Nel ventesimo anniversario della morte di Madre Teresa di Calcutta – di Don Marcello Stanzione

di Don Marcello Stanzione

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Il 5 settembre 2017 ricorrevano i 20 anni dalla morte di Madre Teresa di Calcutta.

Gonxha Bojaxhiu nacque a Shkupi il 27 agosto 1910, terza e ultima figlia di Kolë e Drane Bojaxhiu. La bimba, il cui nome significa bocciolo, fu battezzata nella chiesa del Sacro Cuore, a 7 anni frequentò la scuola cattolica presso la parrocchia e poi la statale. Il fratello Lazër la ricorda così: “Era una ragazza normale, forse un po’ ritirata e introversa… già nella scuola elementare si notò il suo talento per lo studio. Era la prima della classe, sempre pronta ad aiutare gli altri…”. La fanciulla era molto impegnata nella comunità parrocchiale: cantava nel coro, recitava nel teatro della chiesa e faceva parte della congregazione di Maria per la gioventù. Già verso i dodici anni incominciò a desiderare di appartenere completamente a Dio e la decisione definitiva di consacrarsi come suora la prese presso il santuario della Madonna di Letnica il giorno 14 agosto del 1928, vigilia della festa dell’Assunzione di Maria. La ragazza aveva sentito in parrocchia molto parlare delle missioni cattoliche in India, perché i padri gesuiti croati che reggevano la sua parrocchia avevano una missione nel Bengala ed essi l’indirizzarono presso le Suore di Loreto che avevano missioni a Calcutta. Dalla sua città natale Gonxha, insieme con la madre e la sorella, partì in treno per Zagabria, dove rimase fino al 13 ottobre 1928. Poi andò a Dublino, in Irlanda, precisamente a Rathfarmharm, presso la Casa madre delle Suore di Loreto, dove si fermò circa tre mesi per imparare l’inglese e fare il postulantato. Arrivò a Calcutta il 6 gennaio del 1929 e si recò a Darjeeling dove vi era la sede del noviziato, che fece per due anni, ricevendo il nome di Suor Teresa del Bambin Gesù. Ricevette una buona valutazione da parte della maestra del noviziato e fu ammessa ai voti temporanei il 23 maggio 1931. Il suo primo lavoro, dopo il noviziato, fu quello di infermiera: assistere ed aiutare i malati; più tardi fu impegnata nello studio universitario e contemporaneamente insegnava nella scuola di St. Mary di Calcutta, frequentata da ragazze appartenenti alle caste ricche.

Dopo i voti perpetui, emessi il 24 maggio 1937, Suor Teresa continuò ad insegnare e ben presto divenne anche direttrice della scuola. Tra il 1937 e il 1938 scrisse una lettera a Tirana, alla madre e alla sorella: “Mi dispiace di non essere insieme a voi, mia cara mamma e sorella…, ma la tua piccola Gonxha è felice… questa è una vita nuova… sono insegnante e il lavoro mi piace. Sono anche direttrice di una scuola, qui tutti mi vogliono bene…” . La madre le rispose: “Mia cara figliola, non dimenticare che sei andata laggiù per i poveri. Ti ricordi della nostra Figlia? E’ piena di piaghe, ma quello che la tormenta maggiormente è il sapere di essere sola al mondo. Noi facciamo quello che possiamo per aiutarla. In effetti, il peggio non sono le piaghe, ma il fatto che è stata dimenticata dai suoi…”. Dopo questa lettera e l’esperienza diretta della situazione di miseria a Calcutta, Suor Teresa si sentiva inquieta. Dopo vent’anni di vita e di attività missionaria, quasi sempre a Calcutta e nella scuola, la voce interiore diveniva sempre più esigente: “Tu devi uscire per servire i poveri”. Viaggiando alla volta di Darjeeling per un ritiro spirituale, suor Teresa cercava la nuova strada da seguire e scrisse al suo padre spirituale: “Padre è successo così. Il 10 luglio 1946, mentre viaggiavo in treno per Darjeeling…, sentii la voce divina. Era la chiamata dentro la chiamata, la mia seconda vocazione. Il messaggio era chiaro: devo uscire dal convento di Loreto per poter liberamente e con tutta la mia vita servire i poveri”. Poi comunicò la decisione anche ai superiori e alle suore, dicendo semplicemente: “Ho deciso di abbandonare il convento per poter più liberamente servire i poveri fra i poveri!”. L’ingombrante abito delle suore di Loreto fu sostituito dal sari di rozza tela dei poveri. Sulla spalla sinistra appuntò una piccola croce tenuta ferma da una spilla da balia. Non portava calze ma solo un paio di sandali. Aveva trent’otto anni.

Consacrò la sua unione con i poveri chiedendo e ottenendo la cittadinanza indiana nel 1948. Nel 1949 si unirono a lei due sue ex allieve e nel giro di poco tempo Madre Teresa poté contare su un gruppo di dodici giovani donne che l’aiutarono ad aprire alcune scuole nella baraccopoli di Calcutta. Nell’ottobre del 1950, le Missionarie della Carità ottennero il riconoscimento ufficiale come nuova congregazione religiosa a livello diocesano. Ricordando quei tempi Madre Teresa affermò: “Nel decidere che cosa fare non ci siamo affidate a nessuna forma di programmazione né a idee preconcette. Abbiamo cominciato a lavorare in base alle necessità delle persone sofferenti. Dio ci indicò che cosa fare”. Nel giro di pochi anni le Missionarie di Madre Teresa avevano esteso la loro opera assistenziale in 59 centri di Calcutta e oltre ai tradizionali 3 voti religiosi di povertà, castità e obbedienza, esse adempivano ad un quarto voto specifico della loro Congregazione che le impegnava “a servire in modo totale e gratuito i più poveri fra i poveri”. Nel 1965 le Missionarie della Carità, che erano oltre 300 suore quasi tutte indiane, ottennero il riconoscimento pontificio e in circa un quarto di secolo la Congregazione riuscì ad allestire quasi cinquecento centri in oltre cento paesi del mondo. Le difficoltà, per quanto numerose, non riuscirono mai a fermare Madre Teresa. Ovviamente le critiche a lei e alla sua opera non mancarono. Fu accusata infatti di occuparsi dei singoli individui invece di combattere contro le strutture che generavano la povertà. Ma Madre Teresa con semplicità diceva: “Se la gente è convinta che la sua vocazione è quella di cambiare le strutture, allora è quello il suo compito”. L’opera di Madre Teresa non poteva rimanere nascosta e cominciò una gara nel premiarla. Ecco alcuni dei riconoscimenti nazionali ed internazionali.

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1962  Premio Pamada Shir;

1962  Premio del governo filippino Ramon Magsaysay;

1971  Premio Papa Giovanni XXIII per la Pace (che le consegnò personalmente Papa Paolo VI);

1971  Premio Buon Samaritani, conferitole a Boston ;

1971  Premio internazionale John F. Kennedy, conferitole a Washington;

1972  Premio Nehru;

1973  Premio Templeton;

1973  Premio “La madre di tutte le madri”;

1978  Premio Balzan;

1979  Premio Nobel per la Pace;

1983  Premio della Pace;

1985  Medaglia della Libertà, il premio più prestigioso negli USA;

1988  Medaglia della Pace, il premio più alto nella ex URSS.

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Un giorno del 1975, durante un’intervista, prese una matita lunga cinque centimetri e, tenendola in mano fra il pollice e l’indice, disse al giornalista: “Guardi quel che sono, una matita di Dio. Un mozzicone di matita con cui egli scrive quel che vuole”.

Nell’autunno del 1991 Madre Teresa, all’età di ottantuno anni, partì da Calcutta per un viaggio che la portò a Roma, Varsavia, New York, Washington e San Francisco. Ad un certo punto crollò, perché aveva eccessivamente affaticato il cuore. Quando si ristabilì, i medici le chiesero di riposare maggiormente, ma lei rispose che avrebbe avuto tutta l’eternità per riposare. Nel settembre 1992 fu sottoposta a Calcutta ad un intervento chirurgico per disostruire un vaso sanguigno e sembrò lì per lì per morire. Ma si riprese anche questa volta e riprese a viaggiare per il mondo e a visitare le case della Congregazione. Nel marzo 1998 la Congregazione accolse finalmente la sua richiesta, formulata per la prima volta quasi dieci anni prima, di dimettersi dall’incarico di Superiora Generale e decise di eleggere la suo posto Suor Nirmala, un’indiana che si era convertita al cattolicesimo dall’induismo.

Madre Teresa morì a Calcutta la sera del 5 settembre 1998. Subito il governo indiano annunciò che il giorno 13 settembre Madre Teresa avrebbe ricevuto un funerale di stato. Infatti il piccolo corpo consunto di Madre Teresa avvolto nel sari bianco bordato di blu fu trasportato lentamente attraverso le vie di Calcutta sullo stesso affusto di cannone che nel 1948 era stato usato per il funerale di Gandhi. Subito iniziò il processo di canonizzazione e la domenica 19 ottobre 2003 il papa Giovanni Paolo II, in Piazza San Pietro, la beatificò. Più di trecentomila pellegrini provenienti da varie parti dell’India, dell’Albania, del Kosovo, dell’Italia e del mondo confluirono in Piazza San Pietro e quel giorno fu la festa dei poveri, degli abbandonati, dei lebbrosi.

Il pontefice, anziano e visibilmente affaticato, ricordando la sua amicizia con la piccola suora indiana disse: “Sono personalmente grato a questa donna coraggiosa, che ho sempre sentito accanto a me. Icona del Buon Samaritano, essa si recava ovunque per servire Cristo nei più poveri fra i poveri. Nemmeno i conflitti e le guerre riuscivano a fermarla. Ogni tanto veniva a parlarmi delle sue esperienze al servizio dei valori evangelici. Ricordo, ad esempio, i suoi interventi a favore della vita e contro l’aborto (…). Soleva dire: se sentite che qualche donna non vuole tenere il suo bambino e desidera abortire, cercate di convincerla a portarmi quel bimbo. Io lo amerò, vedendo in lui il segno dell’amore di Dio”. Papa Francesco ha canonizzato Madre Teresa il 4 settembre 2016.

Il cardinale Comastri conobbe Madre Teresa nel 1968 e ricorda: “La prima volta che l’incontrai mi chiese: “ Quante ore preghi ogni giorno?”. Rimasi sorpreso da una simile domanda e provai a difendermi dicendo: “ Madre, da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare di più i poveri. Perché mi chiede quante ore prego?”.  Madre Teresa mi prese le mani e le strinse tra le sue quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore; poi mi confidò: “ Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri!”.

22 commenti su “Nel ventesimo anniversario della morte di Madre Teresa di Calcutta – di Don Marcello Stanzione”

  1. tanti premi qui in terra, e le auguro anche il premio eterno, in Cielo! A meno che per ‘premio etreno’ e per ‘Cielo’ non s’intenda qualcosa che ha il senso della indeterminatezza, buona per ogni gusto, per ogni fede, come per ogni fede qui in terra era ben disposta la detta suor Teresa, come si mostra in atteggiamento orante in ginocchio davanti alla statua di Budda!

    1. Caro Bruno, sai già che non ritengo valide le canonizzazioni fatte dai papi conciliari (tranne Padre Pio), ragion per cui tutto il trionfalismo creato ad arte attorno a questa figura di “operatriice sociale” non mi dice niente, quanto a vera dottrina cattolica. Sai bene, come so io, che la prima forma di carità è la verità, l’aiuto materiale viene dopo; quindi, se uno omette la parte più importante della carità, non può essere indicato a modello di virtù cristiane. Così almeno la penso io, checché ne dica “il mondo” (che sappiamo bene da chi è manovrato). So di un missionario che battezzava d nascosto i neonati in pericolo di vita, figli di musulmani, perché i loro genitori non glie lo avrebbero permesso : quello sì che era un santo ! anche le levatrici, un tempo, battezzavano subito i nascituri a rischio di morte, sante donne anche loro !

      1. è davvero questo il pensiero del (vero) ‘catholicus’ ( come vedi anche nella mia risposta qui sotto a Matteo). E da non dimenticare mai, anche in ordine alla soluzione dei problemi sociali, la frase di Cristo: “Cercate prima di tutto il regno di Dio, e tutto il resto vi sarà dato in SOVRAPPIU'”. Ma se io non cerco il Regno di Dio, e non faccio niente per affermarlo, anzi mi vanno bene tutti i ‘regni’ di questo mondo, tutta la mia ‘carità’ è solo un battere l’aria: sempre punto da capo.

        “Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam”.

  2. non sta a me giudicare l’operato di questa suora che Dio conosce meglio di tutti, ma – anche se dapprima la consideravo un’esempio – da quando ho poi appreso alcune affermazioni, e dal numero di riconoscimenti del mondo, qualcosa non mi quadrava più … “guai a quando tutti diranno bene di voi!”. Ho saputo anche che – su invio di Giovanni Paolo II – si è presentata – senza essere accolta – al distretto della FSSPX per convincere mons. Lefevre a ritrattare le sue decisioni… Bah!

    1. e infatti una che prega Buddha- o che esprime venerazione verso Buddha, o che in generale mette alla pari tutte religioni del mondo, e quindi Cristo con Belial, e quindi gradita a tal punto al mondo da ricevere tutti quei premi dal sapore squisitamente massonico, si può star certi che , oggettivamente, non è proprio inquadrata nell’ortodossia cattolica ( e si sa che senza la fede non si può essere graditi a Dio- San Paolo…)

  3. Disse di aver sentito la voce di Gesù dalla Croce : “Ho sete”. Un richiamo che la Santa non lasciò mai inascoltato, forte della Fede operosa nell’Unigenito Figlio di Dio, Salvatore dell’umanità.

  4. Ha salvato tanti poveri dalla fame ma non dalla perdizione, perche’ ne ha convertiti pochissimi. Pensava a farli mangiare e acurare le malattie del corpo, ma li lasciava senza Dio.

    Preferisco di gran lunga Padre Pio.

  5. Una donna operosa nella carità e nel sacrificio, fino all’estremo. Però son d’accordo con Emax… da qualche tempo, tutto quello che è osannato dal mondo (e che mondo, in questo caso: faceva parte dello stesso gruppo caritatevole/à la page anni ’80 di Lady Diana, Elton John, George Michael e compagnia filantropica bella) mi puzza di zolfo. Lo so, lo so, dai frutti li riconoscerete, e i suoi frutti sono stati positivi. Però spesso le azioni caritatevoli si perdono come goccia nel mare della miseria, voluta e perpetuata dagli incivili governi autoctoni delle ex colonie indiane e africane; e persone come lei diventano comodi paraventi da osannare mentre non si fa nulla per eliminare alla radice le cause della povertà. Madre Teresa e mille altri come lei non ci sono più. Ma Calcutta rimane e rimarrà sempre Calcutta.
    San Rocco fu santo perché aiutò i malati, e va bene. Ma furono molti monaci anonimi e poi Benito Mussolini a bonificare le zone malsane del nostro Paese, eliminando alla radice il problema.

    1. esatto. Cristo è venuto a liberarci l’anima ( e quindi il corpo) dalla morte eterna, non il corpo dalla morte per fame o per malattia o per vecchiaia. Dispiace dirlo, ma Suor Teresa è un’icona della ‘religione universale’, e sappiamo da chi questa è promossa…”E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna…Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”. E ancora: “Che gioverà infatti allʹuomo guadagnare il mondo intero, se poi perde lʹanima sua?”.— Certo, la carità verso il corpo, ma prima la carità verso l’anima; quella in funzione di questa, perché il corpo si salva salvando l’anima.

    2. Non possiamo comparare le biografie di Mussolini e di Madre Teresa.
      Uno scelse il potere, anche se ne indovinò qualcuna, l’altra scelse il servizio, operando per amore di Cristo al quale si sentiva legata con vincolo sponsale. Madre Teresa ha scelto di abbracciare la croce del suo Signore con coraggio e per amore. La gloria le è arrivata come premio. I premi che Dio le mandava li accettava per i suoi poveri e non perché avesse carenze di immagine. Era troppo sicura e forte per bramare la stupidità degli applausi.
      Fu tutta un dono, accettando anche la stimmata di perdere la consolazione della fede a favore degli atei. Come il suo Signore dovette dire: “Padre perché mi hai abbandonato?”
      Ci era già passata santa Teresina del Bambino Gesù della quale aveva voluto il nome.
      Madre Teresa fu grande madre amando le persone nella loro interezza, anima e corpo. Chi disprezza le opere di misericordia corporale in realtà non ha ancora imparato ad aprire la mano per donare. Ma Dio per sua natura è dono e Gesù ce lo ha mostrato.

      1. Maria, non sto comparando le due biografie, né mettendo in dubbio l’altruismo assoluto di Madre Teresa. Dico solo che spesso le azioni caritatevoli lasciano purtroppo il tempo che trovano, se i governanti (brutti, sporchi e cattivi ma pur sempre dotati della possibilità di intervenire incisivamente sulle vite dei governati) non sanano alla base certe situazioni. E in tutto il terzo mondo – ma ultimamente anche nel nostro primo mondo – i governanti semplicemente se ne fregano dei governati, magari coprendo di lodi e visibilità i pochi che si spendono per gli altri (basta vedere le manfrine dei nostri PDioti nei confronti del mondo del volontariato e della stessa Chiesa cattolica).
        Tutto questo anche senza entrare nel merito, e cioè nel fatto che la Santa di cui parliamo non mise mai al primo posto la Parola, il Verbo fatto carne. Non di solo pane vive l’uomo!

  6. Come già scritto a suo tempo non condividendo le affermazioni del caro Alessandro Gnocchi, ritengo ingenerose le critiche rivolte alla Santa che ha dimostrato con la vita una straordinaria dedizione al servizio dei sofferenti nel nome di Cristo, e ringrazio don Marcello Stanzione, di cui nessuno spero voglia mettere in dubbio l’ortodossia, per l’articolo celebrativo che condivido. Un saluto al Direttore e a tutti gli affezionati frequentatori del sito.

    1. la sofferenza prima viene dal peccato: se non liberi dal peccato, facendoti strumento di Cristo, predicando Cristo e la sua liberazione dal peccato- altro che buddha e maometto vanno bene – , disinteressandoti del peccato che è all’origine della sofferenza di ogni ingiustizia e della morte, che fai? Dove l’accompagni il povero moribondo che tieni tra le tue braccia??? E perché quello deve morire come un paria dopo una vita da paria, come vuole quella ‘cultura’? Allora molto meglio quelli che ti liberano dalle supersizioni della casta e della mucca sacra, e ti aprono la via al progresso sociale ed economico, per tutti, senza distinzioni nate da pura follia, e rispettate perchè espressioni di una cultura… (cultura di morte….)

      1. Vero bbruno, non dimentichiamo che il Cristianesimo affrancò gli schiavi e se non sanò le enormi differenze sociali dell’epoca post-imperiale, almeno sbloccò le rigide paratie sociali che impedivano l’ascesa dei più umili (ma dotati) a ceti più elevati. E proibì di considerare bestie le persone di classe più infima, come tuttora avviene in India e come avveniva per esempio nell’America precolombiana (vedasi l’ottimo Apocalypto di M. Gibson). Non vedo nelle moderne organizzazioni caritatevoli cristiane la stessa volontà di scardinare, in nome del Vangelo, strutture sociali fondamentalmente ingiuste.

  7. Madre Teresa è stata certamente una “piccola grande donna” che ha speso la vita a servizio dei poveri, ma il “mio” santo della Carità (quella vera, di Nostro Signore) è san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Un prete piemontese, un gigante della Fede.

  8. Considerando ciò che ho letto altrove a suo tempo, e cioé che aiutava i moribondi a morire in pace con i loro “dei” e non con l’unico vero Dio, mi sorge qualche dubbio sulla sua santità. Ma non ho modo di verificare se ciò fosse vero o no. Ora, ciò che leggo qui nei commenti, aumenta ancora i miei dubbi in proposito.
    Su tutto mi tornano sempre in mente le terribili parole pronunciate da San Paolo: ” se anche dessi il mio corpo per essere bruciato come un olocausto, ma non avessi la Carità (cioé la Grazia Santificante di Dio) niente mi giova”.
    Spero per lei che si sia salvata, ma certo non mi raccomanderei alla sua intercessione per impetrare Grazie dal Cielo.
    Albino

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