Sono martiri “banali”. Nelle piazze e in rete nessuno si indigna  –  di Cristiano Gatti 

Suor Olga, suor Lucia e suor Bernardetta aiutavano i diseredati nonostante l’età. Ma per l’Italia civile i religiosi missionari devono mettere in conto il peggio. Non come le “eroine” laiche

di Cristiano Gatti 

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Sono solo suore. Buona parte d’Italia, buona parte di noi stessi, deraglia inevitabilmente verso questa inconfessabile indifferenza nell’apprendere i ciclici massacri dentro le missioni del terzo mondo.

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Suor Bernadetta Boggian, in una foto dal sito della Diocesi di Parma

In tanti ci gioca la forsennata pulsione laicista e luciferina, che porta a considerare con fastidio tutto quanto odori d’incenso, persino barbare esecuzioni.

In altri, anche nei cattolici, ci gioca invece una pigra assuefazione, come se fosse scritto nelle tavole della legge che prima o poi un prete o una suora possano finire sgozzati in qualche angolo remoto del mondo.

Le nostre reazioni sono comunque fiacche, svagate, annacquate. Niente di paragonabile al clamore e allo sdegno nazionale, con sequela di veglie notturne e marce della pace, quando le nostre giovani ragazze idealiste – e anche un po’ temerarie: si può dire senza che nessuno parli di sacrilegio? – vanno a ficcarsi in guai internazionali molto seri. Emotività a corrente alternata. Però dovremmo fare uno sforzo. Però dovremmo cercare un equilibrio. Che cosa hanno di meno tre anziane suore missionarie? Cosa manca, alle loro figure, per meritarsi la corale compassione e l’unanime ammirazione dell’Italia civile? Leggendo la loro storia, si scoprono immancabilmente risvolti autenticamente pop, come piace al movimentismo post-moderno dei nostri tempi, e ideali di altezza sublime. Queste tre donne provengono da famiglie contadine, della Brianza e del Veneto. A un certo punto hanno deciso di lasciare tutto per partire. «La mia vocazione è l’Africa», diceva sempre suor Olga. Vocazione: è questa la spinta che noi uomini di mondo, mondani e mondanizzati, non riusciamo proprio a comprendere. A tradurre nella nostra lingua. Sappiamo genericamente di un irresistibile richiamo che spinge alle decisioni più estreme e alle esistenze più generose. Ma noi sappiamo pure che si vive una volta sola e che non è concessa una rivincita: come possiamo capire giovani donne (e giovani uomini) che la buttano via tutta quanta per aiutare, servire, educare, nutrire, curare perfetti sconosciuti, tra l’altro neanche sempre così riconoscenti?

Almeno di fronte a questo mistero che non riusciamo a spiegare, figuriamoci a condividere, potremmo metterci sull’attenti e concedere il massimo del rispetto. Lo stesso che ci sgorga copioso per i casi delle Due Simone e delle loro consorelle ardimentose. Ma non è così. Non ci riesce. Quelle sono eccezionali, queste sono banali. Eppure queste tre suore più o meno ottantenni hanno vissuto cinquanta o sessant’anni tra gli ultimi. Non sono andate nella miseria e nella malattia, nelle umiliazioni e nel dolore, per uno stage o per una vacanza edificante. In tutto questo tempo non hanno postato su Facebook le loro foto coi negretti derelitti, non hanno twittato contro i biechi egoismi dell’Occidente evoluto. Sono semplicemente rimaste là, prima in Sudamerica e poi in Africa, perché questa è la «vocazione». Qualcosa di così forte e insondabile, che ci sono volute tornare persino da vecchissime, più forti e più tenaci dei loro pesanti malanni. Mentre altre culture e altri religiosi vogliono salvare il mondo sparando siluri e cannonate, loro hanno sparato per una vita intera solo proiettili di bene, ad altezza d’uomo. Hanno costruito scuole, insegnato la dignità, predicato la tolleranza, hanno dato tutto senza chiedere niente (noi, che ci troviamo a Cernobbio, potremmo chiederci ogni tanto come sarebbe questo mondo senza i missionari in giro a sporcarsi le mani).

Riconosciamolo: tre donne come queste meriterebbero di essere trattate da eroine italiane, se il nostro doppiopesismo solidale non ci spingesse a scomodare certi termini e certe enfasi solo per certe donne. Per queste tre, il solito calcolo del dare e dell’avere: da come le hanno ripagate, non ne è valsa molto la pena. E comunque sono tre suore, l’hanno messo in conto, prima o poi poteva capitare.

Grazie al Cielo – e stavolta non è un modo di dire – loro e quelle come loro hanno inseguito un particolare concetto di gloria, molto diversa dalla nostra vanagloria narcisa, limitata, patacca. Sono due lingue e due mondi separati: loro guardano in alto nel silenzio, l’Italia di oggi insegue altri modelli e mitizza altri eroi. Nessuna cerimonia solenne, nessun funerale di Stato, nessuna bandiera a mezz’asta. Non è il caso, sono solo tre povere martiri.

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fonte: Il Giornale

12 commenti su “Sono martiri “banali”. Nelle piazze e in rete nessuno si indigna  –  di Cristiano Gatti ”

  1. Condivido totalmente questa opinione !!! Voglio vedere quanti politici o religiosi italiani andranno al funerale di queste straordinarie suore,angeli in terra!!
    Ho la passione della cooperazione internazionale e mi occupo di sviluppo, sono da poco tornata da un paese africano dove seguo un progetto, le mie affermazioni sono da esperienze sul campo! Ho conosciuto tanti missionari in diversi paesi africani, loro si che sono degli eroi!!!!! Portano speranza, sviluppo, conforto , ideali di pace tra gli ultimi che spesso hanno risentimento verso chi continua a sfruttarli….bianchi ed occidentali compresi! Le suore poi sono delle mamme e nonne straordinarie amano i locali come figli… sono troppo addolorata per tanto orrore ed indifferenza!!!

  2. giorgio rapanelli

    Sono decenni che i missionari muoiono in Africa. Muoiono di malattie tropicali. Ricordo un Comboniano che aveva la malaria, il cuore a pezzi e la malattia del sonno, che diceva: “Signore, non ne bastava una sola per farmi morire?” Ricordo in Congo i missionari assassinati in modo orribile dai Simba. Se non che padre Pansa prese il mitragliatore, si unì ai mercenari, andando a liberare confratelli e civili bianchi e neri che dovevano essere assassinati, sparando ovviamente ai Simba.
    Vi meravigliate che la pubblica opinione rimane indifferente? L’hanno da decenni addormentata. I cattolici stessi preferiscono la rassegnazione all’azione di ribellarsi al buonismo. Ma cosa deve pensare un cattolico quando sente il Papa dire “chi sono io per giudicare?”; oppure “fermateli, ma non bombardateli”? Ha aperto la strada all’indifferenza apatica di chi non sa più che pesci pigliare… I musulmani vengono qui rispettati e riveriti, mentre nei loro paesi ci taglieggiano, quando non ci…

  3. Che vuoi che gli importi della nostra pompa mediatica e degli onori di stato… queste tre donne ora vedono il Dio che per tantissimi hanno visto nei piccoli d’Africa…
    Grazie tante, Sorelle !!!
    E ora pregate per noi quaggiù …

  4. Eppure la Chiesa tutta può e deve fare di più : condivido ogni singola parola e ringrazio l’Autore. Lode a Dio per queste Martiri che con la loro vita hanno seguito Gesù sino all’estremo Sacrificio. Intercedano dal Cielo per ciascuno di noi.

  5. Caro Signor Rapanelli, purtroppo i cattolici sono immersi nell’ ignavia più totale , siamo diventati dei vigliacchi e buonini fasulli. Si piange davanti alle fotografie e ai filmati dei massacri mangiando a tavola la nostra bella pastasciuttona, , e poi si gira il canale con un senso di schifo per la tragedia , quindi si guarda il grande fratello e porcherie simili, si guardano film che definirli sporchi è usare una buona parola e poi si va a messa cantando e ballando , e per continuare si fanno partite e concerti sul sangue dei martiri . Chi piangerà per la morte delle care Sorelle ?. Cinque minuti di piagnisteo in qualche chiesa e poi più nulla . Calerà come al solito il silenzio cattolico, e qualche buon sacerdote dirà: – le suore ora stanno meglio di noi , prendiamola a ridere per sdrammatizzare – Siamo o non siamo la religione della gioia . che caspita !

  6. Mi unisco al cordoglio dei lettori di “Riscossa Cristiana” facendo notare che in questa circostanza si palesa la debolezza della Chiesa, in quanto non si è fatta sentire la riprovazione ferma e il santo sdegno per il crimine perpetrato ai danni delle suore missionarie, ma solo flebili messaggi buonisti che francamenti mi sono parsi non tenere conto della verità. Mi spingerei a dire che il modo attuale di fare opera missionaria non mi convince in quanto non si evangelizza, non si converte, non si insegna (come prescrive Gesù quando dice: “Euntes docete”, cioè “Andate e insegnate”) bensì si aiuta un po’ troppo laicamente. So che questa osservazione può sembrare ingenerosa di fronte alla uccisione commessa, ma devo aggiungere che i missionari avevano il loro senso quando c’era il colonialismo e potevano essere affiancati dai militari e dai civil servant per l’educazione degli indigeni.

  7. ciò che mi ha colpito delle tre suore assassinate, oltre il racapriccio del fatto, anche le loro foto riportate, in borghese, prive dell’abito monacale, forse con l’intento di banalizzarle la morte?

  8. Mi unisco a cordoglio e preghiera. Faccio però notare sommessamente che erano aduse a vivere e lavorare senza l’abito. E che le consorelle intervistate in Patria hanno subito detto come prima cosa che era stata una banale rapina, come potevano succederne anche in Italia, e che quindi non si trattava né di martirio, né di odio alla fede. Il buonismo contagia per prime le vittime.

  9. Condivido in totale quanto affermato il 10 settembre dalla Sig.ra Marina: cordoglio per l’offerta totale fatta dalle suore trucidate: ora staranno godendo la visione beatifica di Dio. Tuttavia, mi sembra che da cinquanta anni circa a questa parte, le missioni cattoliche siano diventate, non senza l’influenza de “lo spirito del concilio”, della “Nostra Aetate”, cui si aggiunge, il cattivo accoglimento che ebbe la Dichiarazione “Dominus Jesus”, insomma, per l’indifferentismo religioso montante, sono diventate, dicevo, delle ONG. Spero di sbagliarmi.
    Signore da chi andremo Tu solo hi parole di vita eterna! Io sono la Via, la Verità, la Vita!

  10. Padre Rwasa(Burundi)

    Queste nostre bravissime suore anzi sante suore continuerano a intercedere per questo paese che ha tanto sofferto e che soffre ancora. Erano delle nonni per quella gente povera di Kamenge. Pertanto,come cristiani,come dobbiamo considerare quello assassino? Lui esprime davvero la identità di tutti i burundesi?Nooo!!Oh mio Dio!!!Corragio cari amici italiani, non scorragiarvi ,quello paese ha bisogno di voi e sopratutto in questo periodo di preparazione delle elezione dell’anno2015!Il sangue di questi sante martire ottenga per il Burundi,la vera pace che si radica nella vera riconcilliazione. Rimaniamo uniti nella preghiera. Padre Rwasa

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