Rivoluzione Tecnologica, Transizione Ecologica & Altre Amenità

Immaginate un mondo in cui non si studiano le Guerre Puniche. Fatto? Inutile: esiste già. «Inutile studiare quattro volte le Guerre Puniche, serve cultura tecnica», ha detto poco tempo Roberto Cingolani. Così inquadrato da Wikipedia: fisico, accademico e dirigente d’azienda italiano, dal 13 febbraio 2021 ministro della transizione ecologica nel governo Draghi”. A volte basta una frase a palesare immediatamente la sostanza culturale di un uomo.

In realtà, il sogno del “transitorio” Cingolani si è già concretizzato, perché le Guerre Puniche non si studiano quattro volte, ma mezza volta: forse il ministro non ha figli (o non se ne cura), ma alla cosiddetta “scuola primaria” le Guerre Puniche sono un paragrafo su una paginetta, a fronte di un intero anno buttato a inculcare stupidaggini su quattro ossa di scimmia. Se poi tuo figlio si iscriverà a una scuola tecnica, ecco che le Guerre Puniche non le studierà mai più. Finendo perciò condannato alla pistica illusione di vivere in un paese zeppo di ruderi puzzolenti e luridi cocci da asfaltare per fare spazio al nuovo parcheggio, dotato di colonnine per le auto elettriche di Cingolani, alimentate con energia presa a strozzo dalla Francia.

A ben guardare, le Guerre Puniche dovrebbero essere studiate cinque volte, non quattro. Sono un concentrato di problemi straordinariamente attuali: sono utili per capire la politica, la macroeconomia, cosa sia un casus belli, l’immigrazione (Mamertini), l’arrivo dei Valois in Italia (sempre i Mamertini), uno stato cuscinetto, l’imperialismo marittimo Britannico e perfino l’innovazione tecnologica (Archimede). Insomma ci sono più cose in cielo e in terra di quante ce ne siano nella testa di Cingolani. E la cosa bella è che per ora, lo possiamo ancora dire, pardon, “somministrare”.

Sì, perché quel grande statista di Mario Monti, compare del suddetto ministro, ci ha spiegato che: «Nella comunicazione di guerra c’è un dosaggio delle informazioni, che nel caso delle guerre tradizionali è odioso, ma nel caso della pandemia bisogna trovare delle modalità meno democratiche secondo per secondo». Questo perché? Per lo stesso motivo per il quale non si dovrebbe studiare la storia né iscrivere i figli al liceo classico: «Da due anni con lo scoppio della pandemia di colpo abbiamo visto che il modo in cui è organizzato il nostro mondo è desueto, non serve più». In altre parole, ciò che ci rende unici al mondo per Monti è da buttare nella tazza del cesso.

Ma forse il professore ha ragione perché, quando un ex capo del governo sa di poter dire una bestialità del genere impunemente e chi ascolta non ha niente da eccepire, vuol dire che i nostri padri hanno combattuto a Zama per niente. Ci meritavamo il senato mercantile punico e i sacrifici umani a Baal. Che poi, a dirla tutta, non sono cosa molto diversa dalla nuova governance tecnofinanziaria delle persone come i suddetti, che non brillano certo per pietas romana, né cristiana.

Considerate come sarà la quarta rivoluzione industriale, la cosiddetta rivoluzione tecnologica. Vittorio Colao ipse dixit: «Governi tecnici o politici? Non vedo distinzioni, ma è una questione di competenze che riguarda tutti». Non vede perché è affetto da cecità dovuta a Guerre Puniche studiate male oppure ciurla nel manico, fa lo gnorry post-tecnologico.

Pensate quanta tecnologia un tecnofilo mette in una torta, mentre voi, poveracci, vorreste solo usare la ricetta della nonna. La ricetta del languido Colao, invece, è scritta sognando stolide sequenze di 1 e 0 che partono dal Cern e arrivano sotto il Gran Sasso, passando per il vostro router rotto, mentre la tv vi illumina il 5g su 3 canali pixellati e monopolizzati da 2 veterinari esperti di Dna di pipistrello cinese in casseruola.

Ma tutto questo non basta. Nell’Agenda 2030 si parla addirittura di “rewilding”, di “ritorno alla natura”. Non si tratta di scampagnate estive in famiglia (la quale, per inciso, secondo questi signori non dovrebbe più esistere come concetto), ma si tratta del ritorno del mondo intero alla natura selvaggia. In breve: la (ri)conversione ecologica totale e forzata delle nostre vite e delle nostre case, letteralmente invase e devastate dalla foresta che avanza.

Si salverà, ovviamente, qualche isola urbana felice e immacolata. Cosicché i vari Cingolani, Monti e Colao potranno starsene in città supertecnologiche, sterilizzate e protette da ogni pericolo. I signori che vogliono tre milioni e mezzo di studenti tecnici da rincoglionire davanti a un macchinario robotico per il resto della vita, progettano di vivere contemplando i loro “boschi verticali” coltivati in costosissimi e tecnologici appartamenti al trentaquattresimo piano di costosissimi e tecnologici palazzi progettati dall’ultima archistar. Le piante, ça va sans dire, le bagnerà la filippina. Insomma, il non plus ultra del moderno, la nuova frontiera della domotica selvaggia goduti da cyborg Crusoe, ma solo il venerdì, perché il sabato è dello spritz.

Per noi comuni mortali, invece, il mondo avrebbe tutt’altra faccia. Immaginate un parco giochi immerso nel verde. Ma non le giostre nella natura, magari con scivoli ad acqua: proprio la natura che entra nelle giostre, i rami contorti, le spine, il guano dei passeri sulla ruggine delle rotaie. E ora immaginate quale felicità potrebbero provare i vostri figli e nipotini su una ruota panoramica sbiadita e che non fa neanche un quarto di giro.

Non stiamo parlando di fantascienza. Da qualche decennio esiste già una città del genere. Una città progettata in origine come moderna, supermoderna, persino a portata di borghese medio, anzi di operaio imborghesito: un concentrato tecnologico per 50.000 abitanti. Ora, però, nei suoi parchi senza più recinzioni e lungo le strade senza più traffico traffico pascolano alci, caprioli, cervi, ma anche cinghiali, lontre, lepri, volpi, linci, lupi, (questi ultimi non pascolano, lo so, ma hanno funzione conservativa del verde, diciamo). E poi piccioni, rondini, gufi, cicogne e pesci. È perfino presente il cavallo di Przewalski, una specie equina in via di estinzione: fatto, quest’ultimo, che mi rende felice più di Greta quando butta di nascosto una bottiglia di plastica dalla barca a vela, perché, da buon cacciatore, amo gli animali (a parte i piccioni che mi fanno schifo) e sono affascinato dall’eleganza dei cavalli.

Questa città esiste e si chiama Pry’piat’. È un puntino sulla cartina geografica dell’Ucraina, poco lontano da Cernobyl. C’è voluto un disastro nucleare come quello del 1986 per farla diventare ciò che è ora: a mio modesto avviso, il modello perfetto delle città destinate alla moltitudine di reietti (che sono sempre troppi e vanno un po’ sfoltiti secondo chi pianifica il futuro). In poche parole, il paradigma del “rewilding” che verrà: e senza la necessità di qualche centrale che esplode, solo applicando le linee guida che i Signori del cambiamento ci illustrano da lungo tempo.

Insomma tutta questa Transizione ecologica di cui Cingolani sarebbe ministro, non è poi una gran novità, almeno dai tempi di Attila, perché la rivoluzione tecnologica è già stata fatta da quelli che non hanno studiato le Guerre Puniche, dato che ciò che conta è il progresso.

Pry’piat’ è l’infelice l’infelice monito di ciò che ci aspetta. È il paradigma urbano di come sarà il mondo secondo i Signori della Transizione se non fermeremo la religione tecnologica transumanista. Pochi prepotenti vivranno in metropoli supercontrollate e protette, forse perfino in atmosfera controllata. Per tutti gli altri un tremendo zoo di estensioni cosmiche dove giocarsi quotidianamente la sopravvivenza in puro stile “wild”.

POST SCRIPTUM I nostri antenati, reduci della battaglia di Canne, vollero essere schierati in prima fila a Zama e fecero un macello. Cartagine venne distrutta nel 146 a.C. cosparsa di sale e pochi anni più tardi Caio Gracco fondò nei pressi delle rovine una colonia romana chiamata Iunonia Cartago, che poi fu rimpolpata da Giulio Cesare con lo stanziamento dei suoi veterani nel 46 a.C.

Cartagine dunque rifiorì e divenne una delle più importanti e popolose città dell’impero e la principale dell’Africa romana. E questo è esattamente quello che faremo dopo che questi capoccioni ipertrofici dediti allo sviluppo tecnologico avranno avuto quanto gli spetta dalla saggezza di quei filosofi che tanto disprezzano e dal giudizio di quel Sommo Essere metempirico chiamato Dio, che tanto odiano. Chi non è d’accordo è desueto.

1 commento su “Rivoluzione Tecnologica, Transizione Ecologica & Altre Amenità”

  1. Grazie. Ottima visione del futuro che mi conferma in quello che dico da molto tempo. Purtroppo gli utili idioti in questo tempo di covidiozia hanno accelerato l avverarsi di un fosco futuro.
    ma noi non molliamo. Mauro

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