Sul dialogo – di Carla d’Agostino Ungaretti

 “Veni Creator Spiritus / Mentes tuorum visita / Imple superna Gratia / Quae Tu creasti pectora”.

Nel XIX secolo le aspirazioni più diffuse tra i popoli dell’Occidente – che avevano sperimentato le conseguenze sociali e politiche dell’Illuminismo  e della Rivoluzione Francese – erano improntate ai princìpi di “Liberté, Egalité, Fraternité”, ritenute conquiste irrinunciabili e universali diritti dell’uomo. Nel XX secolo si è aggiunta un’altra cosiddetta “aspirazione”, che io chiamerei meglio “utopia” o ideologia: quella del “dialogo”.

 

 

Il “dialogo” è dilagato nella seconda metà del secolo passato ed ha allungato i suoi strascichi nel XXI secolo, invadendo ogni ambito della vita umana: in filosofia, in politica, nel sociale, nella cultura, nella scuola, nell’arte e perfino nella Fede religiosa. Nell’attuale clima di globalizzazione mondiale, in cui gli interessi politici ed economici possono venire a conflitto anche tra Paesi lontanissimi tra di loro, come per esempio si è verificato recentemente tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord  – potrebbe essere assolutamente necessario sforzarsi di dialogare e cercare di incontrarsi a metà strada onde evitare conflitti dalle conseguenze inimmaginabili. Ma tutto questo può avvenire anche nella sfera più profonda e intangibile dello spirito umano, vale a dire per quanto riguarda la fede religiosa dei diversi popoli e in particolare per il messaggio cristiano?

Quest’ultimo interrogativo è quello che maggiormente dà da pensare a me, cattolica “bambina” cresciuta ed educata nel clima spirituale molto più sereno, molto più chiaro e privo di confusione che ha preceduto il Concilio Vaticano II. Infatti io sento affermare continuamente che il “Dialogo”, elemento fondamentale e caratteristico della nostra umanità, è legato al riconoscimento del valore di ogni persona, perché essa è degna di essere accolta, ascoltata e chiamata alla relazione con l’altro; perciò il “Dialogo” sarebbe necessario ormai anche nel rapporto tra le religioni. Ma allora io torno a domandarmi: è possibile tutto ciò, almeno nei termini semplicistici nei quali il problema viene posto oggi sul tappeto, non solo a livello divulgativo, ma anche teologico, pastorale, omiletico?

Questo argomento è stato ampiamente trattato da Romano Amerio, nel Capitolo XVI del saggio “Iota Unum” che io reputo straordinariamente chiarificatore del problema. Oggi si parla di dialogo, come dicevo poc’anzi, applicandolo anche alla teologia, alla pedagogia, alla catechesi, alla storia della salvezza, alla famiglia, al sacerdozio, ai Sacramenti, alla Redenzione. Un fenomeno analogo si nota nei testi di studio delle varie facoltà universitarie che ai miei tempi erano intitolati “Istituzioni”, “Manuale”, “Trattato” delle diverse scienze; oggi si chiamano  “Problemi  (per esempio) di semeiotica diagnostica” o di “meccanica razionale” e  perfino “Problemi di filosofia” e “di teologia”, e via discorrendo, perché le precedenti denominazioni sono ritenute dogmatiche, apodittiche e quindi devono essere escluse dal “dialogo”.

Si sente dire comunemente che il dialogo sia l’unica soluzione idonea a evitare i conflitti di ordine religioso. Si osserva anche che la nuova disponibilità al dialogo, propria del nostro tempo, ha indotto i cristiani a leggere con occhi diversi anche la Sacra Scrittura, scoprendo così che essa è molto più dialogante nei confronti di altre tradizioni religiose di quanto non sembrasse in passato. Vengono spesso citati, come esempio di rispetto per i “diversamente credenti”, il re di Salem Melchisedek, sacerdote del Dio altissimo, che benedice Abramo (Gen 14, 18 – 20), il libro di Amos, il Deutero Isaia e l’accettazione dei matrimoni misti, come quello di Rut, la donna moabita che, per la sua devozione verso il marito e la sua pietà verso la suocera, meritò di entrare a far parte degli antenati del Cristo. Ma, ancora una volta io mi domando: sono, questi, esempi di dialogo nel senso in cui lo si intende oggi o piuttosto semplici esempi di affabilità caratteriale, di benevolenza verso il prossimo, di bontà d’animo, di apertura mentale, di rifiuto dei pregiudizi, doti rintracciabili in tanti esseri umani di ogni tempo e di ogni paese a prescindere dalla fede che essi professano?

Fa notare Romano Amerio che nella Scrittura il termine “dialogus” non si trova mai e l’equivalente latino “colloquium” è usato solo nel senso di incontro di capi e in quello di conversazione, mai nel significato moderno di incontro di persone. Nei Vangeli Gesù dà mandato agli apostoli di “evangelizzare”, ossia di “insegnare”, di “annunciare”, non di discutere, disputare o “dialogare” con i gentili. Negli Atti degli Apostoli Pietro e Paolo disputano nelle sinagoghe, ma si tratta di un “dialogo di confutazione”dell’errore altrui che cessa nel momento in cui l’interlocutore, per ostinazione o incapacità, si dimostra refrattario alla “metànoia”, cioè alla conversione cristiana che comporta un radicale cambiamento di vita.

Entrato poi nella sinagoga, (Paolo) vi poté parlare liberamente per tre mesi, discutendo e cercando di persuadere gli ascoltatori circa il regno di Dio. Ma poiché alcuni si ostinavano e si rifiutavano di credere dicendo male in pubblico di questa nuova dottrina, si staccò da loro separando i discepoli e continuò a discutere ogni giorno nella scuola di un certo Tiranno” (At 19, 8 – 9). Quando Gesù ebbe concluso il “Discorso della montagna”, “ le folle rimasero stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi” (Mt 7, 28 – 29) che invece usavano uno stile dialogico. Il significato di tutto ciò è che il messaggio che Gesù diffondeva e che la Chiesa tramanda non è parola dell’uomo, ma è la Parola di Dio, che può essere accettata o rifiutata dall’uomo nella sua piena libertà (che è un altro dono di Dio), ma non discussa.

Il dialogo nella filosofia del nostro tempo – caratterizzata dal relativismo – si basa sulla “perpetua problematicità del soggetto cristiano”, cioè sulla negazione che possa esistere un principio, una credenza, una certezza validi in ogni tempo e in ogni luogo, ritenendo che ogni uomo, perché razionale, sia capace di dialogare con tutti, dicendo la sua su ogni argomento, anche su ciò di cui non sa nulla. Mi addolora constatare che si vuole estendere un malinteso senso di democrazia anche all’ascolto della Parola di Dio, come se i cristiani fossero liberi di scegliere quale insegnamento accettare e quale rifiutare.

Nelle Scritture il metodo per diffondere la Parola di Dio è l’insegnamento, non il dialogo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19 – 20) dice Gesù agli undici discepoli dopo la Resurrezione, ed essi accolgono la Sua Parola adorandolo e prostrandosi davanti a Lui come davanti a Dio. Questo breve passo con il quale Matteo conclude il suo Vangelo è importantissimo perché i discepoli hanno visto, sentito, toccato, abbracciato il Maestro, il Signore risorto che parla loro con la maestà propria di Dio: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”.

Nella conclusione del Vangelo secondo Marco le parole di Gesù appaiono ancora più icastiche e “taglienti come una spada”: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16, 16 – 17).

Dobbiamo forse pensare, in nome di quel “dialogo”, che Gesù si sbagliava? Il dialogo cattolico ha per fine la persuasione e, a un livello più elevato, la conversione dell’interlocutore; invece sembra che la Chiesa dialogante non creda più di possedere la Verità, ma la vada cercando altrove. Io credo che il “dialogo” tra i diversi popoli che vivono l’uno accanto all’altro non possa avvenire sul terreno della Fede, ma solo nella vita pratica  quotidiana, nel rispetto reciproco dei propri costumi e delle proprie tradizioni, come del resto è avvenuto per secoli in tanti paesi del medio oriente in cui abbondavano le comunità cristiane ed erano rispettate dalla maggioranza musulmana, prima che la globalizzazione sconvolgesse quella pacifica convivenza e provocasse tanta persecuzione anticristiana. Io credo che anche nell’ambito dei tre Monoteismi occidentali sia molto difficile, se non impossibile, pregare  insieme e dialogare in materia di Fede, perché tutto ciò che noi cristiani chiediamo a Dio con la preghiera la chiediamo per i meriti di Nostro Signore Gesù Cristo, mentre l’Ebraismo non crede che Gesù di Nazaret  sia il Messia, il Figlio di Dio, il Verbo incarnato e per i Musulmani si tratta addirittura di una bestemmia perché è inconcepibile che Dio, l’Altro, il Totalmente Trascendente possa avere figli come un qualunque uomo mortale.

Oggi il malinteso dialogo interreligioso ha prodotto la convinzione dominante che Dio, o Allah, o Budda, o Lao Tze siano equivalenti e per salvarsi “basta credere in Qualcuno”. Perciò viene scoraggiato il proselitismo che, dal punto di vista cristiano, non è certo da intendersi in senso coercitivo come lo intende l’Islamismo, ma come “annuncio” della Buona Notizia che Dio si è incarnato, è morto per riscattarci ed è risorto alla vita gloriosa riservata anche a tutti coloro che (come ha detto Gesù) avranno ”creduto”. Noi abbiamo il dovere di “annunciare”: il resto è solo competenza e grazia di Dio.

Però oggi le menti che si ritengono più evolute e all’avanguardia nel pensiero filosofico ritengono che l’identità cattolica sia bigotta, passatista, dogmatica, discriminatoria. Il teologo progressista Hans Kung spera si arrivi a elaborare  un’etica mondiale condivisa da tutte le religioni da proporre alle giovani generazioni in tutto il mondo. Essa sottolinea la presenza salvifica di Dio in tutta la storia e invita i credenti delle diverse religioni ad approfondire la propria esperienza di fede senza la necessità di convertirsi al Cristianesimo perché “Dio ha molti nomi”. Il Cristo è il Signore, ma il Signore non è solo Gesù. Per ottenere una religione universale che piaccia a tutti, dovremmo forse noi cristiani rinunciare ad alcuni capisaldi della nostra Fede, come i dogmi cristologici e mariani? Sono queste le intangibili Verità cristiane che gli orientali, gli Ebrei  e i Musulmani non riescono ad accettare, e allora che ne sarà del Vangelo? Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la Fede sulla terra?

E’ evidente che ci si presenta uno scenario dominato dal relativismo e dal  sincretismo: quanto di più lontano ci sia dal Vangelo. Non ci resta che invocare lo Spirito Creatore  perché  ”visiti le menti dei Suoi e riempia di Grazia celeste i cuori che Lui stesso ha creato”.                           

5 commenti su “Sul dialogo – di Carla d’Agostino Ungaretti”

  1. Giustamente nell’articolo si è scritto “Dialogo”, con l’iniziale maiuscola. E’ esso stesso una specie di nuova religione, nella quale tuttavia la politica prevale su tutto, religione compresa. Ed è impensabile, questo “Dialogo”, al di fuori di un contesto di relativismo integrale.

  2. Il dialogo è una truffa, inventata dalla malizia del Nemico per mettere su uno stesso piano la Verità e la menzogna.

  3. Carissima dottoressa, è molto gratificante parlare di dialogo, salvo poi verificare se e in quale misura esso faccia parte del nostro vissuto. E con “nostro” intendo riferirmi ai Cattolici. E’ cronaca quotidiana oramai l’attacco sferrato da molti settori della variegata galassia dei neo – teologi contro tutto quanto abbia ad oggetto dogmi, Dottrina, Catechismo e diciamolo pure, regole in genere. Il dialogo diventa dunque una sorta di paravento del quale ci si serve per mascherare la volontà di mettere in discussione le verità di Fede, e di lanciare strali contro tutti coloro che non vogliono tradire gli insegnamenti ricevuti in famiglia e dalla voce viva e autorevole della Chiesa. Ne consegue che il dialogo con i Credenti di altre fedi diventi più comodo e praticabile; questi ultimi, che avrebbero il diritto di ricevere la testimonianza coerente della Verità Rivelata, incontrano una umanità smarrita e fragile che rischia di perdere “la parte migliore” della vita. Gesù non si stanca di ricordarlo a noi tutti attraverso l’apostolato fedele di molti Consacrati.

    1. Carla D'Agostino Ungaretti

      Gentile Signora Francesca, siamo perfettamente d’accordo. La smania del “Dialogo” ad ogni costo ha contagiato tutti e soprattutto (quello che è peggio) i preti e le persone consacrate, le quali si guardano bene dal gridare al “mondo” che l’unica speranza per la nostra salvezza è Cristo o meglio Lui è la Via privilegiata e più sicura. Invece oggi molte parrocchie concedono le loro sale ai musulmani per la loro preghiera o per le loro riunioni (“Anche loro hanno diritto di pregare …!”) in nome del “Dialogo” e così i cristiani di fede debole o confusa credono che convertirsi all’islamismo o al buddismo sia come cambiarsi un vestito. Ho detto molte volte che il mio parroco mi ha in antipatia perché sa come la penso in proposito: questa è un altra conseguenza del “Dialogo” interreligioso. Grazie per avermi letto.

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