RIFLESSIONI SULLA POVERTA’ DELLA CHIESA. QUELLO CHE MI POTREBBERO DIRE I MIEI EX ALUNNI DI SCUOLA – di Massimo Viglione

di Massimo Viglione

fonte: Il Giudizio Cattolico

 

 

Ricordo che quando ero docente di liceo, spesso fornivo occasione ai ragazzi di parlare e approfondire vari argomenti, grazie anche al fatto che insegnavo storia e filosofia. Loro me lo chiedevano, o a volte nasceva spontaneo il dibattito. Per me era sempre ottima occasione per aiutarli a ragionare, in una parola, per fare apostolato. L’unica condizione che io ponevo era quella di non scendere sotto l’asticella dell’idiozia, cioè di non dire baggianate inutili e populistiche da quattro soldi.

sfrQuando mi chiedevano di fare un esempio di “baggianata inutile e populistica”, ricordo che infallibilmente io portavo questo esempio riguardo la Chiesa (perché tanto poi sempre lì si andava a finire, come ovvio): “per favore, non venite a dirmi che la Chiesa deve essere povera e il papa deve vendere tutti i suoi beni, perché questo è intollerabile per vostre intelligenze (oltre che per la mia)”. Siccome poi c’era sempre qualcuno che cercava il puntiglio, ricordo che brevissimamente esponevo le ragioni della “baggianata”: “se la Chiesa vendesse i suoi beni, tutti (cosa impossibile in sé, ma mettiamo pure che fosse possibile), sfamerebbe per un mese i due terzi dell’umanità. Vogliamo fare per un anno? Fosse anche 10? E poi? Chi sfamerebbe più tutti i poveri del mondo? E i loro figli e nipoti? Chi assisterebbe più tutti i bisognosi? Nessuno, perché da un lato sarebbero terminati i soldi accumulati con la vendita dei beni, dall’altro non ci sarebbe più la Chiesa, che nel frattempo sarebbe diventata una ONG senza soldi, magari finanziata dall’ONU, e quindi non sarebbe più la Chiesa come l’ha voluta e fondata Cristo stesso”.

Poi aggiungevo: “la povertà deve riguardare ogni singolo ecclesiastico, non la Chiesa. San Francesco si è fatto povero, ma mai e poi mai ha predicato la povertà della Chiesa. Padre Pio ha ricevuto soldi a palate per tutta la vita dai fedeli di tutto il mondo, ma ogni giorno della sua vita ha vissuto nello stesso convento, ha mangiato una volta al giorno, ha indossato la stessa tonaca”.

E terminavo: “Un conto è la povertà di ogni singolo cristiano (ecclesiastico o laico), che deve consistere peraltro non nell’essere povero per forza, ma nell’essere perfettamente distaccato da ogni bene e totalmente indifferente a ciò che Dio gli dà o gli leva; un conto è la Chiesa come istituzione, la quale da 20 secoli aiuta miliardi di uomini e donne in difficoltà. E se può farlo, è anche perché, oltre alla santità e alla grazia, possiede i beni materiali per poterlo fare. Con i soldi, aiuti i poveri. Senza soldi, sei povero e devi trovare chi ti aiuta”.

“Non solo”, aggiungevo. “La questione della presunta povertà della Chiesa è stata risolta già dai padri della Chiesa e per sempre. In questi venti secoli, tutti gli eretici infallibilmente hanno accusato la Chiesa di essere ricca: dalle sette eretiche e gnostiche dei primi secoli ai bogomili, dai patari agli albigesi, da Hus e Wycliff a Lutero, dai giansenisti alla Teologia della Liberazione, ecc. In realtà, se c’è una cosa veramente vecchia come il cucco nella storia della Chiesa, è l’accusa di ricchezza a questa fatta da parte di tutti gli eretici di ogni genere e tipo”.

bdE il silenzio piombava nella classe, dinanzi a tali ragionamenti, che certamente non erano frutto del mio genio ma semplicemente espressione della più banale logica e degli insegnamenti di tutti i santi, padri, dottori, papi e vescovi di tutti i tempi. E della storia stessa.

Approfittavo allora del silenzio per poi aggiungere: “Inoltre, se da secoli la Chiesa è la più grande (ma di gran lunga, senza alcun paragone possibile) organizzazione di mecenatismo della storia, se la Chiesa ha potuto far produrre i più grandi e meravigliosi capolavori dell’arte, dell’architettura, della scienza, della musica, ecc. ai più grandi geni di tutti i tempi, questo è avvenuto perché la Chiesa aveva i soldi per pagarli questi geni, per fornire loro il materiale e tutto l’occorrente. Se l’Italia possiede i due terzi del patrimonio artistico mondiale, è perché in Italia c’è la Chiesa. E se il restante 90% è comunque in Europa, e in particolare in Europa occidentale, è perché in questi Stati e in pochi altri la Chiesa aveva la possibilità materiale di fare altrettanto”.

Già… l’arte… la musica… la bellezza… l’armonia… l’educazione. La sacralità della liturgia. Tutto ciò è frutto della grazia. Ma anche della gerarchia, nel senso più profondo, direi divino, del concetto. Tutto ciò ha prodotto nei secoli una civiltà, la civiltà cristiana, vale a dire, pur in tutti i suoi limiti umani, “la” Civiltà per antonomasia. Un patrimonio che oggi si vuole distruggere, annientandone anche il ricordo, come ogni giorno possiamo vedere in ogni parte del mondo.

Ascoltare un concerto di musica classica, vuol dire difendere questo patrimonio innalzando lo spirito dell’uomo; stesso discorso vale per le opere d’arte, per tutti i capolavori, che andrebbero non solo difesi, ma anche nella misura del possibile oggi, favoriti tramite la riproposizione di un rinnovato gusto del bello che produca nuovi capolavori. La Chiesa è madre anche perché dona la bellezza ai suoi figli e ne coltiva lo spirito e la cultura. E questo era anche il senso della bellezza e della sacralità della liturgia romana.

Tutto questo non è “rinascimentale”: tutto questo è l’unico vero “patrimonio dell’umanità” e la grande dispensatrice ne è stata da sempre santa madre Chiesa.

Tutto ciò che è bello, armonico, che eleva lo spirito, che produce cultura e generosità, sacralità e carità, è dono di Dio. Anche un camauro. Anche un calice intarsiato, visto che è finalizzato a contenere la “Cosa” più sacra e importante del mondo. E ha pertanto valore gerarchico.

Perché scrivo tutto questo? Perché oggi, ciascuno dei miei ex studenti, incontrandomi, potrebbe dirmi: “Ah professò, ma che c’ha raccontato a scuola? Ha visto che occorre vende’ le chiese per aiutare i poveri? Che san Pietro non aveva il conto in banca? Che la bellezza, l’ordine, la tradizione, la sacralità, la musica, i paramenti sacri, non servono a nulla? Che il mondo non è stato creato gerarchicamente, come lei ci ha sempre detto, perché siamo tutti uguali, compreso il papa? Anzi, professo’, a questo proposito, ci spieghi un po’ ‘na cosa: ma se siamo tutti uguali, perché dovremmo sta’ a sentì il papa? Professore, o lei non ha capito niente, oppure…”.

Questo potrebbero dirmi. E io potrei solo stare zitto.

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