giorno dopo il funerale si capisce molto facilmente la differenza fra un vero Cattolico e un modernista

  6. Molto bello e commovente!
    Che peccato che non si insegni più ai giovani a guardare con timore e grandezza all’orizzonte della propria vita, che è dono e prova.
    Bisogna conservare la fede in questa ardua battaglia contro il potere delle tenebre e fare tesoro della Grazia ricevuta per spendere fino all’ultimo i talenti (pochi o tanti) che ci sono stati affidati.
    In fondo tutta la vita è un’immensa preparazione all’incontro con Dio, eterno giudice giusto e misericordioso: tutto quello che si è operato al di fuori di questa prospettiva è “paglia che brucierà”, tutto quello che invece si operato per la Verità nella Carità risplenderà come oro incandescente.
    Bisogna impegnare ogni istante della propria vita a conformare la nostra volontà alla Sua volontà, senza ridursi all’ultimo (se va bene, nel migliore dei casi!) a recuperare tutto il tempo perduto!
    Mario Palmaro rappresenta un luminoso esempio di come un uomo semplice e buono abbia lasciato fare a Dio della sua vita un piccolo capolavoro: padre di famiglia, quattro figli, professore universitario, scrittore, ha sempre combattutto la menzogna con la Verità (che è la più alta forma di Carità!).
    Raccogliamo questa bellezza e questa testimonianza con umiltà e ammirazione, perseveriamo con forza ed abnegazione nella resistenza agli attacchi del maligno!
    Grazie Mario!

  7. Leggendo vedevo ogni singola scena descritta in questo articolo che è un pezzo mirabile di vita, un modo di vivere lontano, dimenticato e straordinario di un uomo-martire. Gli occhi si sono inumiditi e le parole si sono spente nella gola.
    I grazie che vorrei dire sono sue: ad Alessandro Gnocchi, per questa delicata e forte testimonianza, bellissima, e a Mario Palmaro per quello che ha fatto e per come ha vissuto.

  8. Nel dolore grande per la perdita di Mario ci consola la verità di fede, la più certa di tutte: Dio onnipotente e misericodioso, nostro creatore e salvatore, ha amato e ama Mario molto più di tutti noi messi insieme. Io, anche se piango ogni volta che penso a Mario, ora ho deciso di raccomandarmi piuttosto a lui, che mi voleva bene e che adesso dal Cielo, nella gloria di Dio, può continuare a fare per mio mezzo quello che ha fatto lui personalmente, per il bene della Chiesa. E continueremo a sostenere la sua meravigliosa famiglia.

  9. Elisabetta Frezza

    Aggiungo anch’io il mio pubblico grazie ad Alessandro. Questo ricordo è splendido. Fa vedere e capire chi è stato Mario Palmaro e, attraverso il suo esempio, delinea i tratti universali del vivere e del morire da cristiani. Me lo sono riletto ormai tante volte, e chissà quante altre lo rileggerò. Ad ognuna mi ritrovo con le lacrime agli occhi a ringraziare Dio.
    Elisabetta

  10. Joanna dalla Polonia

    Cari amici italiani, anch’io vorrei unirmi, anche se da lontano, al vostro dolore, ringraziando, con le parole di Giovanni, “Alessandro Gnocchi, per questa delicata e forte testimonianza, bellissima, e Mario Palmaro per quello che ha fatto e per come ha vissuto”.

  11. Grazie al prof. Gnocchi per questo commosso ricordo di Mario Palmaro. Ecco come dovrebbero essere i cristiani per rendere migliore il nostro tempo. Purtroppo la misura della grandezza è nella difficoltà che si incontra ad aiutare il prossimo. Gli altri non vogliono essere aiutati perché non vogliono dire grazie. Molto opportuno, poi, il passaggio su Cristina Campo, una grande della letteratura che si dovrebbe ricordare e ristudiare.

  12. Giovanni Vannicelli Casoni

    Oh se tutti potessero morire al canto del Salve Regina!!! Questo io chiedo al Signore . Giovanni Vannicelli Casoni

  13. Leggo abitualmente gli articoli di Riscossa Cristiana che è il mio sito preferito, ma mi era sfuggito questo bellissimo articolo di Alessandro Gnocchi in memoria del Prof. Mario Palmaro. Solo oggi l’ho trovato e l’ho letto e penso non sia un caso, ma la Provvidenza che me lo ha fatto trovare proprio oggi. Perchè oggi, 9 aprile, è il trigesimo della morte del nostro caro amico e fra poche ore – alle ore 18,30 – qui a Bologna nella Chiesa dei Santi Francesco Saverio e Mamolo sarà celebrata una Santa Messa in suo suffragio. Probabilmente poche persone saranno presenti, ma certamente spiritualmente saranno tante, specialmente tante persone che ascoltavano le sue lezioni a Radio Maria così importanti, così preziose. Grazie, grazie !!!!!!!!!!

  14. Sono passati due mesi e mezzo dal funerale del 12 Marzo, e non passa giorno che il mio pensiero almeno una volta, si rivolga a Mario. Spesso durante il ringraziamento dopo l’eucarestia, gli rivolgo un saluto e un pensiero. E allora penso che i disegni di Dio sono davvero molto più alti dei nostri e che chiede ai migliori sacrifici che solo loro sanno affrontare. Lo chiede e chi riesce a dare un senso capace di andare oltre ogni limite e logica con la propria fede certa e sicura. Le parole di Gnocchi “penso che, se Lui ti vorrà con Sè, lo farà per risparmiarti ciò che presto si dovrà vedere fuori e, soprattutto, dentro la Chiesa” sono sempre più vere. Mario ha visto dal cielo molte cose che credo lo avrebbero messo sulla tastiera per scrivere pezzi sublimi. Poi penso che da dove è ora di certo vedrà le cose molto meglio di noi. Mario hai fatto un mare di bene alla Chiesa che tanto hai amato. Oggi io tantissimi altri ci sentiamo più soli senza di te. Abbiamo il tuo amico Alessandro, e sono sicuro che Dio ha chiesto moltissimo anche a lui in questa vicenda. L’ho visto il giorno del funerale con il rosario sempre in mano, sereno, vicino ad Annamaria e ai 4 splendidi ragazzini, un grande. Grazie ancora Mario, grazie Alessandro, grazie a tutto il mondo che ti vuole bene e che tu continui di certo a seguire da lassù.

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