Nostra signora del Miur esorcizza il nozionismo

Fra tutti quelli che a casaccio occupano ruoli istituzionali, una signora dalle rosse labbra merita una menziona particolare. Non perché appaia meno casuale il fatto che Tizio o Caia siano stati messi a capo della sanità pubblica, della giustizia(!), della sicurezza o dell’economia, dell’agricoltura, o degli affari esteri o d’altro. Sarebbe ingeneroso verso la signora affermare che, quanto ad adeguatezza, costoro siano migliori di lei. Per non salire più in alto o scendere nei sottoboschi ministeriali, o non considerare il Tosco che se ne va per la città del foco deciso a mai parlare onesto. No, non bisogna fare torto a nessuno di quelli che, sguazzando nella stessa palude stigia, hanno condotto la vita politica ad un degrado mai conosciuto neppure al tempo dell’aula sorda e grigia, o dalla fuga ad Ortona. 

Di certo la signora dalle rosse labbra, come tutti gli altri compagni di ventura, non si pone il problema, che sarebbe anche un problema di coscienza, se basti davvero la procedura a giustificare l’occupazione di una carica pubblica. Perché verrebbe varcato appunto lo spazio dell’etica pubblica e della morale individuale, che a questi signori e signore casualmente al potere deve riuscire del tutto sconosciuto.

D’altra parte nessuno di quanti hanno preceduto la Azzolina alla Pubblica Istruzione negli ultimi decenni ha ricoperto tale funzione senza contribuire all’affossamento progressivo della scuola, fino al colpo decisivo inferto a questa dal Tosco di cui sopra.

Non dobbiamo sottovalutare neppure il fatto che questa signora è stata chiamata a sostituire un tizio costretto a dare le dimissioni per averle sparate troppo grosse, e che dunque deve essersi impegnata a cancellare rapidamente anche questo ricordo recente perché nessuno possa sfigurare.

Così la signora, che stando al gusto corrente, potrebbe essere definita “solare”, ha subito gettato sul tappeto, con audacia speculativa, anche l’annoso problema del nozionismo. Un problema che ci affligge da lustri, da quando, nato come proprium di una certa militanza politica, dopo aver dato vita a tutto un filone intellettual-ideologico, è divenuto un tema poi ad ampio spettro democratico, cioè ampiamente condiviso. Che tanta condivisione derivasse dagli automatismi di gregge, dai cattivi pregressi rapporti personali con l’apprendimento scolastico, da cecità ideologica o da ottuso pragmatismo, in ogni caso la eroica lotta condotta da diversi fronti contro il nozionismo è sempre stata pronta a riaccendersi come ogni irrisolta guerra di religione.

Solo che in realtà si è trattato e si tratta di una vera e propria guerra contro la scuola in sé, cioè contro quello che essa non può non essere e che non si vuole che sia: la palestra in cui giorno dopo giorno con più o meno fatica a seconda delle diverse attitudini individuali, insopprimibili come la conformazione fisica, vengono potenziate attraverso lo sforzo e l’esercizio quotidiano. Il nozionismo è diventata l’accusa infamante che serve per distruggere l’istituzione, che pare giungere ora al proprio fatale capolinea digitale. 

Lo Zingarelli dice che per nozionismo si intende il “far apprendere molte nozioni senza coordinamento”. Dunque la parola indica un metodo sbagliato di insegnamento, quello di chi presenti delle nozioni senza coordinarle adeguatamente e finisce per rendere difficoltoso o zoppo l’apprendimento stesso. Insomma, quando parliamo di nozionismo facciamo riferimento a un difetto di trasmissione delle conoscenze. Ma dovremmo anche aggiungere che un tale difetto non può essere imputato per principio alla stragrande maggioranza degli insegnanti, come uno stigma imprescindibile. Anzi c’è da dire che, anche quando ne difettassero all’inizio, nella normalità dei casi essi acquistano con l’esperienza la capacità di organizzare in modo adeguato la materia di insegnamento.

Insomma quello del nozionismo non può non essere che un fenomeno marginale, di insegnamento difettoso, che viene elevato illogicamente a vizio capitale della scuola italiana. Infamare la scuola, e soprattutto un certo tipo di scuola, in quanto fondata sul nozionismo, significa scambiare lucciole per lanterne, la legge con il trasgressore, il precetto con il peccatore. Mentre invocare un giorno sì e l’altro pure riforme salvifiche della scuola in quanto rea di nozionismo, è come dire che l’automobile non funziona e va cambiata perché qualcuno, non sapendo guidare, ingolfa il motore.

Ma l’assurdità del discorso nasconde ben altro veleno, e la questione è tutt’altro che di lana caprina. Perché in realtà si colpisce il nozionismo per colpire la nozione, cioè il mattone dell’insegnamento. Infatti, nella visione e nel lessico di questi fustigatori della scuola, nozionismo sta per nozione, e i due termini diventano interscambiabili come sinonimi. Gli aspiranti riformatori in servizio permanente scambiano la questione di metodo, che non li appassiona perché non li appassiona il senso delle parole, con la sostanza, e quello che alla fine li spaventa è proprio la nozione. Eppure nozione non è una brutta parola e tanto meno una brutta cosa. Essa deriva da nosco, che è l’atto del conoscere, ne è la condizione perché strumento di ogni atto conoscitivo. Nozione è ogni nucleo concettuale, che l’uomo è capace di acquisire ed elaborare nella sua distanza siderale da altri esseri viventi.

Se la scintilla del pensiero ha acceso negli umani il fuoco prometeico, è perché le nozioni, legandosi le une alle altre, tessono quella la trama che può elevare il pensiero fino alle altezze dell’astrazione. Stanno a rappresentare il sangue che va a formare la sostanza culturale di un individuo. L’insegnante da parte sua, per sviluppare le capacità conoscitive del discente, perché questa è la funzione della scuola, deve proprio fornire nozioni, cioè i mattoni irrinunciabili di ogni edificazione culturale. Eppure, nonostante questa evidenza, la nozione è diventata parola sconveniente e per certi versi pericolosa. Ed ecco che la presunta critica del nozionismo, all’apparenza stucchevole e alla fine oziosa, in realtà, prendendo di mira la nozione e con essa la trasmissione della conoscenza, ha puntato al cuore della scuola così come deve essere. E questo la dice lunga sulla intelligenza, sulla levatura etica e sulla stoffa culturale dei perenni aspiranti riformatori. 

Ma perché mai, dobbiamo chiederci, tanto accanimento contro le nozioni in senso proprio, ritenute addirittura capaci di ingolfare i cervelli? Si possono ipotizzare diversi tipi di ragioni.  Una prima di ordine sociologico. La tecnica, sollevando gli individui da tante fatiche quotidiane, ci ha convinti che la fatica debba essere evitata per quanto è possibile, anche qualora fosse il prezzo per un bene superiore. Se lo studio, l’applicazione quotidiana, lo sforzo dell’apprendimento per qualcuno può diventare piuttosto faticoso, bisogna che sia alleggerito per tutti, in modo che tutti senza la fatica scolastica possano vivere meglio i propri irripetibili anni verdi. E qui entra in scena tutta quella psicopedagogia moderna così impegnata a spianare la strada ai più giovani come si abbassano i gradini dei marciapiedi. Luciano Canfora ha chiamato questi facilitatori demiurgici, “setta ereticale pericolosissima” responsabile di avere lanciato un allarme micidiale per le giovani menti: “mai lo sforzo mnemonico”. 

Va da sé che a pagare lo scotto di questo anatema altamente scientifico sono anzitutto le stesse capacità di apprendimento cui viene sottratto quello strumento meraviglioso di conoscenza e di crescita fornito dalla memoria, indispensabile anche per attivare l’associazione di idee. Senza contare quale fatica potrà richiedere più tardi, ad una mente poco allenata, ad esempio lo studio necessariamente anche mnemonico di un trattato di microbiologia. 

Dal punto di vista oggettivo queste dottrine ereticali mirano a colpire intenzionalmente proprio quelle discipline ritenute responsabili del gratuito affaticamento adolescenziale: la storia, le lingue antiche, la grande letteratura eccetera, cioè quelle “che non servono” secondo una ben nota lapidaria sistemazione teoretica. Mentre sono proprio quelle le materie di studio capaci di sviluppare, più di ogni altra, anzitutto un ampio e fecondo orizzonte culturale. E di seguito uno spirito critico indispensabile per leggere e penetrare la varietà del reale. Uno spirito critico che, proprio in questa nostra realtà contemporanea complessa e contorta come nessun’altra nella storia, può servire da guida e anche da difesa. 

Ma il tentativo di risparmiare ai più giovani la fatica della elaborazione speculativa e conoscitiva sulla base dell’assioma per cui è meglio un asino vivo che un dottore morto, risponde di fatto ad un interesse meno banale di quello dalla facilitazione salvifica. Che la setta ereticale e i genitori consenzienti e plaudenti siano o meno consapevoli del danno enorme prodotto dalla loro compassionevole ricetta, sta di fatto che generazioni di individui deprivate di un adeguato spirito critico e addormentate nel sonno dello slogan egualitario e del calcolo numerico automatico finiscono per non essere in grado di elaborare neppure un’idea diversa da quella imposta dal mercato, dalla politica e dal potere. Si forgiano generazioni capaci solo di non disturbare il potere e le sue applicazioni. 

Anche questo sfugge naturalmente a nostra signora del Miur come continua a sfuggire ai ruminatori di idee irriflesse. E siccome le scemenze, come le menzogne, a forza di essere ripetute si volgono nel loro contrario e dunque diventano cose intelligenti, il nozionismo continua a divorare la nozione che deve essere espunta dalla attività didattica per non affaticare i cervelli, ma anche per fare spazio, perché, come diceva Manzoni, “nel vòto ci entra più roba”. L’otturamento dell’imbuto per troppe nozioni affanna dunque, come è noto, anche nostra signora del Miur, già impegnata a liberare le cervici da ogni eccesso cognitivo, in modo che da esse tutto possa scorrere via senza pericolo di sedimentazioni. 

Tanti hanno criticato la metafora dell’imbuto intasato scelta dalla ministra, senza comprendere la filosofia di una intellettuale filosoficamente attrezzata, che vuole eliminare col nozionismo anche le nozioni per avere teste libere e belle anche sotto i capelli più fluenti, come quelli ministeriali. 

Anche la eliminazione del tema di italiano e di quello di storia dagli esami di maturità appare perfettamente al passo coi tempi e con questa visione filosofica che punta alla fabbricazione di automi in attesa di essere sostituiti dalla robotica. 

D’altra parte la fatica di pensare la possiamo lasciare oltreché alla Azzolina, a Saviano, alla Gruber, a Delrio a Bonafede, alla Bellanova, alla Cirinnà e Floris e a Mara Carfagna, e a tutti gli altri pensatori di prestigio, liberati mirabilmente e per tempo dalla zavorra dello intasamento cognitivo.

7 commenti su “Nostra signora del Miur esorcizza il nozionismo”

  1. A forza di polemiche contro il nozionismo, abbiamo forgiato una generazione incapace di fare 2 più 2 senza calcolatrice e pronta a affermare che Giustiniano è il padre di Dante Alighieri

  2. Mirano al potere (il potere allo stato puro, “il Potere”: che non è certo quello economico, ma quello sulle nostre anime) cercando di abolire la nostra capacità di pensare. Gente come la Azzolina non si rende nemmeno conto della enormità del disegno maligno di cui è i devota servitrice.

  3. Patrizia, mi vene in mente Fantozzi nella clinica per il digiuno:”Lei mangia, Fantozzi, LEI MANGIA!!!”
    Vale anche per te, cara Patrizia: l’articolo lascia chiaramente trapelare che tu sei piena di nozioni! “Lei pensa, Fermani. LEI PENSA!!!”.
    Buon lavoro, carissima! La palude stigia non deve inghiottirci!
    Bruno PD

  4. Splendido articolo Sig.ra Patrizia!
    Grazie!
    Non dimentichiamoci che la Sig.ra dalle rosse labbra proviene dai fautori della “decrescita felice”, e la sua politica a favore delle alleanze di partito, non può che asservire a forgiare branchi di sardine ignoranti per un futuro senza riflessioni e domande, dove sarà molto più facile governare indisturbati.
    Ha ragione il Sig. Bruno: per non affondare nella stigia bisogna usare ogni mezzo.

  5. Chi ci libererà dalle spire del serpente infernale?, dagli artigli del drago rosso?, dagli intrighi e dai complotti dell’élite massonica mondiale, adoratrice di Lucifero, e dai suoi prestanome? (politici e falsi religiosi, i due volti del moderno cesaropapismo di origine e ispirazione diabolica). Forse l’aiuto insperato verrà da Oriente, come sembra, ascoltando le coraggiose parole di Vladimir Putin (San Vladimiro, Madonna di Kazan, aiutatolo voi, proteggetelo e donategli la vittoria) : https://gloria.tv/post/1dtS9i8PqtgG2cWXAfUzNeHMD
    Un altro coraggioso esponente della Resistenza antimassonica, in questo caso quella incarnata dalla falsa chiesa bergogliana: mons. Richard Williamson, dell’Unione Sacerdotale Marcèl Léfèbvre:
    http://www.unavox.it/Documenti/Doc1338_Williamson_30.05.2020.html

  6. DON ETTORE BARBIERI

    Nel 1979 il prof. Leonardo Benevolo, docente di Architettura alla Sapienza, pubblicò un libro intitolato “La laurea dell’obbligo”, nella collana i Giornalibri de “il Giornale” di Montanelli.
    In quel testo, analizzava una selezione di circa 3000 temi, scritti da studenti universitari, pieni di strafalcioni, dall’ortografia, alla sintassi, alla storia e così via e vedeva nella riforma della Scuola media unica del 1963 l’origine di quell’ignoranza, ritenendo che la Scuola elementare tenesse ancora.
    In realtà, anche quest’ultima era già oggetto di riforme più o meno discutibili già dai primi anni Settanta.
    Lo smantellamento della Scuola in Italia, intesa come luogo del sapere che si acquista con impegno, è in atto da almeno sessant’anni, il che vuol dire che ne risentono tutti quelli che hanno dai 60 anni in giù.
    Il processo è andato sempre più peggiorando, man mano che morivano o andavano in pensione quelli formati prima.
    L’ideologia egualitaria che animava i “riformatori” o i “rivoluzionari” di allora è divenuta utilissima al potere per riempire le teste vuote, che la Scuola sforna, di qualunque idea.

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