Prove di MinCulPop Omosex? – di Marco Tosatti

Qui si tratta della dittatura del relativismo, senza sottigliezze e senza misericordia. Fermiamo questa macchina impazzita prima di ritrovarci tutti in un Gulag gestito da militanti LGBT”. 

di Marco Tosatti

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fonte: La Stampa

Truro cornwall gay pride parade 23.08.08Rilanciamo il contenuto di un interessante articolo de “La Bussola Quotidiana” su un documento che il Ministero per le Pari Opportunità sta elaborando. E per spiegare a chi non sapesse di che cosa si tratta il termine usato nel titolo, “Minculpop”, diciamo che si tratta di un’abbreviazione del Ministero della Cultura Popolare, ben noto e fiorente durante il regime fascista. Ecco la descrizione che ne da’ Wikipedia: “Il ministero aveva l’incarico di controllare ogni pubblicazione, sequestrando tutti quei documenti ritenuti pericolosi o contrari al regime e diffondendo i cosiddetti ordini di stampa (o veline) con i quali s’impartivano precise disposizioni circa il contenuto degli articoli, l’importanza dei titoli e la loro grandezza. Più in generale, il ministero si occupava della propaganda, quindi non solo del controllo della stampa. Altro compito importante fu quello della promozione del Cinema di propaganda fascista”.

Ma ecco l’articolo de “La Bussola Quotidiana”. In calce il link al documento.

“Credevate che l’UNAR, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del Ministero delle Pari Opportunità ce l’avesse solo con gli insegnanti, imponendo loro d’insegnare obbligatoriamente l’ideologia di genere? Sbagliavate. Ora se la prende con i giornalisti, pubblicando il 13 dicembre un documento tecnicamente incredibile, intitolato «Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT» (in fondo all’articolo si può scaricare il documento). Il modesto titolo «Linee guida» non inganni. Si precisa subito infatti che i giornalisti che non si piegheranno ai diktat dell’UNAR violeranno le norme deontologiche, per cui la denuncia all’Ordine dei Giornalisti è dietro l’angolo. Inoltre il testo – tutto bastone e poca carota – spiega anche che è solo questione di tempo: «l’Italia si sta adeguando» ai Paesi più civili, presto il Parlamento introdurrà una «legislazione specifica» contro l’omofobia e il giornalista che sbaglia rischierà non solo il deferimento all’Ordine ma la galera.

E che cosa si deve fare per adeguarsi? Occorre rispettare dieci comandamenti, redatti dagli esperti – quasi tutti di organizzazioni LGBT – che hanno preparato le linee guida. Primo: non confonderai il sesso con il genere. Il sesso è una caratteristica anatomica, ma ognuno sceglie se essere uomo o donna «indipendentemente dal sesso anatomico di nascita». È davvero il primo comandamento dell’ideologia di genere, ma ora diventa obbligatorio.

Secondo: benedirai il «coming out». Vietato parlare di «gay esibizionisti»: il giornalista porrà invece attenzione a sottolineare gli aspetti positivi della «visibilità» degli omosessuali e il coraggio di chi si rende visibile.

Terzo: riabiliterai la parola «lesbica». «Dare della lesbica» non è un insulto: è un complimento. Ma attenzione a non esagerare, promuovendo il «voyeurismo» dei maschietti. Quarto comandamento: attenzione agli articoli. Se un transessuale si sente donna il giornalista deve scrivere «la trans» e non «il trans». Per Vladimir Luxuria, per esempio – è esplicitamente citato (o citata?) nelle linee guida – vanno sempre usati articoli e aggettivi al femminile. Non importa – al solito – l’anatomia: se qualcuno «sente di essere una donna va trattata come tale». Quinto: non associare transessuali e prostituzione. E comunque mai parlare di prostitute o prostituti. Il giornalista userà invece l’espressione «lavoratrice del sesso trans».

Come è giusto per materie di questo genere, molto si gioca sul sesto comandamento: il giornalista dovrà educare i suoi lettori a considerare cosa buona e giusta il «matrimonio» omosessuale, «o almeno il riconoscimento dei diritti attraverso un istituto ad hoc» . Farà notare che «il matrimonio non esiste in natura, mentre in natura esiste l’omosessualità». Fuggirà come la peste «i tre concetti: tradizione, natura, procreazione», sicuro indizio di omofobia. Ricorderà ai suoi lettori che il «diritto delle persone omosessuali ad avere una famiglia è sancito a livello europeo».

Il sesto comandamento dell’UNAR basta a mettere nei pasticci qualunque giornalista che per avventura fosse d’accordo con il Magistero cattolico. Se qualcuno sfuggisse al sesto, incalza però il settimo comandamento: vietato parlare di «matrimonio tradizionale» e, per converso, di «matrimonio gay», che il giornalista dovrà invece qualificare come «matrimonio fra persone dello stesso sesso» per non rischiare, anche involontariamente, di diffondere la pericolosa idea secondo cui si tratterebbe di «un istituto a parte, diverso da quello tradizionale».

Difficilissimo poi per il giornalista cattolico – o, che so, per il collaboratore di questa testata – evitare di violare l’ottavo comandamento, il quale in tema di adozioni vieta di sostenere che il bambino «ha bisogno di una figura maschile e di una femminile come condizione fondamentale per la completezza dell’equilibrio psicologico». Il giornalista che sostenesse questa tesi si renderebbe responsabile della propagazione di un «luogo comune», smentito dalla «letteratura scientifica». Vietatissimo, poi, parlare di «utero in affitto», espressione «dispregiativa» da sostituire subito con «gestazione di sostegno».

Il nono comandamento sembra scritto apposta per il caso di Giancarlo Cerrelli, il noto vicepresidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani colpevole di rappresentare troppo efficacemente le ragioni di chi ė contrario alla legge sull’omofobia in televisione e quindi dichiarato persona non gradita nei programmi RAI. «Quando si parla di tematiche LGBT – si legge in un passaggio delle linee guida che sarebbe esilarante se non ci fosse la minaccia di gravi sanzioni per chi sgarra – è frequente che giornali e televisioni istituiscano un contraddittorio: se c’è chi difende i diritti delle persone LGBT si dovrà dare voce anche a chi è contrario». Sembrerebbe il minimo sindacale del pluralismo e della democrazia, specie se parliamo della RAI e di servizio pubblico.

Ma le linee guida ci dicono che questo «non è affatto ovvio». Il caso Cerrelli insegna. «Cosa deve accadere affinché il contraddittorio fra favorevoli e contrari ai diritti delle persone gay e lesbiche non sia più necessario?». La risposta corretta sarebbe che deve accadere l’instaurazione di una dittatura, per dirla con Papa Francesco, simile a quella del romanzo «Il padrone del mondo» di Benson. La risposta delle linee guida invece è che basta una «scelta puramente politica» – che l’UNAR si arroga l’autorità di fare – per dire basta a questi dibattiti fastidiosi e pericolosi. Il buon conduttore televisivo avrà cura che sia espressa solo un’opinione, quella corretta. «Non esiste una soglia di consenso prefissata, oggettiva, oltre la quale diventa imprescindibile il contraddittorio». Quindi su questi temi se ne deve prescindere. Tornatene a casa, avvocato Cerrelli – in attesa magari di sentire anche per televisione il ritornello scandito da certi simpatici attivisti: «e se saltelli muore anche Cerrelli».

Non si salvano, infine, neanche i fotografi. Il decimo comandamento li invita a fare attenzione a che cosa fotografano nei gay pride, evitando immagini di persone «luccicanti e svestite». L’obiezione secondo cui se chi partecipa ai gay pride non si svestisse non correrebbe il rischio di essere fotografato nudo non sembra essere venuta in mente agli esimi redattori del testo.

Che però hanno pensato a una possibile difesa del malcapitato giornalista, il quale potrebbe sostenere che lui la pensa diversamente, ma per dovere di cronaca ha ritenuto di riportare anche le strane idee di chi si oppone al «matrimonio» omosessuale, e che magari ha radunato in una sala centinaia di persone. Difesa debole, sentenzia il documento. Il giornalista che riporta dichiarazioni, anche «di politici e rappresentanti delle istituzioni», contrarie alle linee guida può farlo per «dovere di cronaca» ma deve «attenersi ad alcune regole»: «virgolettare i discorsi», spiegare che sono sbagliati, contrapporre dichiarazioni di rappresentanti delle organizzazioni LGBT, che andranno tempestivamente intervistati, usare «particolare attenzione nella titolazione». Non sono forniti esempi, ma il bravo giornalista capisce al volo. Se per esempio un vescovo si dichiara contrario al «matrimonio» omosessuale, il titolo dovrà essere «Fedeli scandalizzati dal discorso omofobo del vescovo» e non «Il vescovo ricorda: la Chiesa non accetta il matrimonio omosessuale».

Giornalista avvisato, mezzo salvato. Ma anche italiani e parlamentari avvisati, mezzi salvati. Perché le linee guida per i giornalisti rendono involontariamente un enorme servizio. Spiegano esattamente, nero su bianco, che cosa sarà davvero vietato dalla legge contro l’omofobia. Altro che proteggere le persone omosessuali – com’è giusto che sia, e come già affermano le leggi in vigore – da insulti, minacce e violenze. Qui si tratta della dittatura del relativismo, senza sottigliezze e senza misericordia. Fermiamo questa macchina impazzita prima di ritrovarci tutti in un Gulag gestito da militanti LGBT”.

Ed ecco QUI il documento.

9 commenti su “Prove di MinCulPop Omosex? – di Marco Tosatti”

  1. Ariel S. Levi di Gualdo

    Cari amici.

    Mi presento: mi chiamo Ariel Stefano Levi di Gualdo, sono un sacerdote cattolico e sono un naturale candidato alla galera, anzi ritengo di essere proprio un cosiddetto pezzo da galera. E vi finirò, sicuramente vi finirò in galera, perché dinanzi a questo documento che non è semplicemente delirante, bensì diabolico, posso solo dire che gli abitanti di Sodoma e Gomorra prenderebbero le distanze affermando: “No, è impossibile giungere a tanto, noi siamo persone perbene e come tali ci dissociamo!”.
    Ed è vero: gli abitanti di Sodoma e Gomorra, dinanzi a questi diabolici lobbisti del gender oggi andrebbero veramente riabilitati.

    Ora, non per citare me stesso, ma siccome certe cose mi sono dilettato a scriverle e pubblicarle anni addietro, quando ancora non era stato coniato il termine “gender”, vorrei riportarvi lo stralcio di un mio libro scritto tra il 2008 e il 2010 e pubblicato nel 2011, dove illustro la situazione odierna in questi termini:

    […] Mio nipote, oggi sei anni, nato in una famiglia di poveri cattolici trogloditi, tramite suo padre e sua madre ha percepito sin da infante – ovviamente sbagliando per “La mala education” ricevuta – che al mondo esistono due sessi. A tutte le splendide vie di mezzo il piccolo non è idealmente preparato, per come noi tutti siamo stati educati e cresciuti nella nostra famiglia cattolica retrograda. Non è che tra poco tempo mia cognata e mio fratello, colpevoli di non avere insegnato alla creatura che “gay è bello”, si vedranno sottrarre il figlio dalla polizia affinché sia affidato a una Casa Famiglia Gay, per essere rieducato attraverso la visione dei film d’alta pedagogia di Pedro Almodovar, seguendo le lezioni sull’ascetica gaycentrica tenute dai sommi sacerdoti della Lobby Omosex, infine superare un esame psicologico per essere dichiarato guarito da tutte le aberranti perversioni del pensiero cattolico? Perché se tra poco non arriveremo a questo, per come le cose stanno procedendo, rischiamo d’arrivarci vicini.
    Oggi per essere liberi e per avere il privilegio di esprimersi su giornali, libri e televisioni bisogna essere necessariamente una di queste tre cose: ricchi, omosessuali o catto-progressisti radical chic. Per tutti gli altri rischia di sorgere la cupa dittatura del Grande Fratello Gay.
    La nostra società, è forse composta di velleitari eserciti di prodi trasgressivi? No. La nostra società è triste e vecchia e il famoso spagnolo che ha fatto passare il matrimonio-gay e cancellato dai testi giuridici la parola “padre” e “madre” per sostituirla col termine asessuato di “genitori”, ha aperto lo spiraglio della porta sulla nostra rovina; perché non si tratta di semplici giochi semantici ma di una negazione della sessualità e dei ruoli naturali di maschio e femmina. E nessuno può entrare dentro il Giardino dell’Eden per cancellare le righe di Dio e riscriverci sopra.
    Nella società ellenica non ancora scivolata nella decadenza che ne marcò la fine, l’omosessualità era una fase che segnava un passaggio tra l’età dello sviluppo, l’adolescenza e la giovinezza, non era affatto considerata uno stato permanente; ed in certi luoghi e condizioni si collocava nei piani formativi del rapporto maestro-allievo. Lungo e affascinante il discorso del rapporto speculare tra uomo e uomo dove l’uno coglie se stesso nell’altro nella varie dimensioni umane, spirituali ed erotiche. L’omosessualità era praticata con discrezione e nient’affatto ostentata con l’orgoglio narrato oggi dalle Leghe Gay, che oltre ai manuali scientifici sembrano voler riscrivere anche quelli della letteratura classica. L’ostentazione nasce nella società ellenica e in quella romana al massimo apice della decadenza, quando nel normale ordine sociale si collocano la pedofilia, le orge, i rapporti sessuali propiziatori con gli animali, le figlie vergini iniziate dal padre e le madri pompeiane che svezzavano i figli adolescenti.
    […] L’omosessualità è apoteosi dell’estetica decadente mossa dalla negazione dell’essere e del divenire della vita, è la “Morte a Venezia” di Thomas Mann con la sua epidemia di colera. L’omosessualità che tiene banco sul mercato dei media presentata subliminalmente come un modello naturale a cui ispirarsi, assieme alla follia collettiva oramai imperante sarà la pestilenza della nostra èra così sinistra e corrotta, resa retrograda anche da un manipolo di allegri orgogliosi che nascondono l’inconscio odio interiore per l’amore e la vita dietro il dito della libertà, della modernità e del laicismo, mentre nei fatti sono gaie deformazioni umane antiche come Sodoma e Gomorra, sotto le cui ceneri caddero in tempi remoti […].
    (E Satana si Fece Trino. Ed. Bonanno 2011. Cit. pag. 270-273)

    Ripeto: come potete vedere sono un naturale candidato alla galera e sinceramente vi dirò pure che ne sono profondamente e cattolicamente fiero.
    Se tra l’arresto, la condanna e la carcerazione non avrò smesso nel frattempo di fumare, siate buoni: mandatemi qualche pacchetto di sigarette dietro le sbarre!

    1. Carissimo Don Ariel, anzitutto mi conforta molto sapere di un sacerdote che fuma, sia perchè, da fumatore incallito, posso avere la coscienza più tranquilla, sia perchè potremmo chiedere, quando sarà il momento, di stare in cella assieme, così ci faremo compagnia e condivideremo anche le sigarette.
      Però, da un lato questa idea della galera non mi dispiace: mantenuti dallo Stato e finalmente in relax (salvo che ci siano pene accessorie tipo “rieducazione” ovviamente a cura di chi possiamo immaginare…); d’altra parte è anche vera un’altra considerazione: questo “Stato” ha perso ormai ogni legittimità, perchè si pone contro le leggi di Dio e opera per il male dei cittadini e per la distruzione della società. Nessuna obbedienza è dovuta a un’autorità che ha perso legittimità. Ergo, oltre all’accettare supinamente tutte le porcate che a breve saranno decise (ipotesi che scarto subito), oltre l’andare quindi in gattabuia, c’è anche l’opzione “Cristeros”.
      La ribellione a un’autorità iniqua ed empia è non solo un diritto, ma anche un dovere. Pensiamoci.

      Paolo Deotto

      PS: a proposito di sigarette, vorrei raccontare una cosina interessante, che la dice lunga sulla coventrizzazione dei cervelli che caratterizza l’epoca attuale. Pochi mesi fa un amico mi raccontò che un sacerdote, spiegandogli che bisogna essere caritatevoli verso gli omosessuali, non bisogna condannare, eccetera (insomma, le solite scemenze che conosciamo), disse che, in fondo, ci sono tanti vizi, come l’omosessualità, il fumo… capito? Questo sacerdote metteva sullo stesso piano, per un giudizio morale, omosessualità e fumo. Circa un secolo fa ebbe successo una commedia intitolata “Se no i xè mati, no li volemo”…

  2. Mi permetto, a onor del vero storico, di osservare che la differenza tra le disposizioni del Ministero della Cultura Popolare e quelle previste dalle leggi sull’omofobia è grandissima. Il Min.Cul.Pop., sebbene fosse organo esecutivo di una dittatura, non violò la morale autentica, ossia la legge naturale; anzi obbligò i cittadini a rispettarla. Quanto alla lecita libertà culturale, esso ne permise abbastanza: lo attesetano le disparate pubblicazioni del ventennio non sottoposte a censura. D’altronde, una democrazia che, per principio, impone la libertà di sedurre con false filosofie e ideologie, non è forse iniqua? Essa, ha stabilito la possibilità che potessero approvarsi leggi come quelle che oggi maggiormente paventiamo.
    Per il resto, sono ovviamente d’accordo.

  3. Cesaremaria Glori

    Che schifo! Per mia fortuna sono abbastanza in là con gli anni per risparmiarmi questo inferno in cui ci ha condotto la modernità. Mi auguro con tutta l’anima che Dio voglia risparmiarmi quel che Don Ariel teme che possa avvenire. Lui si augura la galera, io preferisco la liberazione. La liberazione di un nuovo Simeone che chiede a Dio di aver vissuto abbastanza per meritarsi di non vedere il baratro in cui lo si costringe ad affacciarsi.

  4. Completamente d’accordo con don Ariel. Sottolineo parte dell’ultima frase: l’odio interiore contro l’amore e la vita. E’ l’odio che ha il nemico verso Dio, verso tutto ciò che proviene da Lui. Ora vuol distruggere completamente la creazione, attraverso la distruzione dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio: maschio e femmina li creò.
    Che dire di più? Non ci riesco. Solo, mi sembra di essere in una Genesi al contrario.

  5. Allora mi candido per la galera anche io. Prima però vorrei suggerire di fare qualcosa contro questa deriva sodomita. Tanto per non dargli soddisfazione a questa genia . Sono convinti che i cattolici, con la storia del porgere l’altra guancia, siano imbelli, sopportano tutto ( oggi c’è aria di perdono universale fai da te). Propongo di valorizzare le Sentinelle. Le persone che in una piazza, in una via, davanti ai palazzi del potere, fermi, immobili, stanno. Che fanno? Leggono, pregano, pensano. A turno, organizzati, senza lasciare i luoghi di manifestazione mai vuoti. Lanciare la proposta città per città.. I cattolici sono milioni, anche se la più parte sono lavati col modernismo. Si può fare. E poi … ci mettano in galera. Canteremo le preghiere: il salve Regina, Ave Maria, Padre Nostro . Reciteremo il Credo o lo canteremo : Fuori, fuori . La nostra Fede deve essere pubblica. Coraggio, si può fare.
    Ave

  6. Tra non molto, in questa Repobblica, ormai votata alla decadenza etica e al conseguente disfacimento cadaverico, non si potrà né stampare né leggere la Sacra Scrittura, sia del “nuovo” che dell'”antico” Testamento, senza essere condannati alla galera! E straparlano di libertà.

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