Settant’anni dopo. Oltre la retorica del 25 aprile  –  di Mario Bozzi Sentieri

di Mario Bozzi Sentieri

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zzzpsCi aspettavamo francamente qualcosa di più e di meglio che la “nostalgica” rievocazione del  Settantesimo anniversario del 25 aprile, vista alla Camera dei deputati e conclusasi con il “Bella ciao”, l’inno della lotta partigiana, cantato a squarciagola dalla Presidente Laura Boldrini.  La retorica è un veleno micidiale  ed è difficile uscirne immuni, quando non si hanno i “fondamentali” per confrontarsi con avvenimenti di portata storica.

Non solo gli anni trascorsi e le stesse contingenze politiche  avrebbero richiesto maggiore spirito critico (l’appello alla Costituzione e all’attuale sistema politico, “figli” della Resistenza, sono stati due autentici autogol). In un mondo scandito da twitter, dove è  difficile andare oltre le due righe “di approfondimento” (impagabile per profondità il “cinguettio” sul tema della Ministro Elena Boschi: “Grazie a chi allora lottò per il nostro futuro”) almeno dalle massime cariche dello Stato qualcosa di più e di meglio che uno stanco e scontato appello resistenziale, ci aspettavamo di ascoltarlo.

Luciano Violante, ex Pci, da Presidente della Camera, nel 1996, durante il suo discorso d’investitura, era arrivato a dire che bisognava sforzarsi di capire le ragioni per  cui tanti ragazzi e ragazze scelsero di arruolarsi nella Repubblica di Salò.

Nel 2002 Carlo Azeglio Ciampi, allora Presidente della Repubblica, pur sottolineando il  loro “errore” di campo,  aveva riconosciuto che i giovani della Rsi  erano stati animati da un sentimento di unità nazionale, “credendo di servire ugualmente l’onore della propria patria”.

Sia le parole  di Ciampi che quelle di Violante non erano solo espressioni di una volontà di  “pacificazione”, magari dettata da opportunità politica. Erano giudizi “di fatto”, sostenuti, più o meno consapevolmente, da una ricca letteratura in materia e da una storiografia, non certo di parte, che, a partire dagli Anni Novanta del ‘900,  aveva affrontato il tema, “sine ira et studio”, arrivando ad una serie di conclusioni tutt’altro che  banali ed in controtendenza rispetto alla vulgata resistenziale:  a prevalere, nel periodo 1943 – 1945, fu la grande “zona grigia” degli italiani alla finestra, in attesa della fine delle ostilità (Renzo De Felice, Rosso e Nero, Baldini & Castoldi, Milano 1995); comunismo e fascismo erano “ombre del passato” contro cui era ormai inutile scagliarsi (Augusto Del Noce, Fascismo e antifascismo, Leonardo, Milano 1995); la costruzione del mito resistenziale era finalizzata ad assolvere gli italiani  dalla “colpa” di essere stati fascisti e di essere scesi in guerra a fianco della Germania di Hitler (Romolo Gobbi, Il mito della Resistenza, Rizzoli, Milano 1992); il 25 aprile era stata un’“occasione mancata” , che ha lasciato irrisolti i “nodi” della nostra storia nazionale (Gianni Oliva, Le tre Italie del 1943 – Chi ha veramente combattuto la guerra civile, Mondadori, Milano 2004); la Resistenza aveva subito una censura di parte, finalizzata ad affermarne il suo uso politico (Ugo Finetti, La Resistenza cancellata, Edizioni Ares, Milano 2003); la guerra civile è una  categoria “cronica” della Storia italiana, dal 1919 agli Anni Novanta del ‘900 (Virgilio Ilari, Guerra civile, Ideazione Editrice, Roma 2001);  bisognava  superare finalmente la distinzione, a prescindere, tra “reprobi” (i fascisti) ed “eletti” (gli antifascisti) valutando i  comportamenti individuali, (Carlo Mazzantini, L’ultimo repubblichino, Marsilio, Venezia 2005); era tempo di arrivare ad una corretta ricostruzione dei fatti (Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti – Quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile, Sperling & Kupfer, Milano 2003).

Pur nella sintesi di queste righe non sono pochi – come si vede – gli argomenti che, testi alla mano, avrebbero potuto dare sostanza all’anniversario  del 25 aprile, celebrato in pompa magna alla Camera ed in via di celebrazione in ogni contrada d’Italia.  Al fondo la necessità di riaprire un confronto serio su uno dei periodi più drammatici della nostra Storia nazionale, scindendo finalmente questioni storico-interpretative e convenienze-separatezze politiche.

Come scrisse, nel trentesimo anniversario del 25 aprile, lo storico, d’estrazione liberale, Rosario Romeo  “ … un paese idealmente separato dal proprio passato, è un paese in crisi di identità e dunque potenzialmente disponibile, senza valori da cui trarre ispirazione e senza quel sentimento di fiducia in se stesso che nasce dalla coscienza di uno svolgimento coerente in cui il passato si pone come premessa e garanzia del futuro”.

Dopo tanti anni siamo ancora lì, con gli stessi problemi di “separatezza”, di identità e di fiducia.  E non saranno purtroppo  le “canzonette”, intonate dalla Presidente della Camera, a sanare quelle ferite, spirituali e fisiche,  ancora aperte nella nostra memoria nazionale.

11 commenti su “Settant’anni dopo. Oltre la retorica del 25 aprile  –  di Mario Bozzi Sentieri”

  1. oltre tutto “bella ciao” non è una canzone partigiana
    i partigiani cantavano “bandiera rossa” o la traduzione di un canto russo … urla il vento soffia la bufera scarpe rotte e pur bisogna andar ecc.
    nell’aula della camera si è parlato di ottantamila partigiani morti (due morti ogni partigiano propriamente detto)
    la boldrini ha officiato il rito dell fuga dalla realtà (e ha incensato l’altare con i fumi dell’umorismo oggettivo)
    la storia grazie alla mature subrette diventa avanspettacolo

  2. Articolo molto interessante e, credo, molto fondato.
    E molto idoneo il commento di Vassallo, il cui umorismo mi ha fatto sorridere,
    anche se un po’ amaramente..

  3. Ci sarebbe da scrivere per mille ore sui partigiani. Ci furono partigiani e partigiani, ci furono i massacratori di preti , di bambine , di famiglie intere . Assassini che fecero le loro vendette private . E ci furono altri partigiani che lottarono per quello che credevano fosse un bene per la loro patria. La nostra povera Patria che questi nostri ministri considerano loro esclusiva proprietà . L’ amore alla Patria morì tanti anni fa sull’ altare della sconfitta.

  4. Possiamo dirlo? Ebbene è da oltre cinquanta anni, e cioè da quando, un po’ piu’ adulta seguo le notizieTV, che intorno alla data del 25 aprile si scatenano queste manifestazioni osannanti il perodo della resistenza. Alla televisione non si può assistere a nessun programma, c.d. serio, senza incappare nell’apoteosi di un periodo che certamente i libri di Pansa avrebbero dovuto ridimensionare, e molto! Agli inni che ci fanno immancabilmente ascoltare possiamo rispondere con un altro ” Non ne possiamo piu'”?

    1. Tradizionalista

      Io sinceramente abolirei questa “festa” …
      Questa guerra persa, di italiani contro italiani continua a fomentare odio e dolore

  5. Sarebbe una bella cosa se il 25 aprile fosse dedicato alle decine di milioni di vittime della bestialità comunista nel Mondo. Stessa bestialità a cui avremmo assistito nel nostro paese se per disgrazia fosse arrivata l’armata rossa anzichè le forze anglo-americane. Qualcuno avvisi la Boldrini.

  6. A differenza di altri paesi dove il passare del tempo ha sopito vecchi rancori e divisioni, in Italia il 25 Aprile è un pretesto per glorificare la ‘species’ dei ‘partigiani’ ormai quasi del tutto estinta e chi più si cimenta in tale sorta di commemorazioni sono -non a caso- vecchi e nuovi epigoni del defunto PCI trasmigrati nell’ANPI che ne è -in tutto e per tutto- il degno erede.
    Se da un lato è comprensibile il desiderio dei vecchi e nuovi comunisti di ricordare il LORO 25 aprile 1945 non è accettabile però che ciò avvenga come se le azioni e le finalità dei partigiani comunisti fossero proprie dell’intero popolo italiano.
    Sarebbe ora che le celebrazioni ‘ecumeniche’ ed acritiche del 25 aprile lasciassero il posto ad un sereno e soprattutto onesto dibattito che non demonizzi alcuna delle parti allora in conflitto. Cantare Bella Ciao SOLO con i partigiani veri o presunti non solo è ridicolo ma offende le FFAA escluse dalla festa ‘privata’ tra la Boldrini e i ‘padroni di casa’ dell’ANPI.

  7. Quando si dice “essere tutti di un pezzo” è certo che non si può pensare alla boldrini , totalmente mummificata e incapace di aprir bocca per sussurrare almeno un amen o di farsi un piccolo segno di Croce nel duomo di Milano accanto a Grasso e a Mattarella e canterina fuori dalla sua pelle gioiosa e soddisfatta al canto di Bella ciao nell’aula che tutti dovrebbe rappresentarci, ma che in realtà non ci rappresenta essendo emblema di tornacontismo e di sfacciato menefreghismo nei confronti di chi agli esimi personaggi che la compongono ha dato modo ed agio di così allegramente frequentare.

  8. Restando confinati al tema partigiano, solo pensare alle vittime innocenti di Porzus sarebbe sufficiente per smontare il mito di certa “Resistenza”.
    Se poi apriamo lo scrigno e andiamo a spulciare sugli altri assassinii sommari compiuti dai fiancheggiatori della dittatura comunista ai danni di preti, suore, ausiliarie, repubblichini e persone comuni, non se ne esce più!
    Per il 25 aprile preferisco senza confronto la devozione a S. Marco.

  9. mAUrEzIO AqUIlOnE - mEdIOlAnUm

    Di quelli ch’eran rossi partigiani
    ancora si diffondono i veleni;
    di parte, Mattarella e La Boldrini
    non fanno che accentuare divisioni,
    con grande scadimento dei raduni.

    La Repubblica. Resistenza, Mattarella: “Non equiparare parti in lotta”. Boldrini ai partigiani: “Alla Camera siete padroni di casa”.

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