Sotto le bombe di Gaza cova la cenere del pensiero occidentale 

Non sappiamo ancora se con tutti i Filistei morrà anche Sansone. È ancora presto per dirlo, anche se sembra diventato più difficile scrivere la storia come il copione un film di cui viene curato a piacimento il montaggio. Se la tecnica lavora alla fabbrica del consenso, lavora anche per il disvelamento dei suoi trucchi, e alla fine anche il discredito può diventare la ruggine che divora il carrarmato. 

Frattanto però, quello che si polverizza miseramente a Gaza, insieme a uomini e cose, è il guscio vuoto delle idee con le quali un’epoca, di autoproclamata civilizzazione, ha organizzato il nulla senza speranza in cui si dibatte. Infatti, come pesci in apnea, i cervelli del pensoso acquario occidentale si sforzano di classificare, nominare, soppesare, contare le particelle del quadro, nello sforzo titanico di far accordare i propri “valori” nominali con quelli reali esibiti dai fratelli di omogenea fede democratica. 

Si parla tranquillamente di vendetta come fosse uno scontato principio giuridico, e come se il diritto non fosse stato escogitato proprio quale argine capace di disinnescare quella primitiva carica esplosiva che comunque ebbe una prima rude composizione nell’occhio per occhio dente per dente, tentativo primordiale di composizione stragiudiziale. 

Si parla anche di reazione obbligata perché senza alternative, involuto tentativo di sottrarsi allo sforzo di dimostrare una diversa statura politica; si parla persino di male minore, senza specificare per chi, perché e per che cosa; si prospetta come moralmente e politicamente cogente un fine che giustifica i mezzi dove i mezzi sono una ecatombe di inermi che propizia la cattura del reprobo, dove la assurdità materiale oltre quella morale mette a nudo una lucida follia omicida che persegue ben altro scopo, perché se perseguisse quello dichiarato sarebbe soltanto sgangherata demenza. 

Tante altre cose insensate vengono ruminate nel villaggio globale per non guardare in faccia la realtà dei fatti e rischiare di distruggere le idee porcellanate sistemate nella credenza di famiglia. Per esempio, qualche compunto democratico di lungo corso potrebbe accorgersi che nel libro contabile della vendetta israeliana il rapporto era qualche giorno fa di dieci a uno, quello stesso scelto, e peraltro anche preannunciato con teutonica correttezza, dal signor Kappler per organizzare la mattanza delle Fosse Ardeatine. Una mattanza il cui ricordo ha alimentato obbligatoriamente da ottanta anni a questa parte l’epica della nostra ritrovata fede democratica.

Insomma, sotto le bombe di Gaza si sta consumando tutto lo scollamento di idee e di parole vuote di pensiero, perché disancorate da ogni esigenza veritativa e dalla realtà che le mette alla prova. I fatti scoprono l’inconsistenza delle idee che esse si vantavano di poter governare, presumendosi buone per definizione in virtù della propria altolocata ascendenza democratica. 

Il risultato è lo straniamento surreale in cui si dibatte la cultura e la opinione pubblica “occidentale”, che continua a blaterare le proprie giaculatorie autoincensatorie, facendo finta di ignorare il trionfo indiscutibile della eterna legge di Protagora e la sua sperimentazione sul campo. 

Infatti, non si vuole prendere atto di questo trionfo perché esso riflette in modo impietoso proprio il fallimento dei sistemi di idee fondate sul nulla, ovvero su precarie contingenze culturali, e che da un paio di secoli a questa parte hanno preteso di fondare di volta in volta addirittura un mondo nuovo.

La storia immonda che si consuma a Gaza riflette la immagine desolante di un degrado morale, intellettuale e culturale che è figlio di questa presunzione. Scopre tutta la paccottiglia di una civiltà agonizzante e vanagloriosa, e per questo capace di ogni fellonia e di ogni perversione, perché alle prese con il processo degenerativo proprio di quelle idee vantate quale patrimonio di valore indiscusso. Mentre è proprio col fallimento di quelle idee con il quale da troppo tempo abbiamo a che fare.

Dal naufragio della rivoluzione francese approdata dopo i propri eccidi alle imperiali e sanguinarie follie napoleoniche, al fallimento e alle tragedie di quella bolscevica, dalle derive dello scientismo o del positivismo giuridico o filosofico. Dal liberalismo capitalistico diventato sistema di potere politico. Dalla emancipazione artistica alla mortificazione, in senso letterale, di ogni espressione ed elevazione estetica verso l’abbrutimento collettivo.

Tutti questi sistemi di pensiero che avrebbero dovuto segnare il progresso irreversibile (un concetto, quello di progresso, non per nulla sconosciuto al pensiero antico) dell’umanità, siedono sulle proprie macerie, mentre alcuni di essi continuano ad ostentare ancora con ostinata sicumera le proprie bandiere, anche laddove tutte le loro proposizioni vengono sconfessate dalle azioni. La politica interna e internazionale offre una galleria completa e anche sfacciata di questo fallimento mistificatorio.

Il perché di questo fallimento era stato preannunciato da pensatori e papi illuminati in senso proprio, da tutti quelli che avevano visto lo scollamento dai fondamenti razionali dell’uomo, dall’abbandono di quella legge naturale che risponde alla esigenza di vera e costante umanizzazione.

Quando già tutte le conseguenze delle idee progressive disancorate da essa si squadernavano sotto i suoi occhi, scriveva Tolstoj all’inizio del ‘900: «a fronte di tutte le leggi e le dottrine poste dall’uomo, c’è una legge morale e religiosa da tutti riconosciuta, per cui ogni uomo non deve fare agli altri ciò che non desidera sia fatto a sé. Eppure, è fin dai tempi più remoti che si compie, e adesso si ritiene indispensabile compiere, la violazione di questa legge morale e religiosa».

Ora, lo svuotamento delle idee che hanno ubriacato soprattutto l’occidente è il frutto maturo di quella violazione. A forza di volere costruire ordini non fondati sulla legge morale naturale e di elaborare sistemi di idee capaci di sorreggere quegli ordini, inevitabilmente si arriva al loro sovvertimento sul piano pratico e allo svuotamento delle parole e delle idee correlative sulle quali quegli ordini hanno preteso di imporsi. Infatti osservava ancora Tolstoj, a proposito delle leggi economiche con cui si veniva a pensare di organizzare la società, «tutte le leggi inventate dagli uomini e le varie forme migliori di società che vengono proposte sulla base di queste leggi, sono cosi poco previste e definite, come lo è la situazione futura di ogni persona viva, e per questo non solo non contribuiscono al bene della gente, ma sono una delle cause principali di quella dissoluzione delle società umane che affligge attualmente la gente del nostro tempo». 

Cosi l’occidente che, dopo tanto pacifismo, inclusione, multiculturalismo, dialogo interreligioso, autodeterminazione dei popoli, libertà e uguaglianza, giustizia e fraternità, non belligeranza, diritti, rispetto, disarmo e appelli per la fame nel mondo, ecologia e progresso, ecc. ecc., abbraccia senza battere ciglio l’idea che l’unica legge vigente debba essere quella imposta dal più forte, guarda con filosofico distacco i sacrifici umani di Gaza dal ponte delle portaerei statunitensi in crociera da quelle parti e osserva, in fondo ammirato, che la tecnica fa sempre miracoli, senza sforzo personale. Anche se deve ammettere che a Londra si possono uccidere i bambini uno alla volta, in modo meno appariscente, più pulito e in ambiente sterile. In fondo è nei particolari che la civiltà dà il meglio di sé.

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