Rivolto al Concilio. Quando Dom Calvet abbandonò la via della Tradizione difesa da monsignor Lefebvre – di don Jean-Michel Glaize

Il 30 giugno scorso è stato il 30º anniversario delle ordinazioni episcopali di Écône, in cui monsignor Lefebvre, apparentemente disobbedendo, obbedì realmente alla Chiesa e si mosse per la salute delle anime che, come sacerdote, era chiamato a difendere in tutto e per tutto dalle infiltrazioni progressiste e moderniste infiltratesi nella Chiesa. Monsignor Lefebvre ha fatto tutto ciò che doveva fare: tutto ciò che un vescovo, in quel preciso momento storico, non senza dolore e angoscia, poteva fare di concreto per contrastare l’eresia dilagante, trovandosi davanti ad una nuova religione che – quella sì – faceva scisma dalla Chiesa cattolica così come è stata voluta da Nostro Signore Gesù Cristo.

Ma quest’anno ricorrono anche i 10 anni dalla scomparsa di dom Gérard Calvet, l’abate di Sainte-Madeleine du Barroux a cui lo scrittore e storico francese Yives Chiron ha dedicato uno dei suoi ultimi libri: “Tourné vers le Seigneur”, per le Éditions Sainte-Madeleine. 

In Italia, a parlare di dom Gérard e della biografia scritta da Chiron è stata La Nuova Bussola Quotidiana, con un articolo a firma di Luisella Scrosati che definisce monsignor Lefebvre, senza troppa originalità e con ancor meno acume, un “vescovo scismatico”. 

L’atteggiamento dell’articolista è quello di chi, pur godendo dei benefici provenuti dall’opera di Lefebvre, se ne erge a giudice senza capire che, senza quelle ordinazioni, non esisterebbe tradizionalismo e non esisterebbe nemmeno il presunto “conservatorismo”, che è si è manifestato proprio nell’opera di dom Gérard, guardando solo e meramente alla crisi della liturgia.

Per chi voglia rileggere quegli avvenimenti senza il paraocchi del conservatorismo a buon mercato, abbiamo tradotto un articolo di don Jean-Michel Glaize, pubblicato su Le Courrier de Rome nell’aprile scorso, che proponiamo integralmente. (Cristiano Lugli)

TOURNÉ VERS LE CONCILE(Rivolto al Concilio)di don Jean-Michel Glaize 

  1. Dom Gérard, fondatore e abate del monastero Sainte-Madeleine du Barroux, ha lasciato questo mondo dieci anni fa, il 28 febbraio 2008. Yves Chiron ne pubblica la prima biografia, titolata “Rivolto al Signore”. Derogando alla sua ordinaria riservatezza, lo storico emette in questa occasione, e a più riprese, dei gravi giudizi sulla portata dell’atto delle consacrazioni episcopali, compiute da Mons. Lefebvre il 30 giugno 1988. Yves Chiron vede in esse “uno scisma”.

Di tale scisma, afferma, Dom Gérard non misurò subito la gravità. Fu solo il 18 agosto successivo, con una “Dichiarazione” pubblicata nel giornale Présent, che il Barroux cominciò a prendere ufficialmente le distanze da Écône. Questo allontanamento doveva accentuarsi molto rapidamente e condusse Dom Gérard ad adottare un atteggiamento diverso rispetto alle novità introdotte nella Chiesa dall’ultimo Concilio. A tal punto che accettò di concelebrare, almeno in due occasioni, il Novus Ordo Missæ, un nuovo rito di cui i cardinali Ottaviani e Bacci poterono tuttavia affermare che “si allontana in maniera impressionante, nell’insieme come nel dettaglio” dalla definizione cattolica della Messa, fissata una volta per tutte dal concilio di Trento.

  1. Sia detto di passaggio: lo scisma è anch’esso un “allontanamento”, proprio come l’eresia. Quali ne sono i termini? Chi si allontana da chi? La vecchia Messa dalla nuova?… Lo sguardo dello storico qui dovrebbe trovare i propri limiti – insieme alle ragioni della propria modestia. Da parte sua, uno dei testimoni della prima ora della battaglia della Tradizione, don Paul Aulagnier, qualifica come “molto severo” il libro di Yves Chiron, a causa di questi giudizi, che si ripetono “non una volta en passant, ma mille volte, ricorrendo in modo lancinante e fastidioso”. Ma chiudiamo qui la parentesi.
  1. Cosa lascia dietro di sé Dom Gérard? Sicuramente, una profonda e vasta influenza, esercitata da vivo sia con la parola che con gli scritti e che perdura ancora attraverso l’opera del suo monastero. Ma questa influenza ha operato, sotto tutti gli aspetti, il vero bene delle anime? Un fatto rimarrà per sempre innegabile, agli occhi della Storia: fin da quando Dom Gèrard era vivo, il Barroux è stato difensore del Concilio Ecumenico Vaticano II. Dom Gérard lascia dietro di sé dei discepoli e questi discepoli sono divenuti i teologi e gli apologeti della libertà religiosa. Il principale tra loro, Padre Basilio Valuet, nel 1998 pubblicò una somma in sei volumi sull’argomento: La libertà religiosa e la Tradizione cattolica. Un caso di sviluppo dottrinale omogeneo nel Magistero autentico. Nella biografia consacrata al fondatore della Fraternità San Pio X, Mons. Tissier de Mallerais evoca “l’ossessione della comunione ecclesiale e benedettina” che finirà con il “consumare poco a poco la capacità di resistenza” del Barroux. Capacità di resistere agli errori del Concilio. E di conseguenza anche alle riforme deleterie della nuova liturgia. Mons. Lefebvre aveva d’altra parte indicato questa insufficienza fatale, fin dall’indomani delle consacrazioni. “Dom Gérard – notava allora Monsignore  – finora ha tenuto conto solo della liturgia e della vita monastica. Non vede chiaramente i problemi teologici del Concilio, della libertà religiosa. Non vede la malizia degli errori. Non si è mai preoccupato troppo di questo. Quello che lo interessava, era la riforma liturgica, la riforma dei monasteri benedettini […] Non ha considerato abbastanza che quelle riforme che lo avevano portato a lasciare il suo monastero erano le conseguenze degli errori che si trovano nel Concilio”.4. Infatti c’è un legame molto stretto tra la liturgia e la professione di fede. Dal giorno in cui perse di vista la malizia di fondo degli errori del Concilio, Dom Gérard s’impegnò sulla via che lo avrebbe portato presto o tardi a trascurare la pericolosità altrettanto profonda, per il suo stesso monastero, della nuova liturgia. Don Paul Aulagnier lo sottolinea a ragione: “Non è forse una modifica fondamentale della vita del monastero lasciarvi celebrare la nuova Messa?”.Per guardare nella giusta prospettiva la biografia di Yves Chiron, con l’omaggio di cui essa si vuol fare espressione, rileggiamo anche, senza cambiarne una sola riga, a venticinque anni di distanza, l’Editoriale firmato dallo stesso don Paul Aulagnier, allora Superiore del Distretto di Francia della Fraternità San Pio X: “Non era forse sotto la vostra responsabilità di padre, Abbas, Pater – scrive rivolgendosi a Dom Gérard – di lasciare piuttosto ai vostri monaci un esempio di fermezza, di perseveranza, di fedeltà?”
  2. Né la fermezza, né la perseveranza, né la fedeltà potrebbero qui essere senza fallo, perché Dom Gérard non ha visto “la malizia di questi errori”, errori mortiferi del Concilio Vaticano II. “Non è un’inezia ad opporci”, diceva ancora Mons. Lefevbre parlando del Concilio. “Non basta che ci dicano: voi potete dire la vecchia Messa [è quello che afferma il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI nel 2007 NdA] ma bisogna accettare questo [questo: gli errori del Vaticano II; è quello che dice la Lettera ai vescovi di Benedetto XVI nel 2009 NdA]. No, non è questo ad opporci. È la dottrina. È chiaro. È ciò che è grave in Dom Gérard, ed è quello che lo ha fatto smarrire”. L’omaggio postumo richiederebbe qui un po’ di temperanza.
  3. Perché questa inversione? Come è possibile che dopo aver, nell’estate 1988, rifiutato come una rottura l’insegnamento conciliare sulla libertà religiosa, Dom Gérard abbia finito per vedervi l’eco della Rivelazione divina?

“Credo che quello che ha contribuito a smarrire Dom Gérard – spiegava ancora Mons. Lefebvre – sia la sua preoccupazione di aprirsi a tutti quelli che non sono con noi e che possono approfittare anch’essi della liturgia tradizionale. È ciò che scriveva in sostanza nella Lettera agli amici del monastero, due anni dopo il suo arrivo al Barroux. Noi vogliamo provare, diceva, a non avere più questo atteggiamento critico, sterile, negativo. Ci sforzeremo di aprire le nostre porte a tutti coloro che eventualmente pur non avendo le nostre idee, amino la liturgia, per far profittare anche loro dei benefici della vita monastica. Fin da quel periodo, mi ero preoccupato di quella che consideravo un’operazione molto pericolosa. Era l’apertura della Chiesa al mondo  –  e si è poi dovuto constatare che è stato il mondo a convertire la Chiesa. Dom Gérard si è lasciato contaminare da quest’ambiente, che ha di fatto ricevuto nel suo monastero.”

Qui vi è una legge inscritta nel più profondo della natura umana, essendo l’uomo fatto per vivere in società. La società infatti è quell’ambiente nel quale l’uomo riceve, inevitabilmente, il proprio modo di pensare e agire.

Mons. Lefebvre sapeva bene di che cosa parlava, perché aveva ben riflettuto, e la sua riflessione era approdata proprio a questa “Esposizione della situazione riguardante ciò che Roma chiama riconciliazione”, stesa in vista della riunione tenuta al Pointet il 30 maggio 1988. Di fronte all’eventualità di una reintegrazione canonica delle opere della Tradizione, aveva fatto la seguente constatazione: “Eravamo finora protetti in modo naturale, la selezione si faceva da sé data la necessità di una rottura con il mondo conciliare; ora, bisognerà fare dei controlli continui, difendersi senza tregua dagli ambienti romani, dagli ambienti diocesani. È per questo che vogliamo tre o quattro vescovi e la maggioranza nel consiglio romano. Ma fanno orecchie da mercante. Hanno accettato solo un vescovo, e sotto minaccia continua, e hanno rimandato la data. Ritengono inconcepibile che li si tratti come un ambiente contaminato, dopo tutto quello che ci accordano. Dunque per noi si pone il problema morale. Bisogna assumersi il rischio di contatti con questi ambienti modernisti nella speranza di convertire qualche anima, di difendersi con la grazia di Dio e la virtù di prudenza e rimanere così uniti a Roma legalmente, secondo la lettera, dato che lo siamo in realtà e secondo lo spirito? O bisogna prima di tutto preservare la famiglia della Tradizione per mantenere la sua coesione e il suo vigore nella fede e nella grazia considerando che il legame puramente formale con la Roma modernista non può essere messo a confronto con la protezione di questa famiglia che rappresenta ciò che resta della vera Chiesa cattolica? Che cos’è che Iddio, la Santissima Trinità e la Vergine di Fatima ci chiedono come risposta a questa domanda?”

  1.  La storia non si scrive mai in anticipo, e di rado si ripete allo stesso modo, tanto le circostanze possono essere mutevoli. Ma le leggi della natura umana non cambiano. Ne derivano sovente delle probabilità molto forti. Rimanere integri in un ambiente contaminato è molto spesso un’impresa votata al fallimento, un sogno impossibile. Fu il sogno di Dom Gérard, e fu pure il suo scacco. Dopo aver dichiarato che il suo rifiuto dello “scisma” e la sua integrazione nella Confederazione benedettina non erano accompagnati “da alcuna contropartita dottrinale o liturgica”, e che “nessun silenzio sarebbe stato imposto alla sua predicazione antimodernista”, Dom Gerard doveva dichiarare in capo a qualche anno: “Noi accettiamo tutto il magistero della Chiesa, di ieri, di oggi e di domani. Eccone la prova: abbiamo redatto e pubblicato nel 1993 l’opera ‘Sì, il Catechismo della Chiesa cattolica è cattolico!’, in risposta a coloro che vi ravvisano l’esposizione della fede modernista della Chiesa conciliare. Se veramente rigettassimo quasi tutto il Concilio, ci saremmo presi la briga di difendere questo catechismo, sintesi magnifica di tutta la dottrina della Chiesa, includendo necessariamente il Concilio Vaticano II ?”
  2. Dunque, “Che ne è di questa fedeltà?” È ancora don Paul Aulagnier a porre la questione. Perché i fatti sono lì. Dom Gérard non ha trasmesso fedelmente le tradizioni del suo ordine monastico. La specificità della sua opera non fu “l’attaccamento alla dottrina monastica come l’avevano vissuta Padre Muard, Dom Romain Banquet e Madre Marie-Cronier”, né “l’attaccamento alla liturgia tradizionale”. No, perché un tale attaccamento ha il dovere di escludere le novità contrarie alla fede e al culto della Santa Chiesa cattolica. Lontano allo stesso modo dall’adulazione e dall’animosità, lo storico ha il dovere di essere giusto e di rendere al Padre di Barroux ciò che merita. Il libro di Yves Chiron mette in evidenza gli aspetti belli e nobili della vita di Dom Gérard. Ma vi manca il grande rimprovero, che una Storia degna di tale nome non potrà ignorare a lungo: quello di avere alla fine abbassato la guardia davanti all’ “Eresia del XX secolo”.

2 commenti su “Rivolto al Concilio. Quando Dom Calvet abbandonò la via della Tradizione difesa da monsignor Lefebvre – di don Jean-Michel Glaize”

  1. Come al solito, i medici pietosi fanno la piaga cancrenosa : sacrificano la chiara verità del Signore alle opinioni sofistiche e pacifiche.

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