Padova. Lo strano caso del dottor Lorenzoni e di una giunta politicamente correttissima – di Patrizia Fermani ed Elisabetta Frezza

È capitato che un vicesindaco di specchiata fede democratica e cristiana, in pieno Consiglio Comunale, rivolgendosi alla esponente della opposizione (ed ex vicesindaco) che chiedeva lumi sulla gestione dei migranti affidata ad una onlus sotto inchiesta, abbia lanciato questo rassicurante, signorile avvertimento: «mi auguro, consigliera, che lei non abbia mai bisogno di questa amministrazione».

Certo, non bisogna drammatizzare. Molti possono essere i fattori capaci di innescare in un caso come questo un umanissimo stato d’ira, quale vis cui resisti non potui. Anzitutto, il comprensibile disagio per la possibile ombra fatta cadere su interessi pubblici e privati. Oppure il semplice odio politico che, forse innaturalmente represso da una ossessiva professione di irenismo obbligato, finisce per esplodere incontenibile in modo liberatorio là dove non dovrebbe. Ma può anche darsi che, in una sorta di esaltazione ideologica, indispensabile per sostenere scelte politiche ormai fallimentari, il Nostro si sia immedesimato per trans-fert in quella Dolores Ibarruri che lanciò dai banchi del Parlamento contro Calvo Sotelo un democratico avvertimento comprensivo di condanna capitale.

Non è questo, ovviamente, l’orizzonte del dottor Lorenzoni, esponente di spicco della amministrazione cattodemocratica che si vanta di avere consacrato alla pace una intera città e che si è giovato del sostegno elettorale degli altrettanto pacifici attivisti dei centri sociali, ora ampiamente rappresentati in Consiglio comunale. Quelli che mesi fa, armati di ordigni esplosivi, travolsero il cordone di polizia per impedire manu militari una manifestazione ideologicamente non gradita di persone disarmate. Quelli che, con sincera vocazione «democratica, inclusiva e non violenta», inneggiavano alle foibe mentre qualcuno provava a ricordarle.

Del resto, il senso democratico e l’amore per i principi costituzionali sono così forti in questa amministrazione di eccellenze, che la giunta ha sentito anche l’esigenza impellente di modificare – con delibera urgente e immediatamente esecutiva – le condizioni previste per la concessione delle sale comunali a quanti intendano organizzarvi eventi culturali di varia natura.

Infatti, d’ora in poi, il richiedente la sala comunale dovrà attestare «di essere a conoscenza e di impegnarsi a rispettare e a far rispettare» la «XII disposizione transitoria» della Costituzione che, come è noto, vieta la ricostituzione del partito fascista.

Nella comprensibile preoccupazione di dimostrare il perpetuarsi nei secoli della comunale fede antifascista, la giunta ha trascurato di considerare come la XII disposizione, che non è mai stata transitoria, al pari di tutte le norme costituzionali non era rivolta al quivis de populo ma al legislatore ordinario, il quale infatti ha promulgato, già nel lontano 1952, la legge sul divieto di ricostituzione del partito fascista.

In ogni caso, a parte queste inezie formali, i cittadini ora sanno che nessuno potrà richiedere una sala comunale per rifondarvi, che so, dalle quattro alle sei del pomeriggio, il disciolto partito fascista.

Non solo. Lo stesso richiedente la sala comunale, d’ora in avanti, dovrà attestare anche «di essere a conoscenza e di impegnarsi a rispettare e a far rispettare» la legge Mancino, ovvero quel ferrovecchio partorito in (maldestra) applicazione di un trattato internazionale che impegnava gli Stati firmatari ad emanare leggi non discriminatorie; impegno questo che, oltre ad essere già assolto dall’articolo 3 della Costituzione (col cosiddetto principio di uguaglianza), non poteva ovviamente essere indirizzato ai singoli individui, perché il “divieto di discriminazione” riguarda soltanto il legislatore. Il singolo cittadino – sempre, si intende, col permesso della giunta padovana e del dottor Lorenzoni – gode ancora formalmente dei noti diritti di libertà, incluso quello, ad esempio, di manifestare la propria simpatia per un partito politico diverso dal loro, o di opporsi a che il pargolo maschio venga abbigliato con tacchi e sottane dalle maestre d’asilo, o di scegliersi il collaboratore domestico che preferisce.

Da parte sua il Comune – evidentemente in omaggio al solito articolo 3 della Costituzione cui la pubblica amministrazione si dovrebbe conformare – negherà la concessione delle sale comunali a chi si dimostri ostile alle “diversità”.

Qui però il problema ermeneutico si fa impegnativo, perché la diversità è un concetto mobile, ambivalente, e per di più in conflitto endemico con quello di uguaglianza. Il che appare evidente se si considera che chi esalta l’uguaglianza sentendosi libero&uguale per definizione – come ad esempio la rimpianta presidenta già in servizio alla Camera -ha poi il problema di conciliare la propria uguaglianza da un lato con l’amore per il diverso, dall’altro con l’odio per chi il diverso non lo apprezza a dovere, ma che a sua volta è diverso da chi si sente uguale. Insomma, c’è un problema oggettivamente difficile da risolvere, e complicato ancora una volta da quel benedetto articolo 3 della Costituzione che bene o male dovrebbe permettere sia agli uguali di amare i diversi, sia ai diversi di non amare gli altri diversi (tenuto conto, come dicevamo, che si tratta di un concetto biunivoco e speculare).

C’è il rischio, alla fine, che non si sappia più a chi si possano concedere le sale.

C’è il rischio anche che, a forza di parlare di democrazia, di diritti, di inclusione, e di tutto quello che prevede il vademecum omologato al pensiero di ordinanza, uno si persuada, seriamente, di dover perseguire a Padova un programma tutto orientato ad “una logica di città della pace”, scordandosi così del tutto delle esigenze primarie dei cittadini autoctoni, e contribuenti.

In conclusione, il vuoto delle idee, della morale e della politica dettata da altri viene riempito dal vuoto delle parole truccate e da ogni altra mercanzia a costo zero del pensiero di ordinanza. Con un posto d’onore riservato al sempiterno antifascismo perché, come diceva Manzoni, “nel vòto c’entra più roba”.

Sono questi i vestiti con cui si ricopre, da troppo tempo, l’arroganza del potere.

 

 

8 commenti su “Padova. Lo strano caso del dottor Lorenzoni e di una giunta politicamente correttissima – di Patrizia Fermani ed Elisabetta Frezza”

  1. E’ incredibile quanto la menzogna ingessi la lingua per non farsi smascherare. Tuttavia certi linguaggi , oltre a presentarsi da soli, immediatamente denunciano o che si sta mentendo, sapendo di mentire, oppure si sta nascondendo qualcosa che non si vuol dire, esempio, che si è al soldo di terzi, o che volontariamente si è rinunciato a pensare con la propria testa perché stanca. Ricordo il gran congratularsi, gli uni con gli altri, perchè le ideologie erano finite e mai più sarebbero ritornate. In realtà le ideologie finirono solo per chi non erano mai cominciate. Gli altri, piano piano ,ritrovarono i loro gusci e vi si infilarono, come ai vecchi tempi, al calduccio di ‘così fan tutti’ i nostri, quindi sono nel giusto anch’io. Raggomitolatisi si addormentarono, svegliandosi solo per ripetere le parole d’ordine che risuonavano da fuori e che loro ripetevano e ripetono, facendo capolino dal loro guscio, per poi rientrarvi ed appisolarsi di nuovo.

  2. prima o poi un bambino griderà tra la folla: “il signor potere è nudo!” e chissà che non salga la vergogna sulla faccia di questi impuniti.

  3. cara Annarita quattro anni fa qualcuno lo ha gridato ma subito “il giornale di potere locale” lo ha additato come fascista!

  4. “Il richiedente la sala comunale …”, in poche parole il senso del nonsenso, ovvero la paura delle idee e del confronto connaturate al concetto stesso di democrazia. Altro che paura del “diverso”, questo è terrore della politica. Naturalmente della vera politica, rappresentata da chi non ha bisogno di minacce né di giuramenti perché ha assimilato e professa nei fatti valori quali il rispetto per i propri simili, l’equilibrio, la Giustizia e l’ordine. Ha a cuore la pace e il bene di tutti.

  5. Cesaremaria Golori

    Continuando a fissare lo sguardo verso il simulacro del Fascismo non si sono nemmeno accorti che sull’altro versante è risorto un pericolo che una volta ( poco più di duecentocinquanta anni fa) veniva gridato con terrore: Mamma li turchi! Un certo signor Erdogan per ora si limita a minacce verbali verso l’Occidente ma ad Oriente ha già inviato le sue truppe per far capire a tout le monde che la minaccia antica è tornata. Come al solito dum Romae condulitur Saguntum expugnatur.

  6. Caspita. Abito a Milano, e mi pareva di essere già sistemato “bene” su tanti aspetti: locale gerarchia ecclesiastica presente e passata che inneggia al meticciato invece che a Nostro Signore Gesù Cristo, persecuzioni penali per chi va al cimitero a pregare e commemorare i morti sbagliati (i caduti della RSI al famoso campo X del Cimitero Maggiore), ultime amministrazioni “arancioni” Pisapia-Sala-compagni che difendono e coccolano i bravi rossissimi ragazzi dei centri sociali… e quant’altro via discorrendo sul genere. Vedo però che altrove si sta anche meglio, e valuterò se trasferirmi a Padova appena avrò capito se più conveniente iscrivermi all’anagrafe come “uguale” o come “diverso”: studierò meglio l’articolo 3.
    Grazie alle Autrici per questo nuovo articolo. Non saremo mai troppo attenti alle parole truccate.

  7. Padova… da sospirare trasognati nel rimembrare quel sindaco PCI che murava i “migranti” dentro la zona Anelli…

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