Un Buon Natale con Guareschi  –  di Giovanni Lugaresi

di Giovanni Lugaresi

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zzzzgrschE se provassimo a far Natale con Guareschi? Se non altro per respirare un po’ di aria pulita, alla luce della fede, della speranza, della tradizione, con qualche refolo di umorismo e aliti di poesia. Perché se ne ha abbastanza di sortite demenziali sulla rinuncia a questo e a quello, per rispetto delle altrui tradizioni, usi, costumi, eccetera eccetera. Come se non avessimo l’obbligo morale di rispettare in primis le “nostre” tradizioni, i nostri usi e costumi, che non vogliamo certamente imporre a nessuno, ma che in casa nostra avremo pure il diritto di ricordare, di coltivare, di celebrare!

Giovannino Guareschi, allora. Perché non è frequente trovare, in un’opera letteraria del Novecento, la presenza del Natale espressa con un’intensità di fede e con un soffio di delicata poesia, come nelle pagine dell’autore della Bassa. Che nell’incarnazione di Dio che si fa uomo per il bene degli uomini, ci credeva a tal punto da scrivere addirittura due “favole di Natale”, e di dedicare all’evento diverse altre pagine in vari libri, a incominciare da quel finale di “Don Camillo” (il primo volume all’insegna del Mondo piccolo – Rizzoli 1948) nel quale Peppone, in una brumosa serata novembrina, andato in canonico a confidare certe sue preoccupazioni al parroco, si trova fra le statuine del presepe. Il pretone sta lavorando infatti, in forte anticipo sui tempi, perché – dice – Natale arriva in fretta cogliendoti magari di sorpresa.

Eccolo, allora, ricevere la visita del sindaco e capo dei rossi mentre sta ripulendo e sistemando le statuine del presepe…

Allora prende il Bambinello e un pennellino affidandoli a Peppone per i ritocchi necessari di pulizia e di colore. Incombenza alla quale il nostro omone non si sottrae, anzi…

E uscendo – annota Guareschi – “Peppone si trovò nella cupa notte padana, ma oramai era tranquillissimo perché sentiva ancora nel cavo della mano il tepore del Bambinello rosa”.

Il finale del racconto è all’insegna di una fede semplice e toccante: “Il fiume scorreva placido e lento, lì a due passi sotto l’argine, ed era anch’esso una poesia: una poesia cominciata quando era cominciato il mondo e che ancora continuava e per arrotondare e levigare il più piccolo dei miliardi di sassi in fondo all’acqua, c’eran voluti mille anni. E soltanto fra venti generazioni l’acqua avrà levigato un nuovo sassetto. E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l’ora su macchine a razzo superatomico e per fare cosa? Per arrivare in fondo all’anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso Bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino”.

don-camillo-presepeA proposito del “Mondo piccolo”, poi, è significativo il racconto “La cellula di mezzanotte”. Polemicamente, Peppone e i suoi si riuniranno, in alternativa alla liturgia in chiesa, a leggere i “testi sacri” del comunismo, Marx, eccetera. Se non che don Camillo si presenterà, inaspettato ospite, dai rossi e celebrerà messa sull’altare da campo che si è portato dietro. Toccante, coinvolgente racconto, dal quale emerge una fede mai sopita e l’essere naturaliter cristiano di Peppone.

Di riferimenti al Natale ne troviamo anche in chiave umoristica: nello “Zibaldino”, per esempio, in un racconto esilarante, dove i figli dell’autore, Albertino e  Carlotta devono imparare ciascuno una poesia da recitare il 25 dicembre, e si fanno i dispetti, l’una recitando quella del fratello, l’altro, quella della sorella, e tutto il vicinato nel frattempo, sentendo mandare a memoria ad alta voce i versi, ha in parte imparato anch’esso!

Ma ci sono due momenti-episodi della vita dell’autore nei quali il Natale si rivela più che mai presente, significante, coinvolgente, consolante.

Ne “Il magone dell’antenato”, racconto apparso sul settimanale Oggi nel dicembre 1967, poi raccolto in “Chi sogna nuovi gerani?” (Rizzoli 1993), l’autore scrive della sua annuale visita alla tomba dei genitori nel piccolo cimitero di Marore, alle porte di Parma.

 Lì riposano sua madre, la maestra vecchia (Lina Maghenzani), e il padre Primo Augusto, e sulla tomba c’è il “monumento” a Gramigna, che non è una sorta di Franti del “Cuore” deamicisiano, bensì, “l’ultimo della classe”. Ed ecco come, prima di avviare il muto colloquio coi suoi morti, che ci immerge in quella meravigliosa “comunione dei Santi” del Credo cattolico, incomincia Guareschi.

 “Dicembre 1967. La sosta di Natale. Per noi della vecchia generazione, pure disincantati da guerre, relativi dopoguerra, nonché da altre esperienze, il traguardo sentimentale d’ogni anno rimane il Natale.

”Natale è per noi la tappa annuale del lungo e duro cammino: l’albero frondoso all’ombra del quale, usciti dalla strada assolata e polverosa, ci fermiamo un istante per raccogliere le nostre idee, i nostri ricordi, e per guardarci indietro. E sono assieme a noi i nostri cari: i vivi e i morti. E nel nostro Presepino d’ogni Natale rinasce, col Bambinello, la speranza di un mondo migliore…”.

Sarebbe stato, quello, l’ultimo Natale di Giovannino. Quello del 1968 non avrebbe fatto in tempo a vederlo: il 22 luglio, infatti, avrebbe cessato di vivere colpito da un infarto nella casa di Cervia dove trascorreva i mesi estivi.

Ma il pieno, completo e compiuto senso del mistero, espresso poi con una altezza poetica da vertigine, lo troviamo in quella “Favola di Natale” scritta in un lager nazista nei giorni precedenti il 25 dicembre 1944.

Una prima fiaba, Guareschi l’aveva scritta l’anno prima alla vigilia di quello che sarebbe stato il suo primo Natale di internamento. Era una “favoletta”, nel senso di pochi fogli: con una sentinella sulla torretta, Giuseppe e Maria che arrivano al lager chiedendo ospitalità, e poi il nascondimento (grazie alla sentinella stessa), una gran luce che si accende nel luogo dove nasce il Bambino, una grande splendida stella, un colonnello, quindi la scomparsa della Sacra Famiglia così, nel nulla. Infine, un “Buon Natale” detto dal soldato della torretta. Un gioiellino, mai pubblicato da Guareschi, ma che i figli molto opportunamente avevano inserito in “Ritorno alla base” (Rizzoli – 1989).

A proposito di queste pagine, nel “Grande Diario 1943-1945” (Rizzoli), del Natale si legge più e più volte… Eccone una: “Venerdì 24 dicembre 1943 Vigilia di Natale. Neve in terra e nebbia – salute adeguata – minestra di cavoli, patate, marmellata, carne in scatola, pane.

“Ho disegnato la “Lettera del papà” sulla parete e Novello ha finito il Presepe. Abbiamo fatto l’albero di Natale… Ho finito la mia conversazione ‘Natale 1943’; l’ho scritta con disperazione…”.

zzzzpcclprsp“Sabato 25 dicembre 1943. Nebbia di brina ricamata. Salute adeguata… Questa notte è venuto Albertino a trovarmi con la sua sorellina e il buon Dio, per non farglieli vedere, ha coperto i reticolati con candidi fiori di gelo. Regalo del Bambino Gesù: dato i tempi ha fatto anche troppo”…

Ma il capolavoro di Giovannino sarà la “Favola di Natale del 1944, musicata da Arturo Coppola, edita nel dopoguerra e ristampata da Rizzoli più volte. In quel testo, l’incipit vedrà ancora una volta protagonista il figlio dell’IMI 6865, con una poesia, e quindi con la nonna, il fido cane Flik e una lucciola, lungo la via sconosciuta che porta al lger.

Nel “Grande Diario”, alla data di domenica 17 dicembre 1944, leggiamo: “Ho scritto una favola di Natale”. E il martedì successivo: “Finito Favola di Natale”. Ancora, nei giorni antecedenti il 25, si legge della preoccupazione dell’autore che il testo non venga capito, poi: “Domenica 24 dicembre 1944… Prima della Favola di Natale. Un successone”. E il successone si ripeterà nelle successive letture nelle varie baracche.

Tornato in patria nell’estate del 1945, Giovannino presentò quella favola all’Angelicum di Milano la sera del 25 dicembre: spettacolo a favore delle famiglie degli ex internati; e tornarono la commozione, le speranze, la fede, la poesia di quel Natale fra i reticolati. Quelle pagine scritte nel lager avevano avuto tre muse ispiratrici: la fame, il freddo e la nostalgia – come sottolineato dallo stesso autore. Ed erano pagine ricche di metafore, con note polemiche, con aliti di poesia, ma soprattutto testimonianza che il Dio della pace che si incarnava nella Notte Santa, rappresentava l’evento centrale nella vita di quegli sventurati, poveri straccioni affamati, lontani dalla patria, dalla famiglia, ma che trascinavano i loro giorni di pena all’insegna della fede, della speranza e della libertà. Sì, della libertà, perché – come aveva avvertito lo stesso Guareschi in un precedente scritto – lui non poteva uscire dal campo di concentramento, ma poteva entrare chiunque: sogni, ricordi, affetti, e pure il buon Dio! La libertà essendo, prima di tutto, un fatto interiore: la libertà dei figli di Dio…

Allora, buon Natale con Guareschi, amici lettori! Sarà un Natale sereno, che scalda il cuore.

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CLICCA QUI per leggere una bellissima pagina di Guareschi: “Signora Germania”, tratta dal Diario Clandestino

4 commenti su “Un Buon Natale con Guareschi  –  di Giovanni Lugaresi”

  1. Buon Natale ed un ringraziamento a tutti gli autori, ispiratori, collaboratori e lettori di Riscossa Cristiana!
    Laus Tibi Christe.

  2. Guareschi straordinario, meraviglioso, commovente!!!!!
    E pensando a lui non riesco più a togliermi dal cuore la parola “santità”.
    Il Signore lo ha già accolto nella GLORIA, e quindi io lo prego di intercedere per salvare
    la Chiesa VERA dai demolitori che stanno cercando di distruggerla, crocifiggendo sempre
    più crudelmente CRISTO!!!
    GRAZIE gentile Giovanni Lugaresi!
    Auguro a lei, ai carissimi di Riscossa Cristiana, e a tutti gli eccellenti commentatori un
    Santo Natale con immerso nel nostro cuore l’amatissimo Bambino!

  3. Nel marasma degli ideali che affligge chi li possiede e infastidisce chi ne è privo, il ricordare e ribadire quelli di Giovannino Guareschi ci convince, sempre di più, a continuare a compiere serenamente e tenacemente il nostro Dovere.
    Bravo Giovanni, con tanti cari e affettuosi auguri alpini. Beppe Parazzini

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