“Siamo tutti latinisti”. Léon Bertoletti ci parla del libro di Cesare Marchi

di Léon Bertoletti

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Un titolo vale un libro, a volte.

Come nel caso di “Siamo tutti latinisti”. La fortunata opera di Cesare Marchi uscì trent’anni fa, nel settembre 1986, per Rizzoli. E a rispolverarla adesso, appare davvero freschissima. Già, qui e ora, in questa stagione linguistica di frasi strattonate e avvitate, di dialogica crepuscolare, insomma di costrutti decostruiti a beneficio di sms, email, chat e social network con termini importati e lessici criptici, gerghi improbabili, abbreviazioni impensabili, troncamenti. Il libro veicola del resto, in un inconfondibile stile divulgativo gradevole e divertente, appunto la tesi che il latino, “presunta lingua morta”, estromesso dalla scuola e dalla Chiesa”, si sia preso “una spavalda vendetta penetrando nel linguaggio della burocrazia, della politica, dell’economia, dei tribunali, dello spettacolo, dello sport, grazie alla sua straordinaria capacità di condensare il massimo di pensiero nel minimo di parole”. Dote già eccezionale all’origine, per dire; ottima quando Marchi scriveva, decenni fa; figurarsi con questi chiari di luna digitali.
Oltretutto, “a fianco del latino inconsapevole, frammentario, disseminato nella conversazione quotidiana, c’è una sua penetrazione strisciante nelle sedi più impensate, dalla pubblicità ai fumetti”. Perfino in questa fine 2016 dove i media (vocabolo latino che sarebbe meglio non pronunciare all’inglese) s’interessano parecchio al referendum, dove Ligabue entusiasma tornando a intonare il successo Libera nos a malo e dove una grande casa automobilistica promuove il suo marchio invitando all’ascolto: sfruttandone, dunque, il senso latino.

Tutto come nel racconto di Marchi, quando sogna di andare a spasso con Cicerone nel mondo moderno. Cesare e Marco Tullio salgono sul tram e devono obliterare il biglietto. Oblitterare, latino puro. A casa, guardano il telegiornale. C’è la “una tantum” per i terremotati, il veto al consiglio di sicurezza Onu. Scoprono insieme anche il bonus-malus nei contratti, il curriculum, il giudice a latere e gli omissis.

Un elenco è presto fatto. Così “Siamo tutti latinisti” presenta in ordine alfabetico detti, proverbi, frasi utilizzate correntemente, nella quotidianità, arricchendole di traduzioni, spiegazioni, riferimenti, rimandi, citazioni colte. Oltre a parole che testimoniano la parentela stretta tra la lingua dei Cesari e dei Papi e quella che parliamo. “Moltissime locuzioni provengono dalla bimillenaria cultura cristiana, della quale siamo tutti linguisticamente tributari, credenti e no. Molte altre derivano dal diritto romano, solenni monumenti d’una civiltà giuridica che noi posteri ammiriamo non meno degli anfiteatri e degli acquedotti, fatti da architetti che avevano l’ambizione di costruire per l’eternità”.

Ovvio, questo non era e non è un volume da leggere come un romanzo, piuttosto un
manualetto da piluccare, un vademecum da consultare, un prontuario. “Questo non è un libro che insegna il latino, un libro che invita al latino: uno stuzzichino per l’aperitivo della mente” annota l’autore. “Se poi farà nascere in qualcuno il desiderio di studiare con metodo grammatica e sintassi della lingua di Cicerone, e diventare, da latinista occasionale e inconsapevole, latinista sistematico e documentato, non chiedo di meglio. Ma questo è un obiettivo remoto, e troppo ambizioso. Obiettivo immediato è quello di esplorare insieme i segreti e sorprendenti legami che ancora dopo tanti secoli uniscono il latino, lingua madre, all’italiano, lingua figlia”.

Il testo dimostra ancora una volta la grande capacità di Cesare Marchi, riconosciuta e spesso premiata (Bancarella, Selezione Estense, Campione, Dodici Apostoli, il Dattero d’oro), nel mescolare sapere e saper dire, nozioni complesse e semplicità. Nato nel 1922 a Villafranca di Verona e morto settantenne, laureato in Lettere a Padova, si era del resto impratichito in cattedra, come professore di scuole medie, prima di votarsi al mestiere e alla vocazione dei libri. Lo dimostrano tanti altri suoi scritti. Quelli dedicati a Boccaccio, L’Aretino, Giovanni Dalle Bande Nere, Dante; la corrispondenza con Montanelli; le opere più manualistiche come “Impariamo l’italiano” e appunto “Siamo tutti latinisti”; quelle, infine, a carattere storico, archivistico, sociale o di costume: “Grandi peccatori grandi cattedrali”, “Quando eravamo povera gente”, Non siamo più povera gente”, “Quando siamo a tavola”, “Quando l’Italia ci fa arrabbiare”.

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fonte: Messainlatino

9 commenti su ““Siamo tutti latinisti”. Léon Bertoletti ci parla del libro di Cesare Marchi”

  1. luciano pranzetti

    Li posseggo tutti, i libri di Marchi. Si legge con progressiva curiosità. Accanto al “Siamo tutti latinisti”, il lettore alla cerca di cose eleganti e belle nel “sermo latinus”, dovrebbe affiancare uno di simile tematica, scorrevole, attraente e assai dotto. Parlo del recente “VIVA IL LATINO – storie e bellezza di una LINGUA MORTA” del prof. Nicola Gardini . ed. Garzanti 2016. Lo consiglio come testo di nutriente lettura e, per il lettore di stagionata età, come piacevole reviviscenza dei passati studi.

  2. Cesaremaria Glori

    Vorrei essere ottimista come l’autore di questo scritto ma credo che il disastro culturale sia stato già compiuto. Tempo fa udii alla radio ( ero in auto) uno dei soliti intrattenitori sproloquianti citare il brano di un giornale in materia di politica. Giunto ad una citazione latina pronunciò all’inglese Sain dei. Dal contesto compresi che si trattava di sine die ma la comicità raggiunse l’acme quando l’intrattenitore si chiese che cosa potessero significare quelle due parole. Credo che fosse proprio questo che si voleva: Annichilire il latino per annichilire la nostra storia che si avviava ad essere trimillennaria ma che, forse, diverrà un ibrido sterile e infruttuoso.

  3. Ho provato grande piacere nel leggere le riflessioni di una persona colta capace di mettere in evidenza la ricchezza della nostra lingua infarcita della finezza della lingua Latina, e contemporaneamente ho provato grande amarezza constatare, come spesso mi capita, che comunemente il latino viene ignorato al punto tale che si ignora persino il fatto che il parlare quotidiano è infarcito di termini mutuati proprio da quella antica lingua. Ma la cosa che a me fa più male è il constatare che tanta gente cosiddetta colta, vedi ad esempio giornalisti e simili, pronunciare il latino credendolo inglese. Vedi “midia” per media, “plas” per plus, “stedium” per stadium e così via. Per me questa è ignoranza e masochismo culturale: si ignora la propria storia culturale e ci si fa succubi, schiavi di culture (inglese e americana) che hanno avuto origine dalla cultura greca e romana. Tutto ignorato. Ma che cosa hanno insegnato a questi a scuola?
    Mi sarei aspettato che qualche studioso avesse preso le difese del latino e dell’italiano. Ma questo non accade proprio. Che tristezza!

  4. luciano pranzetti

    Caro Cagi41: ho un archivio tracimante di lettere, segnalazioni, proteste inviate a giornali, tv, personaggi politici, scrittori, preti e cardinali, alla Crusca anche, con cui ho tentato, e tuttora tento, di riattribuire amore, decoro, dignità alla nostra lingua figlia del latino, ma inutilmente. Dilagano “stedium – midia – tiutor” così come dilaga il verbo “evacuare” che, derivato latino tardo medievale, di forma transitiva, significa “svuotare” e nello specifico più pertinente, “fare un clistere”. Orbene, mi sa dire che vorrebbero dire i TG quando, in forma passiva ,annunciano “Evacuate 100 persone?”. Lascio a lei il sospetto di operazione non troppo profumata.

    1. Grazie per le appropriate e divertenti osservazioni. Ogni tanto leggo un tale Aldo Mola, sul Giornale del Piemonte, in cui ultimamente si è speso contro ” la sindaca” ecc. e le altre proposte curiose della PRESIDENTA (?) della Camera dei Deputati. Faceva, il Mola, anche riferimento all’ Accademia della Crusca e alla sua ininfluenza in Italia rispetto ad esempio a quella che invece ha in Spagna la Real Academia de la lengua Española.

  5. Bellissima riflessione. Mi piace segnalare per chi fosse interessato anche il libro di Ivano Dionigi Il presente non basta-la lezione del latino. È una lettura molto piacevole e istruttiva.

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