Il 23 settembre del 1565 il Cardinale Carlo Borromeo (aveva ricevuto la berretta cardinalizia da Pio IV a ventidue anni) entrava a Milano per prendere possesso della vastissima arcidiocesi che si estendeva su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Lo stato dell’arcidiocesi non era dei migliori: da circa ottant’anni mancava un vescovo residente, la disciplina nel clero e negli ordini religiosi era allentata, la preparazione dei sacerdoti assai carente e i costumi di laici e religiosi alquanto decaduti. I positivi effetti, dottrinali, culturali, organizzativi, disciplinali e pastorali del Concilio di Trento, i cui decreti finali erano stati confermati da Pio IV nel 1564, non si erano ancora fatti sentire nella diocesi ambrosiana come altrove.

Ma, soprattutto, incombeva da vicino la temibile minaccia protestante, con le sue persecuzioni anti-cattoliche, la distruzioni di chiese, la dissoluzione degli ordini religiosi, la negazione dei Sacramenti e della Santa Messa. E non era una minaccia geograficamente lontana. Nel 1512 i Grigioni svizzeri, convertiti al protestantesimo, avevano invaso la Valtellina e la parte superiore del Lario ed era iniziata l’oppressione dei cattolici, con la complicità dei magistrati inviati dal Grigionese: sacerdoti assassinati, chiese sottratte al culto cattolico, scoraggiato in ogni modo, benefici ecclesiastici sottratti alle comunità e dati all’infima minoranza di protestanti.

A Poschiavo una stamperia luterana inondava di contrabbando l’Italia di libelli eretici e diffamatori nei confronti della Chiesa mentre agitatori luterani s’infiltravano e diffondevano i loro veleni in tutto il Nord Italia. In Piemonte un accordo (la Pace di Cavour) con il Ducato di Savoia aveva consentito ai Valdesi, che avevano aderito all’eresia calvinista, di occupare alcune valli, dalle quali peraltro sconfinavano spesso per le loro azioni di proselitismo. Ma l’eresia protestante si era incistata anche in ambienti cattolici: in Lombardia, in particolare, il potente ordine degli Umiliati si era avvicinato a posizioni protestanti e calviniste. Un membro di quest’ordine sparò a Carlo Borromeo mentre era in preghiera e il Santo si salvò miracolosamente.

Il cardinale iniziò una instancabile opera (“Ma quest’uomo è di ferro”, aveva detto di lui San Filippo Neri) di riorganizzazione e ricristianizzazione della Diocesi: la disciplina nel clero, regolare e secolare, venne ristabilita, vennero fondati i primi seminari, secondo le direttive del Concilio di Trento, e poi scuole e collegi come quello di Brera e il Borromeo di Pavia. Valorizzata l’opera degli ordini religiosi: gesuiti, teatini, barnabiti. Anche i borghi più remoti ricevettero la sua attenta visita volta non soltanto a indagare sullo stato della Fede, ma anche a spronare, sostenere, aiutare.

Vi è un particolare aspetto nell’opera borromaica e, in senso più ampio, negli esiti del Concilio di Trento, che merita di essere sottolineato: la cristianizzazione del territorio, la sacralizzazione in senso cattolico del paesaggio. Così come nell’XI secolo il chierico cluniacense Rodolfo il Glabro poteva scrivere di “un bianco mantello di chiese” che ricoprì l’Europa, così il nuovo clima di riscossa generato dalla Controriforma destò anche un rinnovato fervore architettonico, con il trionfo dello stile barocco, particolarmente “consonante” con lo spirito controriformista.

Lo scopo non era solamente artistico-devozionale, ma di vera e propria lotta spirituale sul territorio, sui monti, nelle valli, nei borghi. Edifici sacri come fortezze contro l’eresia dilagante da settentrione. Ed ecco il nord della Lombardia e del Piemonte, sotto l’azione borromaica che proseguì ben oltre la morte di San Carlo, riempirsi di chiese, di santuari, di sacri monti (alcuni dei quali precedenti all’azione del Cardinale, ma la cui costruzione da questi ricevettero nuovo impulso), chiesette campestri, cappellette, croci stazionali, tabernacoli, Vie crucis.

Una sorta di “esorcismo territoriale preventivo” per ricristianizzare e difendere il paesaggio, ponendo in essere un atto quasi liturgico. Così lo spiega lo storico Franco Cardini: “Vi sono tuttavia casi nei quali organizzare simbolicamente un territorio […] equivale ad assumerne o a riassumerne il controllo, a renderlo permeabile a certi valori e impermeabile a certi altri, a stendere su di esso una sorta di corte sacrale che gli serva da tutela. Ed esigenze del genere sono profondamente sentite proprio in coincidenza con forti crisi di valori, quando si avverte la necessità di ribadire con energia e fermezza il legame fra una terra, un popolo e una realtà religiosa o filosofica o lato sensu culturale”.

Un particolare significato simbolico-sacrale rivestivano i Sacri Monti, vere e proprie “fortezze del sacro”, “baluardi contro l’eresia” ma anche rappresentazione di Gerusalemme, del Golgota per le Vie Crucis, Centro del Mondo, Porta Santa, biblia pauperum per le sculture e le sacre rappresentazioni. San Carlo volle completare i lavori per il Sacro Monte di Varallo, a lui precedente, poi, su suo impulso e quello dei suoi successori, sorsero quelli di Crea, Orselina, Orta, Varese, Domodossola, Brissago, Oropa, Graglia, Ossuccio, Ghiffa, Valperga.

Tra l’altro, come ha ben documentato l’architetto paesaggista Gilberto Oneto, molti di questi Sacri Monti paiono essere ordinati su uno schema geometrico radiale che si impernia sul colosso di San Carlo ad Arona. Nove di questi Sacri Monti sono stati dichiarati dall’Unesco, nel 2003, patrimonio mondiale dell’umanità.

Il periodo della Controriforma, e non solo nelle aree borromaiche, è anche l’epoca di una ripresa dell’arte sacra, compresa quella liturgica (vasi sacri, paramenti) e delle liturgie pubbliche come processioni e adorazioni. È la risposta cattolica alla feroce iconoclastia protestante, ben descritta da Angela Pellicciari in una sua biografia di Lutero: “Niente più bellezza di chiese, palazzi, conventi, paramenti. Tutti gli oggetti meravigliosi, tutta la splendida devozione popolare con cui i cattolici rendono lode a Dio e fanno festa nel giorno del Signore e nelle solennità religiose, di tutto questo nel deve restare nulla. Il culto – si dice – deve diventare puro. E così, insieme ai beni, anche tutta la ricchezza di immagini sacre, croci e icone, miniature e campane, statue e affreschi, calici e oggetti liturgici, paramenti, processioni, adorazioni, salmodie, sacre rappresentazioni e confraternite, tutto va riformato nel senso di abolito. Tutto deve essere puro. Puro, cioè inesistente”.

Commovente è la sincera partecipazione popolare a questa “campagna spirituale”: tutt’ora le nostre campagne cono costellate di cappelle, croci stazionali, chiesette campestri, spesso ancora oggetto di particolare devozione. Ricordiamoci il bel episodio della “Madonnina del Borghetto” nel film Don Camillo monsignore… ma non troppo, con una strepitosa Emma Grammatica nella parte della vecchia popolana Desolina che si aggrappa all’edicola destinata alla distruzione. Ma anche nei nostri borghi e nelle nostre città erano frequentissime le immagini sacre e le cappelle votive. Spesso, prima del diffondersi dell’illuminazione pubblica, le lampade di queste immagini erano le sole illuminazioni delle strade cittadine.

Oggi, per l’abbandono delle campagne e delle montagne, per l’incuria dovuta alla scristianizzazione ormai dilagante ma soprattutto per l’astio della chiesa modernista e postconciliare e dei preti progressisti per tutte le forme di religiosità popolare e soprattutto del culto della Madonna e dei Santi, molti di questi edifici sono in rovina, le immagini cancellate, spesso vandalizzate.

Certo, non siamo a livello della Francia, ove mediamente tre edifici religiosi al giorno vengono attaccati e vandalizzati (e, sull’incendio di Notre Dame, a molti il dubbio rimane…) senza che le autorità, i media e soprattutto la Chiesa profferiscano parola (il vescovo Pontier, presidente della conferenza episcopale francese, ha dichiarato: “Non vogliamo parlare di persecuzione. Non vogliamo lamentarci”). Tutti sanno benissimo chi sono agli autori di questi gesti blasfemi: i musulmani, poi i gruppi satanisti e ancora i laicisti di tutte le risme: anarco-comunisti, massoni, amici delle Femen, atei militanti (categorie che spesso coincidono con quelle dei satanisti).

Eppure è confortante vedere, nei nostri paesi e nelle nostre valli, cappelle ancora curate, con fiori freschi (spesso restaurate con raccolte di fondi senza alcun aiuto dalle parrocchie locali o dalle diocesi) e passanti che si fermano davanti ad esse per una breve preghiera. La costellazione di queste edicole sul nostro cammino ci ricorda chi siamo, da dove veniamo e dove dobbiamo andare.

La difesa del paesaggio cristiano, la sua cura, il suo rispetto non sono solo un atto sacrale, quasi liturgico, come lo sono le processioni, ormai aborrite dai preti postconciliari, ma atti identitari, di difesa cioè di un’identità fatta di religione, pietà popolare, tradizione, storia, memoria, cultura trasmessa di generazione in generazione, civiltà. Tutto ciò che il totalitarismo rivoluzionario, laicista, liberal e dell’ideologia politically correct odia a morte e vuole distruggere: “Il primo obiettivo di ogni totalitarismo è annientare la memoria”, ha scritto il filosofo conservatore Roger Scruton. L’intellettuale identitario francese Guillaume Faye definisce questo crimine “uccisione dei territori”. E Adriano Scianca rileva giustamente: “Spezzare il legame tra popolo e territorio è più difficile se quello spazio è intriso di memorie, richiami, simboli e storie”.

Il territorio, il paesaggio antropizzato è infatti uno dei fattori più importanti, assieme a quelli etnici, fisici, storici, a determinare “ciò che un popolo è”. Scrive l’antropologa Carla Pasquinelli: “Il luogo non solo ha identità, ma dà identità”.

La distruzione del paesaggio cristianizzato dal popolo cattolico in centinaia di anni è quindi uno degli obiettivi delle forze che operano per la dissoluzione della nostra civiltà, un attacco parallelo a quello dell’invasione dei cosiddetti “migranti” e all’aggressione alla famiglia attraverso l’omosessualismo, l’ideologia gender, la propaganda per l’utero in affitto e via disgustando. Ogni chiesa abbandonata, ogni cappella vandalizzata, ogni simbolo cristiano occultato è un brandello di memoria e d’identità che ci viene strappato. Quando, invece, gruppi di famiglie si riuniscono e decidono di risistemare una vecchia cappella tra le loro case, questo non è solo un atto di “restaurazione spirituale”, ma anche un atto “politico” di difesa di un piccolo nodo del nostro tessuto civile, storico e culturale.

Negli anni ’80 del secolo scorso, nella Russia sovietica, prima a Mosca poi, pian piano, anche in altre città, gruppi di cittadini patriottici di fede ortodossa si organizzarono per restaurare chiese e altri monumenti storici, dandosi il nome di Pamjat, “memoria”. Decine di chiese e monumenti vennero restaurati da questi volontari. Tollerato dal Partito Comunista (e, si dice, addirittura protetto dall’ala “nazionalista” del KGB, quella da cui uscirà Putin) anche per il consenso popolare di cui godeva, Pamjat si trasformerà spontaneamente in uno dei movimenti di opposizione all’ultima fase del comunismo, ma anche al neo-liberismo antipopolare e filo-occidentale di Eltsin.

Naturalmente, la difesa del paesaggio cristiano, dei suoi simboli, dei suoi manufatti, delle sue chiese va esercitata anche nelle città. Nel silenzio generale, senza che alcuna protesta si elevasse, è stata decisa a Milano la distruzione di una bella chiesa degli anni ’30, in stile neo-manierista, dedicata a Cristo Re, situata nel quartiere Fiera-Portello, in via Colleoni: un quartiere storico, medio-borghese, costruito a partire dagli inizi del secolo scorso su un’ordinata pianta urbanistica.

Quartiere già peraltro sconciato dalla costruzione di CityLife, nuovo quartiere di grattacieli stortignaccoli e di casoni popolari però di lusso, intervento definito dall’architetto paesaggista Simonis: “una delle più gravi lesioni alla qualità ambientale architettonica della città e alla sua particolare antica identità”. La chiesa in questione non è bene tutelato, “perché ha meno di 90 anni”, ed è stata sconsacrata nel 2017. Il decreto del Arcivescovo Scola sentenziò testualmente: “Non è più di utilità”. Già, secondo i vescovi postconciliari, che utilità può avere una chiesa? In un quartiere, tra l’altro, in cui le chiese non abbondano. Al posto dell’inutile chiesa, verrà costruito un complesso alberghiero di 15 piani, con negozi e uffici. “Ecco, le nostre cose sante, la nostra bellezza, la nostra gloria sono state devastate, le hanno profanate i pagani”. 1 Mac 2,12

4 commenti su “Per un paesaggio cristiano”

  1. Quando arrivò nella mia povera parrocchiale, il Borromeo vi trovò le galline….
    pur tuttavia sempre meglio di oggi che è infestata da eretici, le galline, bontà loro sono più intelligenti.

    1. Stamperò questo articolo

      Gentile Matteo D,
      le galline sono più intelligenti, e quasi tutti gli animali domestici sono molto buoni, io ho una micina tutta nera, Stellina, arrivata dal giardino, molto affettuosa, e mi aspetto che prima o poi mi parli perché mi fa sempre capire cosa vuole..
      Con questo non voglio dire che agli animali domestici debbano essere messi i cappottini (li fecero vedere anche con collanine…), ma per esperienza personale e per quanto viene comunicato e fatto vedere in TV e nei film, non posso che riconoscere che gli animali sono quasi sempre buonissimi e fedelissimi: quel canino che andava tutti i giorni sulla tomba del padrone, quella canina che andava tutti i giorni alla Messa nella Chiesa che la sua padrona aveva frequentata,
      ovviamente con il consenso del parroco…
      E invece ora ci sono uomini ERETICI…..

    2. Grazie diffonderó questo bellissimo articolo e soprattutto la citazione verissima sul luterano progetto distruttivo della nostra tradizione religiosa abbracciato dalla falsa chiesa di oggi.
      Mi è di conforto perché è una delle spiegazioni più valide per far riflettere chi ancora si ostina a dire che ,tanto la neo messa è simile all Messa di Sempre!
      Con questo non voglio mettere all’indice nessuno di quelli che ancora vanno al nuovo rito,soltanto un confronto sincero sul non nascondersi il fatto che, lo scopo dei viscidi è quello appunto di “purificare” per annientare
      tutto!
      Grazie

  2. “…le hanno profanate i pagani”: vero, ma non i pagani nati pagani, i pagani nati cristiani. Il che colora il tutto di un’aura orribilmente fosca e spaventosa, come se il regno del male stesse prendendo possesso di tutto. Ci risparmierà il Padreterno i castighi che meritiamo?

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