TRENTA RIGHE FUORI MODA – rubrica settimanale di Alessandro Gnocchi

Accogliere i migranti per sfrattare Nostro Signore

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In un giornale, “trenta righe”, sono come un sigaro toscano e una medaglia di cavaliere: non si negano a nessuno. Sono perfette per i primi balbettii di un praticante, per i funambolismi del vecchio cronista, per l’elzeviro del professore un po’ dandy e per l’editoriale del direttore. Dunque bastano anche a noi per dare un taglio veloce ed esaustivo a questa rubrica che commenta quanto accade dentro e fuori la Chiesa. Ma per favore, anche se la forma non è più quella della risposta alle vostre lettere, continuate a scrivere. Gli spunti migliori vengono sempre da voi.

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Molti lettori chiedono da tempo perché Sua Laicità Omissis I si occupi con frequenza e modalità ossessive compulsive dei cosiddetti “migranti” e dell’obbligo di accoglienza da parte dei cristiani. In effetti, questa è la cifra fondamentale dell’attuale pontificato (o episcopato romano, come dice il titolare stesso) e lo prova il viaggio di Bergoglio a Lampedusa del luglio 2013. Quell’evento sanciva, dopo decenni di gestazione, la nascita visibile della neochiesa, con tanto di neofede, di neomorale e di neoliturgia. Il momento simbolico e fondativo non fu il blaterare di migrazioni e migranti, ma la celebrazione della neomessa su una barca camuffata da altare: è proprio quel neoaltare il simbolo che riassume, contiene e trasmette al neopopolo-di-Dio la neosalvezza.

Detto questo, veniamo al 2017. Dal 6 al 9 settembre, in quel di Bose, si è tenuto un convegno di studi sull’ortodossia (presente il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, grande amico e sodale di Omissis I e, forse, più Omissis di lui) intitolato “Il dono dell’ospitalità”. La lettera di saluto inviata per l’occasione da Omissis (quello di Roma) a Fratel Enzo Bianchi si conclude così: “Vi auguro che tale chiamata sia ravvivata dall’ascolto umile e sincero e dalle riflessioni di questi giorni, perché crescano sempre più sentimenti fraterni e maturi un’autentica ‘ospitalità del cuore’, così che, mentre peregriniamo insieme verso il Regno, siamo sospinti a intraprendere passi più coraggiosi e concreti verso la piena comunione”.

Nel corso del convegno, si è parlato di ospitalità intesa come sacramento. Si è spiegato che da una “ecclesiologia eucaristica”, che continua dividere, si deve passare a una “ecclesiologia battesimale”, che invece è in grado di includere.

Chi ha un minimo di pratica del linguaggio omissisiano troverà nelle relazioni di questo convegno tutti i temi cari al poeta, come si diceva al liceo. Ma bisogna fare ancora un passo e arrivare alla recezione neocattolica di tale argomento. Si trova nell’articolo “L’ecumenismo dell’ospitalità”, pubblicato il 13 settembre su “Settimana News” da don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo della Cei (i maiuscoli non sono miei). Il passaggio chiave del testo è il seguente: “Una Chiesa che pensi se stessa come fondata sul battesimo, su quel sacramento che è visto da tutti come porta di ingresso nella comunità dei salvati, potrebbe aiutare la riflessione a superare l’impasse di un’eucaristia che continua a dividere, anziché a raccogliere; e, in tal modo, potrebbe aiutare i pastori e i fedeli a comprendere come ciascuno riceve ospitalità dal Risorto, che si fa cibo e bevanda per il cammino della vita e che, proprio per questo, diventa il motivo di un’ospitalità da offrire e da condividere”.

Proprio così: l’Eucaristia, cioè Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo (i maiuscoli sono miei), è una scandalosa “impasse che continua a dividere”. Perché? Perché non permette di far sedere tutti alla stessa tavola in quanto il menu non è gradito: vuoi mettere le lasagnette al ragù di manzo offerte agli ai gentili ospiti in San Petronio?

Ecco a che cosa mira l’interesse per i “migranti” e le “migrazioni”: a porre le premesse teologiche per togliere di mezzo Nostro Signore. Che nelle neochiesa è davvero di troppo. E, almeno su questo, siamo d’accordo tutti.

Alessandro Gnocchi

Sia lodato Gesù Cristo

 

19 commenti su “TRENTA RIGHE FUORI MODA – rubrica settimanale di Alessandro Gnocchi”

    1. Le stesse pappardelle che ho dovuto ascoltare anch’io. Non se ne può più. Tutti contro Luca. Evidentemente sarà partito un ordine dall’alto. Anche il Magnificat sarebbe un artificio dell’Evangelista.
      Non se ne può più!

    2. Caro Catholicus, ho letto il suo bell’articolo su Una Vox ed ho avuto il sospetto che l’importante santuario mariano dove lei ha ascoltato la predica del vescovo agli sposi sia lo stesso che a volte per motivi di vicinanza frequento io. Beh, le dico, e con grande dolore perché dove si venera la Madonna, lì è il mio cuore, che in quel luogo bazzicano e per così dire lavorano alcuni preti poco raccomandabili. Lo dico per tristi esperienze personali che mi hanno fatto davvero male. Ora che persino il vescovo vada sfarfallando è ancor più grave, ma forse tutto questo è una prova a cui siamo sottoposti per accrescere la nostra fede. Non perdiamoci d’animo e anzi, preghiamo per costoro.

  1. Ridiamo per non piangere. Un solo appunto dott. Gnocchi: per favore non metta più in finale dell’articolo una foto di quel tizio! Stava per tornarmi su il pranzo a me che sono grande e vaccinato; non oso pensare alla reazione di un bambino ad un simile orrore.

  2. E infatti ora si odia l’Eucaristia a tal punto che la si vuole concedere a cani e porci, anzi si è già iniziato e MOLTO prima di Amoris Sporcizia.
    Iniziò Paolo VI, concedendo una SACRILEGA Comunione ad una protestante che non voleva convertirsi al cattolicesimo e che non si era mai confessata in vita sua (oltre ad autorizzare le conferenze episcopali a concederla (caso per caso) anche ai massoni impenitenti): quindi, seguendo il “ragionamento” di Paolo VI ed applicando la coerenza e la logica, perché negare l’Eucaristia ai cattolici che, indipendentemente dal numero e dal tipo di peccati commessi, restano impenitenti e RIFIUTANO di confessarsi? Se ricevere la Comunione in stato di grazia non è necessario per un protestante perché dovrebbe esserlo per un cattolico?
    Queste semplicissime considerazioni sembrano però essere state formulate in modo INVERSO e ILLOGICO dalla ‘gerarchia’ cattolica, che invece di biasimare le sacrileghe concessioni di Paolo VI, fanno a gara per estenderle ai non cattolici e ai cattolici in peccato mortale e impenitenti (sodomiti, adulteri, ecc.).

  3. Sono almeno 2 le prescrizioni cattoliche violate dalla neochiesa o pseudochiesa circa l’accoglienza degli stranieri. Primo: l’obbligo di preservare i fedeli da islamici, pagani ed eretici. Secondo: il rispetto del diritto della nazione – che ha pure il proprio angelo custode – di possedere integra e inviolata la propria eredità spirituale e materiale, così come qualsiasi persona al mondo.

  4. Franco el Guanche

    Non conoscevo sul Bartolomeo costantinopolense gli aspeti negativi che Lei accenna. Per punire la pseudo chiesa cattolica e il “governo ladro”, memore della stima e rispettosa amicizia avuta anni fa con il vecchio archimandrita greco in Milano Timoteo Moscopulos e scartando a priori il mucchio di ciarlatani protestanti, nella scelta del 8×1000 ho optato per la Chiesa ortodossa.
    Ho sbagliato comunque?

    1. Sì, sarebbe interessante sapere per quali motivi il Patriarca Bartolomeo possa essere definito “sodale” di Omissis. In linea generale, se vale il detto “lex orandi, lex credendi” e se è vero, come è vero, che il concetto di liturgia come inteso dai protestanti è agli antipodi di quello inteso dagli ortodossi, dovremmo concludere che l’avvicinamento di Bergoglio ai protestanti lo allontana dagli ortodossi, piuttosto che avvicinarlo ad essi…
      Quindi un effettivo sodalizio Bergoglio-Bartolomeo mi pare piuttosto problematico…

  5. Il Battesimo è sì porta d’ingresso, ma di una casa dove il fatto determinante è la presenza reale e perenne del suo Padrone. Se togliamo questa Presenza la casa è vuota e senza significato, né tanto meno si può dire che Essa Presenza crei divisione, quando in realtà è proprio nel Cuore di quel Padrone che consiste e si trova la perfetta unità.
    Finirà che a forza di insistere, dai e dai, si dovranno per forza convincere tutti che quel Fatto meraviglioso e sublime in fondo non è altro che un boccone di pane e un bicchiere di vino. Tanto vale, come sottolinea Gnocchi, arricchire la tavolata bolognese con tortellini al ragù e bisbocciare sbracati in ecumenica allegria.

  6. Uso ogni tanto confessarmi da un vecchio prete che la domenica dice messa in rito tridentino. Quando gli accenno ai miei poco caritatevoli sentimenti verso questo clero assetato di ecumenismo a scapito sella fedeltà a Cristo, mi blocca sempre con poche smozzicate parole che significano più o meno “so tutto, la capisco, la prego non me ne parli! Ecco appunto, non parliamone, preghiamo.

  7. Luciano Pranzetti

    Tutto ebbe inizio con la “Deforma” della Santa Messa Vetus Ordo, quando, nel momento successivo alla Consacrazione, il massone Bugnini, in sintonìa col massone capo, Paolo VI e la commissione mista di anglicani-luterani, inserì l’acclamazione “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione IN ATTESA DELLA TUA VENUTA”. Attesa di chi, se il Signore s’è incarnato, presente in Corpo/Sangue/Anima/Divinità sotto le specie del pane e del vino? Non v’è il sottile ed impalpabile serpe del dubbio protestante sulla reale presenza di Cristo che fa auspicare la “sua venuta?” Tutto continuò con l’amministrazione dell’Eucaristìa sulle mani. Un disegno che abbozzato da tempo sta ora completandosi. Exsurge Domine!

    1. Caro Professore, devo dirle la verità che su questa “attesa della sua venuta” non ho mai riflettuto. Spesso succede che si ripetono frasi meccanicamente senza pensare a cosa in realtà si dice. Che si trattasse della venuta di Cristo alla fine dei tempi? Davvero non so spiegarmi questa venuta dopo la proclamazione della morte e della risurrezione. Cosa ne pensa lei?

  8. Ordine di scuderia: unire, unire, unire. Tutti uniti da una parte! …e naturalmente Nostro Signore Gesù Cristo dall’altra. In effetti il signor Omissis dovrebbe finalmente spiegarGli che facendosi inchiodare sulla croce (e, s’intende, risorgendo) ha proprio rovinato tutto, costringendo a una certa fatica per seguirLo, e che poteva ben accontentarsi del Battesimo: momento sicuramente più gaio (con rispetto per il Sacramento), più mondano, più comodo, e ovviamente meno divisivo.

  9. Come aveva precisato a suo tempo un commentatore, caro Franco el Guanche, la chiesa ortodossa dell’otto per mille è quella greca, sorellastra di quella modernista.
    Personalmente, non trovando nessuno meritevole, non firmo l’otto per mille.

  10. Luciano Pranzetti

    Cara Tonietta, la Santa Messa – soprattutto quella Vetus Ordo – è il rinnovamento del sacrficio della Croce che trova il punto più alto nella Consacrazione durante la quale si opera il mistero della Transustanziazione. Gesù “si incarna’ sotto le specie ed è presente REALMENTE. Invocando la sua venuta è come se non si credesse a questa sua presenza. Il defunto mons. Gherardini, che conoscevo molto bene e a cui ho sporto l’omaggio funebre di una Messa a suo suffragio, mi diceva che, della Messa di Paolo VI si salva soltanto la CONSACRAZIONE. Eppure, anche in questo sublime momento mons. Bugnini, il massone riformatore, ha tradito le parole di Cristo il quale ha detto che il suo Sangue ‘è stato sparso per voi e per molti’ mentre oggi,con la protervia di chi corregge lo stesso Signore, si recita ‘per voi e per tutti’. Sarebbe il caso di pubblicare il “breve esame critico del Novus Ordo Missae” – rilievi e accuse – e non dubia -che i cardinali Ottaviani e Bacci inviarono a Paolo Vi il quale non rispose. La stessa linea ‘pastorale’ di Bergoglio.

  11. Effundetur: SARÀ VERSATO.Copio-incollo un vecchio commento da MIL di D. Pastorelli. “L’Eucaristia non ripete la Cena ma riattualizza il sacrificio del Calvario. È vero che la Messa nasce nell’Ultima Cena. È lì l’istituzione dell’Eucaristia. Tuttavia essa non riproduce e non ricorda la Cena, ma ciò che il Signore vi ha compiuto e ci ha consegnato: è da lì ch’Egli porta i Suoi direttamente sul Calvario, dove a breve si compirà il Sacrificio. Ce lo dice anche dal verbo espresso al futuro nella formula consacratoria “effundetur” – la cui traduzione è “sarà versato” e NON “versato” – con chiaro riferimento al Sangue già transustanziato da Gesù al termine della Cena, che non è solo un convivio, sia pure trattandosi attendibilmente della Cena pasquale ebraica; ma trasporta appunto al Calvario, il luogo del Sacrificio del vero Agnello.
    È questo il Novum, l’inedito, che dobbiamo custodire e vivere e che rende possibile il riscatto e la risurrezione nobis (per noi) e per i molti che faranno questo in Sua memoria, non solo ritualmente, ma da veri adoratori in spirito e verità.

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