Pubblicità regresso. Liberi schiavi (prima parte) – di Roberto Pecchioli

Nessuno è più schiavo di chi si crede libero senza esserlo. L’aforisma di Goethe, tratto dalle Affinità elettive, è la sintesi della civilizzazione contemporanea. Drogati di presunte libertà, convinti di vivere nel giardino delle delizie delle opportunità, delle scelte autonome ed individuali, siamo diventati liberi schiavi, burattini in mano a un sistema che ci spreme, dirige e orienta. Il grande meccanismo, la potentissima sovrastruttura dalla quale siamo dominati, è la pubblicità.

Pubblicità in senso proprio, diretta, relativa alle nostre scelte commerciali di esseri obbligati al consumo, ma soprattutto propaganda, induzione a condotte, atteggiamenti, idee, stili di vita, convincimenti; per imitazione, coazione a ripetere, sovraccarico di esempi e modelli comportamentali. Chi comprese la deriva che si andava profilando fu Guy Debord, con il suo fondamentale La società dello spettacolo. Nella quarta tesi del saggio, il pensatore francese, dopo aver accolto l’idea marxiana dello spettacolo come inversione della vita, ne dà la seguente definizione: lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra individui, mediato dalle immagini. Dunque, il potere si serve dell’intrattenimento per trasmettere messaggi attraverso un sofisticato meccanismo di orientamento che possiamo chiamare pubblicità, o propaganda, nel senso introdotto da Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud.

Forme di propaganda, pubblicità o indottrinamento sono presenti dall’inizio della storia, ma non si era mai toccata la capillarità contemporanea, la pervasività che raggiunge ogni gesto della vita, né erano state mai state mobilitate scienze, saperi, conoscenze multidisciplinari, finissime intelligenze, sino a dispiegare un apparato che impregna ogni ambito della quotidianità di miliardi di esseri umani. Un piccolo esempio: già diversi anni fa, degli amici si dichiaravano stupefatti del comportamento del proprio figlio di pochi anni, tutt’altro che teledipendente, infastidito sino a crisi di pianto dall’interruzione dei messaggi pubblicitari televisivi e dalla ripresa della normale programmazione. Un’ inversione: per il bambino, lo spettacolo era la pubblicità. Il mezzo diventa il messaggio, a conferma delle intuizioni di Marshall McLuhan, vi si sovrappone sino a sovrastarlo, piegandolo alla volontà di chi lo dirige.

Naturalmente, il figlio dei nostri amici pretendeva con foga di ottenere immediatamente le merci pubblicizzate, confondendo la realtà con lo spettacolo. Bersaglio colpito, dunque, da parte dei signori della pubblicità. In questo senso, la nostra convinzione, che non pretende di essere una scoperta originale, né di assurgere a verità sociologica, ma si pone come constatazione e allarme, è che la pubblicità, nelle sue varie forme, è un potente veicolo di regresso civile, individuale e comunitario.

Partiamo dalle osservazioni di due studiosi assai diversi tra loro, l’antropologo Arnold Gehlen e Konrad Lorenz, biologo, zoologo e fondatore dell’etologia, ricerca comparata sul comportamento animale e umano. Con accenti diversi e muovendo da premesse assai distinte, essi convergono su una tesi: l’uomo è l’unico essere in grado di differire i propri istinti, rimandare, contenere le pulsioni che lo animano, entro certi limiti controllare anche le proprie esigenze più materiali. Gehlen lo chiama esonero (entlastung), con significati per la verità più ampi, ma è un fatto che l’uomo è capace di dettare a se stesso tempi e ritmi delle proprie azioni. Egli non mangia indefinitamente come gli animali, sa rinunciare a qualcosa in vista di un obiettivo futuro o di un principio morale, è in grado di sottomettere il piacere immediato a criteri di opportunità, di etica, esaminando e giudicando le situazioni concrete in cui è coinvolto in base a valutazioni complesse. Sa esercitare, in misura individualmente e culturalmente diversa, la temperanza, l’autocontrollo, sottomettendo a giudizio e, in varia misura, padroneggiando gli istinti. E’ in fondo questo il significato della razionalità umana e il senso della sua natura di animale politico, compresa da Aristotele.

Attraverso l’apparato che chiamiamo pubblicità (spettacolo, intrattenimento, propaganda, ecc.) l’uomo postmoderno regredisce allo stato infantile, un bimbo capriccioso che vuole tutto e subito, non sente ragioni, si muove ed agisce in base all’impulso immediato, alla reazione istintuale, al riflesso condizionato, eterodiretto, azione, risposta e retroazione (feedback), non diversamente dall’animale, come dimostrato da mille esperimenti, a partire da quello di Ivan Pavlov sui cani. La triste lezione di Freud è stata applicata dal nipote Bernays, inventore di campagne pubblicitarie basate sulla persuasione psicologica indiretta, cui si deve l’uso nel significato odierno del termine propaganda.

Riducendo l’uomo alle sue pulsioni animali, il fondatore della psicanalisi riconobbe come unico movente umano il principio di piacere (lustprinzip). La pubblicità prende sul serio la fosca profezia trasformandoci, attraverso un condizionamento massiccio, un bombardamento di immagini, sollecitazioni, ripetizioni, atmosfere tese ad alimentare il desiderio, in esseri volubili, schiavi del presente, regrediti all’istinto. Tutto e subito. Non diverse furono alcune parole d’ordine del 68, da vietato vietare a “che cosa vogliamo? Vogliamo tutto!”.  I due slogan erano collegati e fu svelto il capitalismo a cambiare pelle, farsi antiborghese e permissivo al fine di soddisfare i desideri, lavorando per crearne ogni giorno di nuovi.

Con l’avvento dei social media si è enfatizzata la necessità di esibire i propri comportamenti indotti, soprattutto gli acquisti e i viaggi, ma anche il cibo e gli incontri. I “consumi vistosi” analizzati da Thorsten Veblen, da ostentazione dei ceti abbienti si sono trasformati in fenomeno di massa. Il risultato è la banalizzazione triviale di un concetto filosofico di George Berkeley, il prelato irlandese del XVIII secolo: esse est percipi, essere è essere percepiti, o meglio visti, invidiati, imitati come noi stessi imitiamo comportamenti, consumi, attitudini altrui per sovraccarico di propaganda. Un’osservazione di Marcello Veneziani spiega molto del rovesciamento antropologico in atto. La maggioranza segue il vizio con lo stesso conformismo irriflessivo con cui approvava, in altre stagioni, la virtù.

Quasi tutto dipende dai modelli diffusi, il cui vettore è il sistema complesso che definiamo pubblicità. L’esito è scontato se si possiede e indirizza la grande macchina: i più seguiranno i modelli prestabiliti, specialmente se testimoniati dai membri delle classi elevate. Una volta era l’aristocrazia di sangue, poi quella del denaro, adesso bastano i divi dello spettacolo e dello sport. Mimeticamente, essi trasformano il mondo nella direzione voluta dalle cupole di potere, a cominciare dall’abbigliamento, dalle acconciature, dai gusti sino alle condotte di vita sino ai nomi da imporre ai propri figli. Anche in quell’ambito, siamo fuorusciti da ogni tradizione culturale, nazionale e familiare, per finire nella bizzarria esterofila e nel ridicolo. Lo spettacolo più la pubblicità più il globalismo masticato male riempiono l’anagrafe di Jonathan, Kevin, Chanel.

E’ il trionfo dell’immediato, della moda, cioè del bambino viziato attratto dalle luci, dai colori, dall’apparenza. Finti Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden pubblicitario. Come capiva d’istinto il figlio dei nostri amici, oggi è la vita che interrompe la pubblicità.  L’intero sistema di intrattenimento globale che forma le coscienze (coscienza, che parola grossa!) è pagato dalla pubblicità, lo sport professionistico, l’offerta televisiva, perfino il sistema tecnologico. Possiamo ottenere connessioni o servizi gratuiti se accettiamo di ricevere annunci pubblicitari, non c’è più bisogno di ricorrere a messaggi subliminali. Ormai ammettiamo, ingurgitiamo, ruminiamo tutto. Un qualunque programma viene interrotto ogni dieci, dodici minuti per bombardarci di spot per almeno cinque, oltre i cosiddetti messaggi promozionali e l’auto pubblicità per le successive trasmissioni. La nostra attenzione fatalmente si affievolisce, ma hanno pensato a tutto: l’audio è più forte, i colori più intensi, i fotogrammi scorrono più veloci.

Mezzo e messaggio coincidono nella forma merce (il nuovo feticismo), ma soprattutto, nell’universo mentale che impongono. Una società senza conflitti, che pare ritoccata al photoshop, dove non ci sono i vecchi (gli anziani della pubblicità non assomigliano per nulla a quelli reali), tutti hanno disponibilità economiche in abbondanza – nel caso, ci pensa il credito al consumo- un paese dei balocchi in cui la pubblicità è l’omino di burro di Pinocchio, falsamente buono, in realtà cattivo e violento, destinato a trasformarci in asini.

La metafora è calzante: asini perché destinati alla soma (produci, indebitati, consuma e poi crepa) e per il fatto che non è previsto il pensiero critico, anzi è abolito sull’altare del gesto sommo, liberatorio ed atteso: l’acquisto, l’acquolina in bocca dinanzi all’oggetto del desiderio e la decisione immediata. Lo voglio, lo compro. Ciò non vale, ovviamente, solo per le merci, ma innanzitutto per i moventi della vita, ridotti – una profezia che si autoavvera per scelta dei potenti- al lustprinzip, il principio di piacere (immediato). Segue una rapida delusione, come nel bambino annoiato dal giocattolo. Una delusione che, prima di assumere la forma della disillusione o della riflessione, va oltrepassata attraverso un nuovo desiderio, una luce più abbagliante.

La ripetizione dei messaggi è un elemento capitale. La mente subconscia “sente” tutto. L’iterazione del messaggio è il cuore della programmazione mentale. La ricerca ha dimostrato che ciò che viene udito più volte produce accettazione e preferenza. Il ruolo della musica è essenziale, i primi ad intuirne l’importanza furono i padri della civiltà occidentale, Platone e Aristotele. Negli anni Sessanta, Jimi Hendrix affermò: “Tu puoi ipnotizzare la gente con la musica, e quando essa si trova nel suo punto più debole puoi predicare al loro subconscio qualunque cosa le vuoi dire.” Buona parte della musica rock odierna è costruita attorno ad un modello di bassi pesanti, molto più forti della melodia. Le vibrazioni prodotte da queste basse frequenze colpiscono la ghiandola pituitaria. Quest’ultima produce gli ormoni che vanno a controllare le risposte sessuali degli uomini e delle donne.

Il Tutto è organizzato da menti finissime, in grado di padroneggiare le neuroscienze, la psicologia, la fisiologia a fini di potere. I persuasori occulti di Vance Packard hanno lasciato il passo a esperti delle più diverse discipline, a partire dagli studiosi del cervello umano. Lo scopo non è vendere prodotti, ma instillare una visione generale dell’esistenza conforme agli interessi di chi comanda. Con il lessico della psicanalisi, occorre abbattere il Super Io e intronizzare l’Es, ovvero le pulsioni, l’istinto, l’animalità per abbattere il senso morale, il pensiero critico, la capacità di tenere a freno il principio di piacere. In termini junghiani, far affiorare l’Ombra, allontanando la Persona, alla ricerca di nuovi archetipi collettivi, come il Consumatore. Se analizziamo questa figura, ci sorprendiamo dei suoi caratteri negativi. Si tratta di qualcuno che esaurisce, disfa, getta e distrugge ciò che ha, ed il suo comportamento è coattivo (la forza dell’impianto-pubblicità-propaganda-spettacolo-intrattenimento) e compulsivo: dopo un consumo via al successivo, come il tabagista che accende una sigaretta dopo l’altra o il drogato bisognoso di dosi sempre maggiori.

Il congegno deve attivarsi senza indugio, compiersi senza pensiero, senza valutazione delle conseguenze, come se sussistesse una sorta di periculum in mora, un rischio nel ritardare l’atto di procurarsi un piacere. E’ una chiara regressione allo stadio infantile attraverso la rimozione progressiva del senso morale, unita alla perdita della capacità di controllare e differire le reazioni. La sottocultura del 68 la chiamò liberazione, ovvero disfarsi dei fardelli costituiti dal bene e dal male, dei comportamenti appresi, delle cautele, delle remore e dei rimorsi. Il viziato contemporaneo non ha pentimenti in quanto non rielabora il passato, non lo sottopone a giudizi etici né lo pone a modello per il futuro. Lo ignora a favore di un eterno presente. Infatti è terrorizzato da qualsiasi accenno a situazioni negative, malattia, povertà, morte, guerra, prendersi cura di qualcuno. Gli stadi intermedi di Homunculus sono la riduzione e semplificazione del linguaggio: le parole che ascolta devono essere elementari, inframmezzate da altre più difficili, arcane, provenienti da linguaggi specialistici o idiomi stranieri.

 

3 commenti su “Pubblicità regresso. Liberi schiavi (prima parte) – di Roberto Pecchioli”

  1. Pubblicità Progresso non ha nulla della qualificazione enunciata. E’ tutta Pubblicità Regresso. Moralmente parlando.
    Gaetano

  2. Anche la pubblicità più insidiosa, la propaganda più sofisticata, hanno un limite. La storia presente lo dimostra: la maggioranza della gente ha rigettato Renzi e il Pd, in America ha abbracciato Trump. E’ bastato qualche politico che prospettasse l’alternativa all’imbottitura dei cervelli con panzane illogiche e conronatura.

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