Perdita dell’identità culturale & sostituzione di popolo

Che l’esodo dall’immenso bacino africano sia assistito da un piano ideato, programmato e finanziato altrove è ormai chiaro a chiunque abbia lume di ragione. D’altra parte, gli stessi dati oggettivi ambientali e numerici danno al cosiddetto “flusso migratorio” il significato di una deportazione di massa e rendono evidenti le ragioni per cui essa va arrestata e combattuta.

Meno evidenti appaiono gli scopi per cui questa macchina assurda è stata azionata e le epocali conseguenze antopologiche che ne deriveranno se non arrestata già hinc et nunc. Scopi e conseguenze che rimangono ancora del tutto in ombra, specie nel discorso pubblico, dove l’attenzione è tutta attratta su alcuni aspetti contingenti o particolari, di immediato effetto emotivo, e sviata proprio da quello che è e dovrebbe essere percepito come l’aspetto più vistoso e allarmante del fenomeno. Così la sua inquietante realtà rimane avvolta in una nebbia cognitiva che spegne anche ogni capacità di resistenza e ogni istinto di ribellione.

Del resto l’ indifferenza verso i nessi causali è un aspetto ricorrente del modo di pensare comune e, che si tratti della economia o della politica internazionale, dell’etica, o della religione, dell’educazione o del potere mediatico, rimane quasi sempre in ombra il problema delle cause di ciò che accade e soprattutto quello delle conseguenze, e si finisce per non riuscire più a cogliere il cuore dei problemi né gli aspetti patologici della realtà in cui è immersa la nostra esistenza.

Eppure bastano i dati numerici a dirci a chiare lettere che stiamo andando incontro a una sostituzione di popolo, che è anche una sostituzione razziale, e che tale sostituzione porta con sé un inevitabile sradicamento culturale, una vera e propria deculturazione.

Inoltre, proprio perché siamo di fronte a una macchina perversa ma ben oleata, messa in moto con metodo, è anche evidente che queste conseguenze, inevitabili quanto prevedibili, vengono a coincidere con gli scopi per cui essa è stata allestita, cioè corrispondono alle intenzioni dei suoi promotori esterni.

Va detto che di recente la discussione intorno al cosiddetto fenomeno migratorio ha acquistato un respiro più ampio e realistico, a fronte del diffuso patetismo a basso costo intellettivo, e non manca chi si interroga lucidamente sulle circostanze in cui l’esodo africano viene provocato o incoraggiato, per essere poi convogliato verso mete preferenziali come quella italiana. Così si va facendo strada l’opinione che il fine della deportazione delle immense masse africane verso l’Europa, e verso l’Italia in particolare, sia semplicemente quello di una importazione di manodopera a basso costo capace di squilibrare il mercato del lavoro secondo i criteri del dissennato e prepotente neoliberismo oggi dominante.

Ma tale spiegazione in chiave meramente economica non è affatto capace di abbracciare l’interezza del fenomeno, di cui coglie tutt’al più un aspetto marginale. Ancora una volta si perdono di vista i dati quantitativi. Il fatto, cioè, che il cosiddetto flusso migratorio illimitato da un continente che si avvia a superare il miliardo e mezzo di individui vada verso un territorio in proporzione piccolissimo, in forte calo demografico, e in grande affanno economico. Questa evidente sproporzione rende irrealistica quella interpretazione che contraddice le stesse leggi economiche e anche gli stessi eventuali e più brutali interessi in campo.

D’altra parte è sotto gli occhi di tutti come larga parte di questi ipotetici lavoratori di importazione vada in realtà a comporre una massa urbana nulla facente o variamente impiegata nel commercio di stupefacenti e simili.

Più verosimile è che questa deportazione mascherata da migrazione miri proprio alla deculturazione dell’occidente attraverso la sostituzione di popolo e di razza. Ed è bene ricordare, a questo proposito, a chi ancora non lo sapesse, che accanto ai popoli esistono anche le razze, come esistono i cani da caccia e i cani da pastore, a dispetto di una ben nota idiozia ancora in voga fra i cialtroni organici al potere.

Che la sostituzione razziale sia l’ideale vagheggiato in alto loco appare banalmente ma in modo esemplare e a campione persino dalle pagine patinate dei rotocalchi destinati a donne altrettanto patinate e progressive. Qui si offre per immagini lo spaccato più eloquente della intera “filosofia” evolutiva quotidianamente squadernata in via mediatica. In queste pagine raffinate chi indossa i capi della moda milionaria proposta democraticamente al popolo è quasi indistinguibile dal punto di vista sessuale, ma viene messo in bella evidenza il tipo africano che, infilato in esclusivi distonici Chanel, nel contrasto cromatico ha la meglio sul tipo europeo. Il messaggio rimandato da queste figure asessuate, pateticamente emaciate, necessariamente uguali anche se diversamente colorate, è lo stesso diffuso dalla pedagogia pubblicitaria dei Benetton, a uso e consumo di adolescenti già geneticamente modificati come i pomodori olandesi.

Certo, un discorso a parte e ben altro spazio meriterebbe l’intero capitolo dei paradossi istituzionali europei. Basti citare per tutti l’articolo 23 della recente “Risoluzione sui diritti fondamentali delle persone di origine africana” partorita dal cosiddetto Parlamento europeo. Vale la pena, in senso letterale, di leggere.

D’altro lato dovrebbe suonare abbastanza paradossale che gli stessi trattati europei abbiano previsto la distribuzione per quote di futuri migranti fra gli stati membri. Come se l’amministratore di condominio, col preventivo delle spese di manutenzione, stabilisse per ciascun condomino l’obbligo di coabitazione con un certo numero di passanti occasionali. Ma poi migliorasse la regola stabilendo che l’obbligo di coabitazione spetta in via principale a chi abita al primo piano.

Ora, a parte tutto ciò, è evidente come la propaganda dominante, mediatica e per così dire “religiosa”, sia diretta ad imporre ideologicamente la sostituzione razziale, passando in modo truffaldino per la via egualitaria. Ma è anche evidente che una sostituzione di popolo, che per di più è anche razziale, comporti la deculturazione, perché va da sé che con l’identità venga perduta anche la cultura quale è stata trasmessa, e magari arricchita, di generazione in generazione.

Ed è altrettanto ovvio che siamo del tutto al di fuori della prospettiva consolatoria, del “Graecia capta ferum captorem cepit”. Se la conseguenza della sostituzione di popolo e della sostituzione razziale è e non può non essere la deculturazione di un Paese piccolo e fragile come l’Italia, demograficamente ed economicamente depresso, è plausibile dedurne che la finalità perseguita sia proprio l’annientamento della sua storia e della sua cultura, o più in generale che si miri all’annientamento delle fatiche millenarie su cui è stata costruita la civiltà occidentale.

Per annientare definitivamente un popolo è necessario distruggere il seme, quello capace di ridare corpo e linfa alla pianta, cioè la sua storia e la sua memoria. Era quanto intendevano significare gli antichi quando spargevano il sale sulle rovine delle città conquistate e distrutte. Il sale che Roma sparse sulle rovine di Cartagine. Dunque, è da pensare che le ragioni della deportazione camuffata da migrazione vadano ricercate proprio nella distruzione di una identità culturale che peraltro investe anche i deportati.

L’occidente che deve essere annientato non è infatti la realtà geografica europea, un territorio da ripulire dei suoi abitanti, ma una cultura scomoda incompatibile con la prospettiva imperialistica che mira alla sottomissione globalizzata di masse rese indistinguibili e perciò incapaci di riconoscersi come antagoniste. Una cultura di cui va distrutto il seme perché portatrice di una identità forte e irripetibile.

Occorre distruggere una tradizione culturale passata ma non trascorsa, ritenuta ancora ricca di vivacità speculativa e di forza morale e perciò pericolosa se le venisse lasciata la possibilità risorgere e di rigenerarsi in virtù di quel patrimonio di pensiero ancora incastonato nelle pietre, come nei libri, che si è fatto arte, filosofia, scienza e religione. Un patrimonio che bene o male ancora sopravvive in questo resto logorato di Europa che aveva incorporato il cristianesimo nella eredità antica.

Del resto queste finalità distruttive rispondono perfettamente al delirio di onnipotenza di un potere che mira al dominio su masse indifferenziate di individui da manovrare a piacimento e all’occorrenza da ridurre anche fisicamente, grazie agli strumenti diabolici di cui si è dotato.

Non bisogna mai perdere di vista quale sia l’orizzonte di dominio dei poteri che pretendono di decidere i destini del mondo manipolando i popoli; poteri la cui diabolica pericolosità sta nella potenza dei mezzi tecnici e finanziari che hanno a disposizione.

È lo stesso delirio di onnipotenza degli stralunati gnomi che, incarnandosi nel Dottor Stranamore, minacciano ogni giorno di azionare “l’ordigno Fine di Mondo”.

È vero che questo patrimonio è stato in gran parte svenduto e disperso, che è stata mortificata quella fatica millenaria, che tante conquiste sono state tradite, ma abbiamo un passato forse ancora in grado di insegnarci il futuro attraverso la bellezza, la storia, la letteratura e la ricchezza della lingua che porta con sé tutte le possibili sfaccettature del pensiero e dell’autocoscienza. Tutto ciò che è in grado di segnare l’identità forte da opporre all’attacco di chi vorrebbe cancellarla per le finalità di dominio del progetto globalista. Cioè di quanti si arrogano il potere di decidere i destini del mondo.

Quasi che l’attrazione perversa per il proprio suicidio assistito dai poteri sovranazionali abbia già contagiato interi popoli, arresi senza remore, inermi e confusi, ai propri carnefici. Come se il terreno non fosse stato diserbato e la deculturazione non fosse soltanto un fine, ma già il presupposto maturo di una metamorfosi epocale.

La docilità dei sudditi votati al macello intellettuale e all’occorrenza anche fisico è stato assicurato per tempo dalla loro sedazione, in via mediatica, pedagogica, e morale. Il paradosso della deportazione di milioni di individui per imporne la coabitazione coatta ad altri popoli non sarebbe stato immaginabile senza il cedimento di strutture morali e intellettive collettive.

Insomma, tutto questo maledetto imbroglio non avrebbe potuto essere imbastito senza il terreno favorevole della confusione e della cecità di quanti potevano e dovevano opporvisi sin dall’inizio, e potrebbero opporvisi validamente se prendessero coscienza dei propri riflessi condizionati, della propria incapacità di leggere la realtà se non attraverso la lente deformante fornita dai burattinai al soldo del potente impresario.

Dice Chomsky che il potere sta in piedi perché è capace di agire restando nell’ombra da cui vengono manipolate le opinioni. Ma che, se il popolo si liberasse dalle catene della propaganda e togliesse i veli al potere, questo evaporerebbe. Ecco il compito, l’obbligo morale che ci riguarda tutti.

11 commenti su “Perdita dell’identità culturale & sostituzione di popolo”

  1. Nuccio Viglietti

    Mai abbiamo pensato ad una civiltà superiore ad altre…sono coloro che migrano che implicitamente riconoscono ciò…civiltà europea sarà sicuramente spazzata via da africani…ma attenzione wuesti no fatanno altro che riproporre Africa in Europa…a questi di civiltà europea non interessa niente salvo smatphone televisori e calcio…!

  2. “…, se il popolo si liberasse dalle catene della propaganda e togliesse i veli al potere, questo evaporerebbe… ”

    Santa Teresina disse che basta lo sguardo di una ragazza per mettere in fuga il demonio. E’ proprio così. Sta a noi ormai più che adulte e mature mostrare che vi è una forza diversa capace di fare evaporare il mostro.
    Grazie per l’ampio quadro da lei tratteggiato, speriamo che qualche genitore, insegnante, qualche adulto lo fotocopi e lo diffonda, lo legga e lo commenti insieme ai suoi figli,ai suoi allievi, ai suoi colleghi, ai suoi amici.
    Grazie.

  3. articolo insuperabile. Anche se ora gli storici sostengono che il sale non fu sparso a Cartagine, e’ solo un dettaglio, l’articolo e’ geniale

  4. l’analisi di Patrizia Fermani è del tutto condivisibile. È quindi riduttiva un’azione puramente difensivo/poliziesca. Dato per scontato che sulla chiesa occupata dai Modernisti non si può per nulla contare visto che spalleggia apertamente l’invasione, resta da capire perché non ci sia un politico che sollevi il tema del tentativo di distruzione della nostra cultura religione e storia, chiamando chi vuole a far quadrato contro i barbari. Rammento che il tentativo di distruzione è attuato sia tramite la pseudo-immigrazione sia tramite altri mezzi (ad esempio le tentacolari agenzie e commissioni ONU e UE, le ong di derivazione massonica, i club legati alle banche newyorchesi; tutti organismi che, di fatto, hanno espropriato gli Stati della loro sovranità)

  5. L’impressionante convergenza tra terzomondismo (che danneggia anche il “terzo mondo”!) e modernità “occidentale”, che rinnegando il passato cristiano e organico dell’Occidente e trasformandosi in turbo-capitalismo e dittatura finanziaria ha dato corpo all’Occidente liberale (ove quindi il vanto di essere stato – come in effetti fu – faro di civiltà annega e perisce inesorabilmente, restando solo chiacchiera perigliosa diffusa dai neocon di tutte le specie), è la cifra sottesa ad un potere di origine chiaramente diabolica.
    La chiamata alle armi in difesa delle “radici” è anche, anzi essenzialmente appello all”‘offesa” senza cedimenti contro il nemico. Contro: Jésus-Christ oblige!
    L’eterno è il nostro tempo.

  6. Gli italiani da quarant’anni ad oggi hanno una sola, comune a tutti e fortissima identità:
    “Tu vuo’ fa’ l’americano”!
    Tutte le istituzioni culturali hanno attivamente collaborato.

  7. Magistrale, tutto. Il cedimento che sta alla base di tutti gli altri cedimenti è veramente “di strutture morali e intellettive collettive”. Meglio non si potrebbe dire. Resta il mistero di come ciò sia potuto accadere. Grazie di cuore.

    1. Oswald Penguin Cobblepot

      Gentile Marco. Una spiegazione al suo quesito potrebbe essere questa: quando un popolo è privo di una propria identità nazionale (gli italiani escono di casa ed al massimo arrivano al campanile, è difficile che il loro orizzonte sia oltre), non ha praticamente nulla (“una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor” è il sogno di Manzoni, ma è solo un sogno). Quindi nel vuoto di una coscienza collettiva è stato facile riversare altre “strutture morali e intellettive”: europeismo malcompreso, mondialismo (quale frutto dell’ibrida commistione fra l’universalismo cattoprogressista e quello marxista), pauperismo maoista, terzomondismo ideologico. Occorrerebbe comprendere chi sia stata la mente di un simile progetto di omicidio di un popolo. Ma questo è un altro problema. Un saluto da Gotham, il Pinguino.

  8. “Patetismo a basso costo intellettivo.”

    Quale definizione più calzante per il fenomeno del portare il cervello all’ammasso da parte di tanta sedicente (e forse interessata) intellighentia??

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