Ora anche i morti si riproducono. Per legge – di Elisabetta Frezza e Roberto Dal Bosco

Ecco a noi l’ennesimo numero acrobatico – un numero in cui, è il caso di dire, ci scappa pure il morto – della magistratura italiana. Una magistratura che si crede legislatore (in tempo di gender ognuno può essere quello che si sente di essere) e lo fa. E gli altri glielo lasciano fare. Il giudice dunque si intesta il potere legislativo, ovvero formula egli stesso la norma da applicare al caso concreto e si pronuncia in base alla norma inventata, che è contra legem ma rigorosamente in linea coi dettami superiori della necrocrazia.

CASSAZIONE E NECROCRAZIA Il giochino, si badi, non è praticato da un giudice qualsiasi, ma nientemeno che dal giudice supremo di legittimità. Il che significa che non si tratta di uno svarione di qualche pesciolino periferico, magari in cerca del plauso di una parte politica, bensì di un programmatico atto di sovversione munito di copertura ultra e sovra nazionale.

La Cassazione – ribaltando le sentenze di primo grado e di appello, che avevano avallato l’operato dell’ufficiale di stato civile – ha stabilito che sono da considerarsi legittimi anche i figli nati tramite fecondazione artificiale intrapresa dopo la morte del padre genetico con il suo seme crioconservato, e impone al Comune di residenza della madre di registrare la paternità all’anagrafe.

Il fatto che la procreazione assistita post mortem sia vietata dalla legge italiana (e infatti la madre della bambina si era sottoposta al trattamento di inseminazione in Ispagna) per la Corte Suprema è un dettaglio trascurabile. Talmente poco rilevante da potersi considerare tamquam non esset ai fini della sentenza definitiva, perché – ai sensi del novum ius Cassationis – «la consapevole scelta alla genitorialità» va riferita al momento del consenso e si proietta nell’avvenire illimitato. Dunque, via libera ai nati dai morti.

CONSENSO NECROFILO, CONSENSO PEDOFILO E qui c’è solo da osservare, incidentalmente, come l’impostazione volontaristica, imperniata sul taumaturgico “consenso” pigliatutto (io sono d’accordo, quindi nulla osta: per esempio al suicidio, al figlicidio, alla predazione dei miei organi estratti a cuor battente), sia capace di trasformare qualsiasi nefandezza in cosa buona e giusta, a partire (tanto per fare un esempio) dalla pratica oscena della pedofilia, della cui overtonizzazione tramite consenso del minore violato c’è traccia visibile anche provvedimenti partoriti dall’Unione Europea, ad esempio la Raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle «misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere». Punto n°18: «Gli Stati membri dovrebbero assicurare l’abrogazione di qualsiasi legislazione discriminatoria ai sensi della quale sia considerato reato penale il rapporto sessuale tra adulti consenzienti dello stesso sesso, ivi comprese le disposizioni che stabiliscono una distinzione tra l’età del consenso per gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso e tra eterosessuali (…)». Abracadabra.

Ma torniamo a noi. Dunque, ci siamo arrivati per via giurisprudenziale: si può procreare da morti. La tecnica lo ammette, l’autorità lo ratifica, il morto acconsente, la legge si faccia gentilmente da parte.

IL PADRE DEVE MORIRE. A PRESCINDERE L’esito è bellissimo. Perché è la plastica fotografia del sottofondo psicologico, sociologico e teologico cui vogliono portare la nostra epoca, e cioè l’assenza totale del padre: quella subita e somatizzata da tanti omosessuali. Di più, la morte del Padre: quella agognata, prima che da Nietzsche, da quel tale di nome Lucifero.

La curiosa vicenda merita un paio di considerazioni. La prima, di ordine politico-istituzionale, è la seguente. La legge 40 (sulla procreazione medicalmente assistita, tradotto: produzione dell’uomo in laboratorio) è stata costruita apposta per essere distrutta per tappe progressive. Lo sappiamo, lo abbiamo scritto più e più volte: tante piccole bombe erano già piantate in profondità nel suo testo scivoloso e truffaldino in attesa degli interventi demolitori della Corte Costituzionale, già preordinati in partenza sui singoli pezzi minati.

Ora, ci pare di capire, lo stesso giudice costituzionale è scavalcato d’un balzo e il disposto di legge ingombrante, invece che essere fatto saltare su comando dell’organo competente (asservito e telecomandato, sì, ma ancora formalmente titolato a eliminare una norma di legge sul presupposto della sua incostituzionalità) si può tranquillamente ignorare per iniziativa del giudice ordinario, che fa da sé, disapplicando la norma.

Del resto, ci siamo abituati: nello Stato cosiddetto di diritto dedito al culto della legalità (la cui catechesi obbligatoria è impartita al bravo cittadino-soldatino dalla culla alla tomba), una pratica penalmente vietata quale l’utero in affitto – punito con reclusione e multa milionaria – di fatto mai è stata perseguita, nemmeno in casi conclamati e persino ostentati, come quello di Nichi Vendola e del suo moglio, o del candidato sindaco bergamasco pentastellato, tale Anesa, e del suo consorte monosessuale (in onore dei quali ultimi, il sedicente difensore dei nostri figli Massimo Gandolfini ha provveduto in questi giorni a cancellare una conferenza sul tema potenzialmente “divisivo” dell’utero in affitto, imponendo un cattolicissimo silenzio strategico sul mercimonio di uteri e di esseri umani innocenti per l’interesse superiore della realpolitik pentaleghista: bravo!).

ADDIO BOXINO DISPERATO L’altra considerazione è di ordine, diciamo così, giornalistico. La cosiddetta bioetica non tira più, è datata, superata dagli eventi tecnologici, e pure da quelli teologici: una decina di anni fa notizie come queste facevano la prima pagina, perché l’effetto «ma dove andremo a finire?» vendeva, così come vendeva la polemica che ne scaturiva, almeno di facciata. In genere si traducevano in un articolo a tutta pagina corredato da due boxini: uno riservato al radicale-coscioni-consulta di bioetica di turno, che applaudiva; l’altro al prete-vescovo-cardinale di turno che, a suo modo, fingeva di tuonare contro il pendio scivoloso.

Oggi nulla di tutto questo: oggi l’orrore riprogenetico occupa esso stesso un boxino striminzito, senza polemica, senza contraddittorio (vero o finto), senza più alcun appeal. Cosa fatta, capo ha. E si proceda pure, avanti il prossimo, navigando a vista sotto il cielo senza stelle. Dopo i figli agli sterili sodomiti (l’omosessualità questo è, in natura: sterilità) eccoci ai figli riconosciuti ai morti. Prossima fermata? I robot? Le scrofe con le quali gli scienziati, omosessuali e non, preparano le xenogravidanze?

PER PADRE LO ZOMBIE Qui la biotecnologia faustiana ha toccato un suo culmine mortifero: il morto genera il vivo. La necrocultura che si materializza proprio in senso letterale. Sì: la cultura della morte diventa politica della morte. È l’antitesi assoluta della realtà: la famiglia, struttura naturale che genera e cresce la vita (famiglia naturale, se ci si vuole far intrappolare nel pleonasmo creato a uso e consumo dei nemici della vita) lascia il posto alla famiglia della morte, alla famiglia zombie. Zombie in senso letterale: il padre non è vivo, ma è ancora in grado di generare; il suo seme, quantomeno, è uscito dalla tomba.

I tedeschi sotto il nazionalsocialismo praticavano un macabro rituale simbolico-burocratico: alle giovani donne era consentito sposare”, con tanto di cerimonia e documenti, un soldato morto al fronte, magari sconosciuto. La biotecnologia dello Stato borghese del terzo millennio va oltre le nozze col morto: consente di fare dei figli col morto, e con il plauso delle istituzioni.

Qualcuno ha ancora dei dubbi? Dal punto di vista bioetico, il buon Adolf ha stravinto la guerra.

NELLA GUERRA TERMINALE LE LEGGI NON CONTANO NULLA Urge però a questo punto un pensierino sul ruolo e sull’efficacia della legge: è chiaro dai fatti come, per arginare il male, una legge non conti nulla. Anzi, una legge nata dal compromesso con il male, come tutte quelle che il cattolicume nostrano ci ha servito nel dopoguerra invadendo gli spazi sacri e intoccabili che hanno a che fare con le fasi fondamentali della vita dell’uomo, produce un duplice effetto esiziale: lo straripamento della pratica necrofila e la diffusione capillare del suo credo indiscutibile e deturpante.

Non è una battaglia solo politica, né giuridica: è qualcosa di molto più grande quello a cui, pur nello scoramento di questo panorama di rovina, siamo chiamati. È la guerra terminale dell’umanità contro gli zombie. È la lotta della vita contro la morte.

8 commenti su “Ora anche i morti si riproducono. Per legge – di Elisabetta Frezza e Roberto Dal Bosco”

  1. Bene bene cominciamo con le situazioni tipo “figlio di suo nonno”
    “Nipote di suo padre”
    Con la provetta hanno incasinato l’idea stessa della famiglia!
    E pensare che non solo la sacra famiglia, ma anche la Trinità si basano sulle categorie di paternità e filiazione!

  2. E’ giusto quello che scrivono gli autori: non è solo negare la paternità, cioè il Padre. E’ offenderla, deturparla. Il padre morto che genera un figlio è il sogno di chi diceva “Dio è morto” senza magari essere ateo…

    “Dio è morto” lo diceva Nietzsche, e di fatto Nietzsche è autore di un libro che si chiama “L’Anticristo”.

    Lo fanno studiare alle nostre scuole dell’obbligo, oggi… Mentre i tribunali inneggiano al Padre morto e all’anti-figlio, l’anti-famiglia, l’anti-cristianità.

  3. “Abbenvenuti, a sti mortoni, grandi eggrossi e capoccioni, e tu chessei, un po’ fri-fri, e dimme un po’ che c’hai da dì”.

    “brevo brevo, continua a suonère… non sono mortone, non me chi chiamo frifri, sso’ giudice de cassazione, e te faccio un buscio così…..”

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