Processo ai nuovi modernisti – di Roberto de Mattei

di Roberto de Mattei

(su Il Foglio, 26.11.2013)

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prcssLe reazioni su questo giornale di mons. Luigi Negri, di don Francesco Ventorino e del prof. Massimo Borghesi, al mio articolo sulla “liquefazione della Chiesa” (“Il Foglio”, 12 novembre 2013) mi impongono di tornare su una questione di fondo del dibattito cattolico contemporaneo: quella riguardante la definizione della fede, indubbio fondamento della vita cristiana.

Il dato di fatto da cui partire, e su cui spero anche i miei interlocutori convengano, è il crollo della fede, verificatosi nella Chiesa negli ultimi cinquant’anni. Inaugurando il 27 gennaio 2012 l’Anno della Fede, Benedetto XVI si esprimeva in questi termini: “Come sappiamo, in vaste zone della terra la fede corre il pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più alimento. Siamo davanti ad una profonda crisi di fede, ad una perdita del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi. Il rinnovamento della fede deve quindi essere la priorità nell’impegno della Chiesa intera ai nostri giorni”. Ma l’Anno della fede si è chiuso – occorre dirlo – senza che si intraveda in alcun modo una risposta forte delle autorità ecclesiastiche di fronte alla crisi in atto. La stessa enciclica Lumen Fidei ignora in maniera sorprendente questo drammatico problema. Ma cos’è la fede? La risposta a questa domanda non ammette equivoci, dopo la definizione del Concilio Vaticano I, riproposta dal nuovo Catechismo della Chiesa cattolica: la fede è l’adesione della ragione, mossa dalla grazia, alle verità rivelate da Dio, per l’autorità di Dio stesso che ce le rivela. Le verità rivelate sono dette tali perché sono contenute, in maniera esplicita o implicita, nella rivelazione divina, conclusa con la morte dell’ultimo apostolo. La Sacra Scrittura e la Tradizione raccolgono queste verità, che formano la fede oggettiva e immutabile della Chiesa. In alcuni casi tali verità oltrepassano la nostra ragione e sono dette misteri. I due misteri centrali del Cristianesimo sono la Trinità e l’Incarnazione del Verbo. Essi sono superiori alla nostra ragione, ma non le si oppongono. Crediamo queste verità perché ci sono rivelate da Dio. Ma l’esistenza di Dio prima di essere una verità di fede, è verità filosofica, che può essere dimostrata dalla ragione, così come può essere dimostrata dalla ragione l’esistenza e l’immortalità dell’anima. La fede interessa non solo la teologia, ma la filosofia, come mostra bene Antonio Livi (si veda ad esempio il suo Razionalità della fede nella rivelazione, Leonardo, Roma 2005). L’inconoscibilità della natura di Dio non va confusa con la certezza razionale della sua esistenza. Solo dopo aver assodato che Dio esiste possiamo credere in Lui e nella sua rivelazione. Per questo sant’Agostino dice che dobbiamo “Credere Deum, Deo, in Deum”, cioè credere Dio come oggetto della fede; credere a Dio come motivo della fede; credere in Dio come suo fine.

Lutero per primo stravolse il concetto tradizionale di fede. L’uomo, integralmente corrotto dal peccato originale, è per lui incapace di conoscere il vero e amare il bene. La fede non consiste nella ragione e nella volontà, imputridite dal peccato, ma nella “fede fiduciale”, che nasce da un sentimento di disperazione profonda ed ha il proprio oggetto nella misericordia di Dio, invece che nelle verità da lui rivelate. Appellandosi a questa visione pietista e individualista della fede, Lutero e suoi continuatori fanno dell’esperienza religiosa l’unico criterio della vita cristiana. In tutta la tradizione evangelico-protestante la religione è vista come un “incontro” salvifico con Dio, in cui la fede soggettiva assorbe e dissolve quella oggettiva. Nella Esquisse d’une philosophie de la religion (1897) di Auguste Sabatier (1839-1901) arriva a compimento la riduzione protestante della fede a sentimento. L’atto di fede è inteso come incontro con la potenza oscura e misteriosa da cui l’anima dipende e da cui dipende il suo destino. Tutto ciò che è dogma e riflessione teologica non è altro che la trascrizione simbolica di un’esperienza religiosa collettiva in continua evoluzione.

Negli stessi anni in cui appare l’opera di Sabatier, Maurice Blondel (1861-1949) pubblica l’Action (1893), prima espressione di quella filosofia dell’azione che, con il protestantesimo liberale, costituisce il retroterra immediato del modernismo. Secondo Blondel l’azione, e non il pensiero, attinge la verità dell’essere. La massima tradizionale secondo cui “agere sequitur esse” viene capovolta: l’azione precede l’essere e l’uomo trova la verità e la stessa fede nell’azione. L’azione è la sintesi del pensare e dell’agire, il vincolo tra il pensiero e l’essere. Blondel vuole dunque sostituire alla apologetica tradizionale, che si propone la dimostrazione razionale delle verità del Cristianesimo, una nuova apologetica basata sul principio di immanenza. Il metodo dell’immanenza pretende di trovare la verità della religione e dei misteri della fede partendo dalla coscienza dell’uomo, dai suoi bisogni, dalle sue aspirazioni, da tutto ciò che sgorga dalla sua esperienza di vita.

Tesi analoghe erano espresse dal teologo del modernismo George Tyrrell (1861-1909), che dopo essersi convertito dal protestantesimo al cattolicesimo entrò nella Compagnia di Gesù, ma presto ne contestò l’insegnamento. Anche per Tyrrell, la religione è un’unione del cuore con Dio che fa a meno della verità dei dogmi. Il Dio di Tyrrell, come quello di Blondel, è immanente alla coscienza, che lo riconosce nella propria esperienza religiosa. Non è la verità a determinare l’esperienza, ma l’esperienza a costituire il criterio supremo della verità. “Trait d’union” tra Blondel e Tyrrell fu Henri Brémond (1865-1930), anch’egli gesuita, insofferente della disciplina e dell’insegnamento della Compagnia. La corrispondenza tra Brémond e Tyrrell è istruttiva a questo proposito (Lettres de George Tyrrell à Henri Brémond, Aubier, Parigi 1971). Brémond, in preda a crisi di nevrastenia, confidava a Tyrrell di voler lasciare i gesuiti per vivere, come Tyrrell, con un’amante. Il suo ideale – scriveva – sarebbe stato quello di una “vita clericale adogmatica”. Tyrrell risponde al confratello di essere prudente e di abbandonare la Compagnia senza precipitare le cose. Quando qualche anno dopo Tyrrell morirà, dopo essere stato scomunicato da san Pio X, Brémond sarà al suo capezzale e, seguendo i suoi consigli, vivrà poi nel mondo come un semplice sacerdote cripto-modernista, intraprendendo una carriera letteraria che lo porterà all’Académie française. La sua poderosa Histoire littéraire du sentiment religieux en France (1915-1933, 11 volumi), già nel titolo riassume le tesi degli amici Blondel e Tyrrell: la fede ridotta a intuizione poetica, esperienza di vita mistica che vanifica ogni verità dogmatica.

 Tra i diretti continuatori di questa linea di immanenza vitale fu il padre Henri de Lubac (1896-1991), anch’egli, come Brémond e Tyrrell, appartenente alla Compagnia di Gesù, ma a differenza di loro gesuita fino all’ultimo giorno della sua vita. De Lubac, come Blondel, pone nella coscienza dell’uomo la possibilità di incontrare Dio con le proprie forze, distruggendo la fondamentale distinzione tra l’ordine naturale e quello soprannaturale. Il cardinale Siri, in Getsemani. Riflessioni sul Movimento Teologico Contemporaneo (Fraternità della Santissima Vergine, Roma 1980), ha ampiamente confutato questi errori teologici. Pio XII, con l’enciclica Humani generis (1950), condannò le tesi di de Lubac e degli altri esponenti della nouvelle théologie progressista, ma dopo la sua morte furono proprio loro i protagonisti del Concilio Vaticano II, a cui diedero l’orientamento di fondo. De Lubac fu creato cardinale da Giovanni Paolo II ed è oggi citato spesso da Papa Francesco, anche se pochi ne hanno letto le opere, criptiche e prolisse.

Negli anni del postconcilio, de Lubac appartenne all’ala “moderata” della nuova teologia progressista. Ma la sua moderazione, più che nel contenuto, è nei toni. Basta paragonare il suo diario del Concilio Vaticano II a quello del domenicano Yves Congar, per rendersi conto della differenza tra il suo linguaggio misurato e quello violento e spesso grossolano di Congar. Ciò non impedì a de Lubac di essere un entusiasta ammiratore e divulgatore delle opere del suo confratello Pierre Teilhard de Chardin, una delle figure estreme dell’eterodossia cattolica del Novecento, verso cui lo stesso Blondel aveva manifestato delle riserve.

De Lubac apparteneva a quella categoria di uomini che detestano le conseguenze delle proprie idee. Criticò il disfacimento postconciliare, ma non volle ammettere che le radici di quanto accadeva stavano proprio negli errori della nouvelle théologie. Nel 1972 fu tra i promotori della rivista “Communio”, e don Luigi Giussani, che negli stessi anni lanciava Comunione e Liberazione, lo riconobbe come un suo maestro. I discepoli di don Giussani protestano quando gli attribuisco una equivoca nozione di fede, e “Rosso Malpelo” (Gianni Gennari), mi accusa su “Avvenire” di dire “bugie”, ma la verità è consegnata alla storia.

Invito a leggere il libro di don Giussani, Un avvenimento di vita cioè una storia. Itinerario di quindici anni concepiti e vissuti, con un’introduzione del cardinale Ratzinger (Il Sabato, Milano 1993). Il volume raccoglie le interviste e gli appunti da conversazioni pubbliche che il fondatore di CL ha tenuto tra il 1976 e il 1992. Il libro non contiene nessuna esplicita negazione delle verità di fede e vuole manifestare anzi l’attaccamento alla Chiesa di don Giussani. Ma alla fine delle 500 pagine si rimane con una sensazione di vuoto intellettuale. Al lettore non rimane che questo messaggio: non serve né l’apologetica, né l’approfondimento razionale della verità. Ciò che conta è vivere. Ma vivere che cosa? Si tratta, spiega don Giussani, di “rendere la fede un avvenimento” (p. 339). Comunione e Liberazione nasce da una “intuizione del Cristianesimo come avvenimento di vita e quindi come storia” (p. 349). “Il metodo consiste in questo: che l’intuizione diventa esperienza (…). L’esperienza è il luogo in cui si vede se ciò che è intuito vale per la vita” (p. 351). La fede è incontrare Cristo, riconoscere la sua presenza nella storia e nella propria vita. Ma chi è Cristo? La risposta ciellina è scoraggiante: colui che si incontra. Il problema di fondo è che, al di fuori della tautologia dell’incontro, Cielle non è andata e non potrà mai andare, proprio per la sua pretesa di ridurre il cristianesimo a pura esperienza ed esigenza dello spirito.

Il Cristianesimo, certo, è anche esperienza, ma l’esperienza è per sé stessa, incomunicabile; mentre ciò che si può comunicare sono i princìpi che precedono l’esperienza e da cui l’esperienza dipende. Nessuno mette in dubbio l’esistenza dell’esperienza religiosa che, sotto certi aspetti, è la forma più alta di vita cristiana. L’esperienza è infatti una conoscenza immediata e diretta della realtà. Ma l’esperienza religiosa non solo non nega la credibilità razionale della fede, ma la presuppone. Nella prospettiva di Cielle invece cade l’apologetica e tocca alla vita, e non alla razionalità dei motivi, dare la dimostrazione dell’esistenza di Dio e della verità della Chiesa. L’esperienza religiosa però ha valore solo se sottomessa alla ragione, alla rivelazione e al magistero. Oggi si è smarrita la vera nozione di fede, perché la si riduce a sentimento del cuore, dimenticando che essa è un atto razionale, che ha come oggetto la verità. L’intelletto è la sola facoltà spirituale che può far proprie le verità proposte dalla rivelazione. Per i modernisti di oggi, come per i protestanti di una volta, la fede appartiene alla sfera affettiva e irrazionale. L’oggetto della fede, le verità credute, diventa secondario. Si rigetta in blocco il realismo greco-cristiano, negando valore al Logos, ai primi princìpi della ragione e al primato della metafisica. Ciò che conta è l’esperienza individuale del credente, quello che egli vive nella sua sensibilità. L’esperienza intima del soggetto diviene l’unica esperienza della vita cristiana e la coscienza religiosa l’essenza della vita della Grazia. Questa “esperienza di fede” rifugge dalle affermazioni dogmatiche, nella convinzione che ciò che è assoluto divide e solo ciò che muta e si adatta può unire gli uomini tra loro e a Dio. In questa religione dell’umanità caratteristica dei nostri tempi l’affermazione netta della verità è un atto di intolleranza verso il prossimo e il compromesso tra la fede e il mondo diviene il modello di ciò che definito “incontro” con Dio. La fede però non è irenica: si alimenta con lo studio, con la discussione, anche con la polemica. Quando si discute con passione, vuol dire che si crede e il calore della polemica è talvolta la misura dell’amore verso ciò in cui si crede. Ma all’interno dello stesso clero, chi crede oggi, e in che cosa?

Perché l’esperienza religiosa sia vera e non sia un’illusione ci vuole invece un criterio di verità. Il problema di fondo è come determinare l’autenticità dell’esperienza. L’esperienza religiosa può essere solo esperienza del vero Dio e della vera religione: non è un generico sentimento di dipendenza dall’assoluto. E’ esperienza religiosa quella di un buddista immerso nel Nirvana? De Lubac pensa di sì e forse anche alcuni discepoli di don Giussani.

Ogni errore ha delle conseguenze. La scarsa sensibilità liturgica di Comunione e Liberazione non è casuale. La massima della Chiesa secondo cui la lex orandi traduce la lex credendi presuppone l’esistenza di una integra e coerente dottrina, di cui la liturgia è visibile espressione. Ma se la dottrina è assorbita dalla vita, la liturgia non può che essere condannata all’estinzione. L’amore per la liturgia tradizionale presuppone necessariamente l’amore per le verità tradizionali. E il tanto bistrattato “tradizionalismo” non è altro che questo: amore alla verità della Chiesa in tutte le sue espressioni, da quelle liturgiche a quelle politiche e sociali. I cosiddetti “tradizionalisti”, che sono solo cattolici senza compromessi, si richiamano all’insegnamento immutabile della Chiesa: non idolatrano il potere, ma credono nella Regalità sociale di Gesù Cristo, ossia sul suo diritto a regnare su ogni uomo e sulla società intera. L’“esperienza religiosa” a cui si rifanno è quella di coloro che testimoniarono col sangue la loro visione cristiana della società, come i Vandeani in Francia e i Cristeros in Messico. Nulla a che fare con l’amoralismo politico di cui negli anni Cielle ha dato prova. Sarebbe vano cercare un filo conduttore negli ospiti illustri del Meeting di Rimini, dalle sue origini ad oggi: personalità di destra e di sinistra, conservatori e progressisti si sono alternati e si alternano in una passerella del potere, che se è priva di continuità intellettuale e politica, non manca di intima coerenza nel suo radicale pragmatismo. Il lungo idillio di Comunione e Liberazione con Giulio Andreotti deve far riflettere. Andreotti fu l’incarnazione dell’amoralismo politico e tra la filosofia della prassi ciellina e la politica della prassi andreottiana, l’incontro era obbligato. L’uomo che andava a Messa ogni mattina, non esitava a firmare, nel 1978, la legge abortista in Italia. La fede svincolata dai princìpi razionali e dai “valori non negoziabili” rende disponibili a qualunque avventura. Così oggi Roberto Formigoni, quando “apre” all’affidamento di bambini alle coppie gay, non è incoerente con la “filosofia della prassi” a cui si ispira.

Il prof. Massimo Borghesi ritiene che negli anni Settanta, fu “la pedagogia dell’esperienza” di CL e non il tradizionalismo a “salvare” la Chiesa. Io ritengo invece che Comunione e Liberazione abbia semplicemente intercettato la parte sana del mondo cattolico rimasta “orfana” negli anni bui del postconcilio, senza essere in grado di dare a questi giovani gli strumenti teologici e filosofici di cui avevano bisogno, a cominciare da una retta nozione di fede. Molti di essi, oggi non più giovani, erano e sono di ottima qualità ed è soprattutto a loro che mi rivolgo quando affermo che Comunione e Liberazione non ha costituito un argine alla crisi della fede dei nostri giorni, ma ha contribuito all’infiacchimento della fede e alla sua crisi attuale, senza negare naturalmente le buone intenzioni di nessuno e con il massimo rispetto per i miei interlocutori, a cominciare da mons. Luigi Negri, al quale contraccambio stima e amicizia.

8 commenti su “Processo ai nuovi modernisti – di Roberto de Mattei”

  1. In due parole, vorrei sottolineare che:

    1- don Giussani partì dalla costatazione che i ragazzi borghesi di Milano -quelli del Liceo presso il quale insegnava- non avevano quasi nulla a che fare con Cristo, perché Egli non faceva parte dell’universo culturale delle loro case
    2- fra gli stessi ragazzi stava incubando qualcosa di estremamente violento (ciò che fu poi il ’68, fenomeno essenzialmente nichilistico)
    3- l’ “esperienza” che egli proponeva ai giovani significava essenzialmente che la Risposta esisteva, e si trovava in un Uomo, e non in qualche biblioteca
    4- l’ambiente di CL resistette su posizioni accettabili, almeno in gran parte, finché don Giussani fu in vita. Andreotti era certamente un vero democristiano (in senso negativo); ma era “il meno peggio” della DC
    5- dopo la morte di don Giussani, CL ha ceduto alle voglie suicidarie che sono di moda nella Chiesa
    6- Teilhard de Chardin, post mortem, ha avvelenato anche CL (non so come il fondatore lo valutasse)

  2. Cesaremaria Glori

    Sono pienamente d’accordo col prof. de Mattei. Sono stato corteggiato a lungo ma non ho aderito mai completamente al movimento di CL, pur restando in stretti rapporti di personale simpatia e di sostegno reciproco con i ciellini. Non comprendevo e non comprendo ancora quella pretesa dell’incontro con Gesù Cristo. Gesù non c’è più fisicamente in questo mondo, se non nella specie del pane e del vino transustanziati. Parlare di incontro senza la conoscenza di chi si va ad incontrare mi sembra un vaniloquio. Ho conosciuto Gesù prima da bambino attraverso mia madre e l’esempio di mio padre e di come loro si comportavano; poi tramite il catechismo e il servizio all’altare da chierichetto e infine con lo studio della dottrina. E questa esperienza, perché questo tragitto è un’esperienza, ha una sola traduzione: conoscenza dell’oggetto della fede per arrivare alla fede nella persona di Gesù. L’incontro vero e decisivo l’ho avuto attraverso un’ esperienza fisica e precisamente con la scoperta personale della santa Sindone. Attraverso lo studio sindonico sono progredito nella conoscenza e soltanto allora l’incontro si è verificato e s’è approfondito col tempo e con intenso studio. Partecipando alle riunioni di CL non trovavo quel che desideravo e tornavo deluso. Tanto sciupio di parole per dire, alla fine, che Gesù è persona e che il Suo amore parte da Lui per scendere a me. Sì, d’accordo, Lui mi ama ma se io non accetto il suo dono d’amore, resterà un amore da me non corrisposto. Per amare una persona,. e Gesù Cristo lo è, debbo conoscerla. La conoscenza precede necessariamente l’incontro. Dio, insomma, ci cerca in mille modi diversi e sta a noi rispondere alla chiamata e questa può avvenire per un timore che ci sovrasta e ci opprime e percepiamo che esiste qualcuno o qualcosa di inesprimibile che ci sovrasta e del quale si sente la mancanza, Ma di modi e casi per sentire la mancanza di Dio ce ne sono a milioni. Questa sensazione è esperienza? Certo è esperienza, ma se manca la conoscenza la sensazione resta inappagata. Prima debbo conoscere l’Essere che è e che precede e soltanto conoscendolo potrò arrivare all’incontro, che è e sarà sempre un incontro personale, come sostengono i Ciellini. L’amore è sempre fra due persone singole e non è di gruppo. L’amore fra Dio e la creatura è sempre a due. Ogni uomo con la Trinità (anche se, nella pratica, ci si rivolge sempre a Gesù Cristo), ma sempre a due . Tutto ciò per sostenere che la conoscenza deve precedere l’incontro e non derivare da sensazioni. La sensazione senza conoscenza potrà essere appagata attraverso le droghe o esperienze magiche ma questo tipo di esperienza non porterà mai ad un incontro con un Ente buono. Essa porterà, per averla cercata, alla dissoluzione della fisicità, per giungere ad una impossibile e illusoria liberazione da se stessi. Ma a questo stadio arrivano soltanto coloro che rifiutano Dio e non riguarda certamente CL. Ci mancherebbe!. Tutto ciò che ho scritto non vuol affatto denigrare CL e il suo metodo di approccio a Gesù Cristo. Penso che sia un percorso contorto, un percorso che intellettualizza l’esperienza per giungere, alla fine, a ricercare, in gruppo, con canti (quasi sempre brutti) e preghiere dense di parole, di troppe parole, uno stato d’animo che, a seconda delle sensibilità di ciascuno, può far vibrare le corde dell’amore verso Dio. Infine ho riscontrato che CL è un movimento che si autoreferenzia e si chiude in se stesso. Non ho notato una spinta al proselitismo, ad aprirsi, come dice Papa Francesco, verso le periferie esistenziali, verso il gregge disperso di coloro che sono nati da cristiani ma che hanno perso di vista Cristo. Sono gruppi chiusi che solidarizzano al loro interno senza aprirsi all’esterno. Poco missionari insomma e non bastano certamente i banchi alimentari e certe opere di carità a fare missione di rievangelizzazione. Questo giudizio riguarda il mondo giovanile e laico ma non la comunità di San Carlo,verso la quale le mie considerazioni sono completamente di stima e di ammirazione. In sintesi la conoscenza del Cristianesimo deve precedere l’esperienza e questa conoscenza può avvenire per gradi ed essere distribuita a dosi graduate a seconda delle persone con le quali si viene in contatto. Ed è proprio la conoscenza dell’essere cristiano e del Cristianesimo in generale che difetta e che ha condotto le masse verso i giudizi fatti di slogan coniati dall’ecumene contrario alla persona di Cristo e che trova la mente nella setta satanica che da quasi tre secoli si è scagliata contro Cristo e il suo corpo mistico.

    1. Sul tema se la conoscenza debba precedere l’incontro (schema classico -e molto limpido e fruttuoso- è quello del Catechismo ai piccoli che precede la Prima Comunione), vorrei aggiungere che la Fede (“Adesione personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato”, CCC 150: non è esattamente ciò che il professor de Mattei scrive in apertura) è già presente nei Battezzati, proprio come Dono Gratuito di Dio dato nel Sacramento.
      Il problema dei nostri tempi e dei nostri ambienti piccoloborghesi post-illuministici non riguarda i bimbi del Catechismo, ma gli adolescenti: “Come possiamo fare qualcosa per i milioni di Catolici, battezzati che, diventando adulti (15/16 anni), si affannano a diventare “adulti” in senso kantiano e prodiano, relegando Gesù Cristo fra i personaggi del passato? “.
      In questo senso aveva ragione don Giussani: possiamo mettere questi virgulti della giungla postmoderna a contatto con il Cristo Vivente

  3. lucianopranzetti

    Intervento chirurgico, questo di De Mattei, che, con nomi e cognomi, mette a nudo l’ambiguità oltre che la vanitas di C.L. creatura poliforme. Le passerelle con cui ai varii Meetings – eventi di mera prosopopea dialettica e di polluzione intellettualoide – vengono srotolate a personaggi di tutte le estrazioni culturali, le mani in pasta negli affari più o meno evidenti, la stessa figura di Formigoni, gaudente al mare tra donne in bikini e a Messa in sandali, canottiera e pantaloncini ed ora voltagabbana politico che amoreggia con la cultura omosex, ce la dicono lunga sui contenuti e sulle finalità di C. L.. La verità, cari amici, è che i numerosi MOVIMENTI ecclesiali – nefasti concepimenti postconcilio – sono vere e proprie strutture gerarchizzate in livelli di potere, vere sètte, quali Carismatici, Neocat., Focolarini
    Prof. Luciano Pranzetti

  4. lucianopranzetti

    si legga, al mio commento, laddove scrivo “passerelle con cui”, diversamente “passerelle che”. Per esattezza logica.
    Pranzetti

  5. se si fa confusione, obnubilati da sé stessi, dalla propria ‘messianicità’ ( bona fide ), può essere che, andando verso Emmaus, si venga affiancati e si faccia un tratto di strada assieme a Shodo Habukawa e non a Gesù Cristo.
    Liceale, in uno ‘scientifico’ milanese, l’ho incrociato per qualche tempo tra via Lovanio e via Statuto ma mi sono quasi subito allontanato da ‘GS’ ( ‘gioventù_studentesca’ ) : la “verità” sarà ( forse ) sinfonica, ma le note del ‘don’ le percepii stonate.

  6. Sarebbe per me veramente interessante una disamina del prof. De Mattei sui Movimento dei Focolarini che ho frequentato per 20 anni. Me ne sono staccato perchè stavo perdendo la mia identità cattolica: mi sembravano molto più modernisti di CL…

  7. La fede concepita come incontro con Dio, come libera ricerca di Dio, ovvero esperienza di Dio o di Gesù, è credenza indifesa, esposta alla tentazione dell’orgoglio, è alla mercè del demonio, essendo viziata dall’orgoglio: soggetta a castigo o a un grave prova. Il demonio ha facoltà di creare suggestioni psuedocristiane, eretiche e di perdizione, mentre viene messo fuori causa dalla Verità rivelata, dalla fede in Dio vero che si è rivelato alla ragione umana anche con la sua Legge.

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