Una nuova ricerca smentisce i pionieri della “morte cerebrale” – di Cristiano Lugli

Come in tutti gli ambiti dello scibile umano, anche nel dibattito bioetico le parole fanno la differenza e spesso sono usate apposta per servire la causa del potere. Io lavoro in una casa di riposo dove ospitiamo anche pazienti che nel linguaggio corrente ci hanno abituati a definire “vegetali”. Tale definizione tende a portare anche gli addetti ai lavori a pensare ai pazienti impossibilitati ad esercitare facoltà fisiche e sensoriali proprio come a dei vegetali.

In realtà, quei pazienti sono in uno stato di “coma vigile”, che già suona come una cosa ben diversa. Anche la nostra percezione infatti cambia. E, se è vero che il nostro “prenderci cura” deve essere universale e non influenzato dalla gravità della situazione che ci troviamo davanti, è altrettanto vero che gli stimoli cambiano a seconda del grado di conoscenza effettiva che abbiamo di essa. Quando parliamo di coma vigile, siamo portati a pensare che quel paziente in qualche modo ci senta, possa, almeno a tratti, essere vigile e quindi comprendere. La nostra sensibilità allora ne è toccata, e ci chiama ad impegnarci di più per rendere possibile un qualche tipo di approccio umano.

Vi è poi un altro aspetto su cui è opportuno soffermarsi. Per quanto il progresso della medicina sia avanzato, e sia dunque in grado di darci diagnosi molto più precise, non può chiarire del tutto il quadro clinico effettivo. Ad esempio un elettroencefalogramma, anche il più preciso, non può esaurire le possibilità di verificare quanto una persona in stato di coma vigile sia in grado di percepire. Ciò significa, a mio avviso, che anche parlare di pazienti in “stato vegetativo” o coma profondo, al punto tale da non avvertire nulla di nulla, sia riduttivo. Bisogna oltretutto considerare che ogni persona è dotata di un’anima, e che questa non può essere né analizzata né misurata. Fatto sta che spesso un paziente equiparato con leggerezza a un vegetale spesso può essere in grado di stupire manifestando segni di “vitalità” che la scienza non sa spiegare. Sorrisi imprevedibili ma limpidi; pianti, con tanto di lacrime, improvvisi; espressioni che comunicano, appunto, un certo stato d’animo.

Studi recenti, in particolare alcune ricerche avvenute a Zheijang (Cina), si pongono a sostegno di queste considerazioni. Il neologismo “accanimento terapeutico”, tanto in auge nelle pontificie accademie pseudo-cattoliche, fa eco in qualche modo alla locuzione di “stato vegetativo” e, ancor peggio, di “morte cerebrale”. Parlando di morte cerebrale e di stato vegetativo, si tenta di figurare il cervello come fosse qualcosa di staccato dal resto del corpo. Si tratta di una concezione suggestiva, utile a far breccia nel cosiddetto mercato degli organi, che non è poi altro che una predazione di parti del corpo umano a cuore battente: qualcosa di talmente diabolico da non lasciar spazio a troppe interpretazioni. Lasciando sullo sfondo il ruolo della chiesa in questo processo di scomposizione e mercificazione del corpo umano, può essere utile dare uno sguardo allo studio summenzionato.

Alcuni ricercatori del Department of Neurology & Brain Medical Centre di Zhejiang hanno coinvolto quattordici pazienti provenienti dal reparto di Neuro-Riabilitazione ricoverati presso l’Hangzhou Hospital: sette pazienti in Stato Vegetativo Persistente (cinque maschi e due femmine) e sette casi di pazienti in Stato di Minima Coscienza (sei maschi ed una femmina).

Nel medesimo tempo quattordici persone completamente sane sono state coinvolte nel gruppo di controllo (dieci maschi e quattro femmine) e hanno partecipato all’esperimento. Il metodo utilizzato per capire e percepire eventuali risposte cerebrali si è fondato sui suoni. Le risposte conseguenti alla riproduzione di un brano musicale, alla riproduzione del proprio nome di battesimo e ad un rumore intenso sono state monitorate attraverso un elettroencefalogramma quantitativo (QEEG), una tecnica per cui le registrazioni vengono analizzate da un computer per produrre valori numerici.

I risultati del QEEG, ottenuti investigando sulle varie regioni cerebrali, hanno riscontrato attività cerebrale elevata nei soggetti stimolati con il proprio nome di battesimo, specialmente a livello del lobo temporale dei pazienti con uno stato di coscienza alterato. Nel gruppo di controllo invece, quello composto da persone sane, l’attività cerebrale è risultata essere elevata a livello del lobo frontale. I ricercatori hanno quindi concluso che pronunciare il nome di battesimo del paziente possa risultare efficace come terapia finalizzata al risveglio di persone affette da alterazione dello stato di coscienza. Questi interessanti risultati sono stati ottenuti sia in condizioni di silenzio, sia durante le stimolazioni acustiche.

Tutto per dire che chi, come me, esercita la propria professione in ambiente sanitario non può lasciare niente e nessuno senza speranza. Si pensi solo a quanto successo meno di un anno fa in provincia di Savona, dove in una clinica per pazienti in stato comatoso – dalla stessa clinica definito “vegetativo” – nell’arco di due mesi si sono risvegliate 4 persone (due donne e due uomini) dal coma profondo. I parenti e la struttura stessa non hanno saputo dare spiegazioni al caso, ma a loro va il merito di non aver mai perso la speranza e di non averla mai fatta perdere agli altri, così che tutti hanno continuato a mantenere vive queste persone. I parenti non hanno potuto far altro che parlare di miracolo, quando hanno visto i propri cari, in condizioni cliniche apparentemente irreversibili, aprire gli occhi, rispondere con qualche suono, o mangiare tre cucchiai di tiramisù.

Questo è il miracolo della vita contro cui niente e nessuno può competere. Ma cosa sarebbe accaduto se il personale medico e paramedico avesse considerato quelle vite come “vite futili”, e quindi indegne di essere vissute?

22 commenti su “Una nuova ricerca smentisce i pionieri della “morte cerebrale” – di Cristiano Lugli”

  1. Mi complimento per questo articolo! E’ assai utile a mio parere che chi lavori in ambito sanitario si senta chiamato, come il Sig. Lugli, a testimoniare la realtà della vita umana nei suoi anfratti più dimenticati e negletti da una cultura che, illudendosi di fuggire dalla morte, ma in realtà sempre più stritolata nel suo fatale abbraccio, va verso il baratro diabolico di una mercificazione e una strumentalizzazione selvaggia e indegna del corpo umano, tempio di Dio e manifestazione ineguagliata della Sua volontà creatrice.

  2. Caro @Lugli, anche io lavoro nella sanità, e mi chiedo come la donazione degli organi possa essere compatibile con la nostra fede.
    Come possiamo accettare un organo di un altro ottenuto mediante il suo omicidio?

    1. Essendo anch’io operatore sanitario, mi associo al 100% alla domanda di Paola. L’intera “fola” della “morte cerebrale” (con molte virgolette) è stata messa in piedi proprio per la predazione di organi. Occhio al silenzio-assenso, gente! Mettete bene per iscritto che NON volete donare neanche un capello!

    2. E pensare, gentile signora, che il problema per eccellenza in questo campo pare essere quello del mercimonio: “C’è gente che si vende un rene, in certi Paesi. È una cosa inaccettabile!”.
      Quello è inaccettabile… invece prendere una persona in buone condizioni, però con probabilità di risveglio dal coma quasi nulle, e ucciderla viene spacciato come normale.
      “È probabile che il suo cuore farà vivere bene un’altra persona”. Verissimo! Il cuore di molti di noi, se estratto, farebbe vivere bene un’altra persona….

  3. Non ho mai ritenuto una persona in coma o gravemente menomata come inutile o un peso. Proprio mai. Spesso si tratta di persone con una missione speciale o verso se stessi o verso gli altri, spesso sono vite in riparazione dei grandi peccati da cui siamo circondati. Credo. I suoni, il canto, i massaggi sono sempre aiuti incommensurabili. Su Radio Spada, erano comparsi articoli che segnalavano il lavoro della Lega anti-predazione di organi, poi non se n’è più saputo nulla. Abbiamo saputo invece che molti di coloro che si incamminano verso il Mediterraneo, vengono dirottati verso il Sinai dove squadre di medici espiantano organi, cioè prima li ammazzano poi espiantano organi vitali.Anche di questi traffici bisognerebbe sapere molto di più e molto meglio. La morte cerebrale, a mio parere, è un limite arbitrario che consente l’espianto. Dovrebbe esistere insieme alla medicina preventiva una serie di regole da trasmettere a tutti, sottolineando che eccedere nello sfruttare le forze fisiche porta ad ammalarsi e quindi a morire.Pezzi di ricambio non ci sono per nessuno. Chiaro?

  4. Inorridisco da sempre al pensiero di quei cuori battenti espiantati con.la scusa del cosiddetto “encefalogramma piatto”‘. Proviamo un po’ a immaginare la scena di una persona che respira e con la funzione cardiaca normale, messa di forza su un tavolo operatorio e privata del suo cuore con perfetta nonchalance. A me è sempre sembrato un omicidio vero e proprio e mi sono sempre meravigliata di come mai coloro che perlomeno una volta erano i difensori della vita, su questo argomento avessero le bocche completamente cucite. Tant”è che nella mia perenne ingenuità ne scrissi anche in una lettera che inviai al vescovo. Risposta ovviamente inesistente.

    1. Immaginavo che avrebbe scritto un giusto commento, cara signora. Infatti l’ha scritto.
      Sui Vescovi: è stato tutto chiaro, incredibilmente e orribilmente chiaro, negli anni ’70 .Qualcuno ha sentito dire “Quei piccolini che erano vivi nel seno delle madri, e che sono stati gettati via, sono i vostri figli, sono creature di Dio”? Non mi sembra.

  5. Il coma vigile, nella legslazione italiana, non corrisponde assolutamente con la morte encefalica! Se il paziente è vigile, come minimo apre gli occhi allo stimolo doloroso (quindi nella scala di Glasgow, corrisponde ad un valore di 4, assolutamente non appartenente ai requisiti di morte cerebrale). Se poi il paziente, apre gli occhi spontaneamente (in assenza di stimolo dolorifico o richiamo verbale) siamo di fronte ad un grado 6 della scala di Glasgow. Vietato anche accennare a possibilità di morte cerebrale. In Italia, almeno fino ad ora, i requisiti per iniziare ad indagare per una eventuale morte cerebrale, sono i seguenti: nel reparto di rianimazione il medico anestesista rianimatore, nota che un paziente particolarmente compromesso a livello cerebrale si trova in un grado 3 della scala di Glasgow (non apre gli occhi nemmeno allo stimolo doloroso, nè allo stimolo doloroso accenna a movimenti degli arti, nè emette qualche parola sconnessa impropria ecceterra). Non basta, non possiede più i riflessi profondi come il riflesso corneale nè il riflesso carenale. Non basta ancora.

  6. ….non basta ancora. Se il pazinte risulta positivo anche minimamente a farmaci sedativi (somministrati in rianimazione per provare a salvarlo), l’elettroencefalogramma non è dirimente ed il paziente deve per legge essere sottoposto ad una angiografia cerebrale che dimostri l’assenza di flusso sanguigno nel cervello. Se c’è ancora anche un residuo di flusso, il paziente non è ritenuto in morte cerebrale. Se l’angiografia dimostra che non affluisce più sangue nel cervello ,si inizia un priodo di osservazione supplementare di 6 ore nell’adulto e 12 ore nel bambino. In questo periodo, un rianimatore, un neurologo ed un medico legale, eseguono delle prove ulteriori: test di apnea X 2 volte, elettroencefalogramma per 2 volte, prove dei riflessi vestibolari e cocleari X 2 volte. Se non c’è alcuna risposta in nessuna delle prove, ll paziente viene definito in morte cerebrale.

    1. Il punto è uno solo: che cos’è la morte?
      Se “morte” è “impossibilità, al 99,9%, che il paziente torni a star bene”, allora il “morto cerebrale” è morto, e anch’io, ad esempio, con molte patologie e molte terapie in atto, sono morto.
      Se invece “morte” è “passaggio da persona vivente a cadavere INANIMATO, che ha iniziato il disfacimento”, allora il “morto cerebrale” è vivo.

      Del resto la cosa fu chiarissima subito: poco dopo il trapianto di cuore fatto in Sudafrica da Barnard, un consesso riunito a Harvard (Boston) stabilì i “Criteri di Harvard per l’espianto degli organi”. La preoccupazione era ed è, espressamente, quella dello Organ Harvesting: la Raccolta (con termine agricolo) degli organi.
      “Dove andiamo a prenderli, per far continuare la Vita (intesa come entità superiore) oltre la morte degli individui (intesi come entità disponibili, “usa e getta”) ??
      “L’uomo è a servizio della Scienza o la scienza è per l’uomo?”. La risposta esatta è la prima! ve lo dice la Comunità Scientifica.

      1. Non mi risulta che in nessun Paese sia legale espiantare organi da persone in coma vigile, c’è molta confusione e l’intervento di Davide cerca di fare chiarezza…

        Riducendo all’estrema semplificazione (quindi con alcune approssimazioni più o meno grossolane), il cuore batte perché il corpo è attaccato ad un ventilatore che espleta la funzione dei polmoni (introdurre ossigeno ed eliminare anidride carbonica). Il cuore, avendo cellule in grado di generare spontaneamente impulsi elettrici, necessità “solo” di essere perfuso e di avere ossigeno per generare l’energia necessaria alla contrazione. Tant’è che continua a pusare anche mentre viene trasportato, perfuso da apparecchi appositi Vedere (se non urta la sensibilità nè provoca conati di vomito) questo video: https://www.youtube.com/watch?v=ThqEJHSy14U).
        Non si può più affermare che il ventricolo (attività contrattile del cuore) è l’ultimum moriens.

        Mi risulta infine, Davide, che non sia un medico legale ma un anatomopatologo parte della commissione per avviare la procedura di donazione degli organi.

    2. La morte cerebrale non esiste. Punto.
      E poi ti pare etico fare un angiografia e tutti questi test di apnea su un paziente vivo?
      E chi controlla il controllore?

  7. Tutte le analisi possono essere smentite dai fatti; tutte le analisi possono essere alterate nei loro risultati. Tutte le precauzioni e gli accertamenti citati, come sappiamo, non impediscono e non hanno impedito il traffico di organi.

  8. Il mercimonio degli organi è qualcosa di agghiacciante.Tuttavia non me la sento di liquidare frettolosamente l’opposizione all’accanimento terapeutico.Mantenere artificiosamente in vita il corpo di chi non ha alcuna possibilità di tornare a recuperare coscienza, volontà e capacità relazionale non è una forma di opposizione a un processo naturale, non è un disconoscimento della nostra finitudine? A me pare che oltre un certo limite la bioetica, forzando i limiti del diritto naturale sconfini nel materialismo. Non a vegetare attaccati a qualche macchinario siamo chiamati ma a vivere eternamente nella luce di Dio in Cristo Gesù.

    1. La parola-chiave del suo intervento, Andrea, è “artificiosamente”.
      Il piccolo Alfie stava benissimo, Eluana stava benissimo. Avevano bisogno assoluto di nutrimento e aria (Alfie: Eluana respirava senza ausilio). Lei avrebbe eliminato il nutrimento e l’aria, di persona?
      È tutto qui.
      P.S. Le posso dire che io ho bisogno d”aria durante la notte, non per qualche strana malattia ma per una semplice catttiva conformazione della mia faringe, che mi dà le cosiddette “apnee notturne”. Sono rifornito “artificiosamentte” d’aria ogni notte, e questo continuerà per tutta la vita.
      Vuole venire, insieme a qualche medico e a qualche guudice che lavorano per “il MIO miglior interesse”, a staccare la spina? Così -a meno di “imprevisti”- andrò “nella luce di Dio” e starò molto bene.
      P.S. Saluto e chiudo, resterò senza internet per alcuni giorni.

    2. Albino Mettifogo

      La mia personale opinione é che Dio é padrone assoluto della vita, perciò quando Lui decide di chiamarci a Sé, non esiste alcun palliativo, cura o macchinario in grado di mantenerci in vita (“artificiosamente” o meno che sia). Un cattolico farebbe bene a non dimenticarlo mai, perché é la risposta a tanti interrogativi.
      E poi, chi stabilisce che una persona non può più recuperare coscienza, volontà e capacità relazionale? Forse la scienza medica che, al riguardo, si é già sbagliata innumerevoli volte? E cosa sono la coscienza, la capacità relazionale e la volontà? Qualcuno é in grado di stabilire fino a che punto una persona ne é ancora dotata oppure no? Si tratta di un campo minato pericolosissimo.
      Pur non soffrendo (per ora) di determinate patologie, l’idea che qualcun altro possa permettersi di decidere fino a che punto la mia vita sia degna di essere vissuta é una prospettiva che mi dà i brividi.
      Albino

      1. Bravo carissimo Albino, è proprio questo il punto. Seguendo questa pericolosa china anche un bambino ancora non nato o neonato, un anziano demente o un più o meno grave minorato mentale potrebbero essere tranquillamente soppressi: non si relazionano se non molto limitatamente; non hanno o sembrano non avere contezza di se’ (“coscienza” è un termine ambiguo e polivalente che non mi sento di usare); e la scienza non è in grado di cambiare queste loro condizioni. Noti inoltre che l’unica categoria per la quale la situazione è connaturata e fisiologica è il bambino; che per paradosso viene già ucciso con l’aborto. Il passo verso la soppressione legale delle altre categorie citate, che sono dovute a situazione patologiche e non fisiologiche, è dunque breve.

        1. Albino Mettifogo

          Al riguardo mi torna in mente un vecchio racconto dello scrittore ateo e poi convertito (così dicono) Emile Zola: “La morte di Olivier Bécaille”. Qui il protagonista si ritrova un brutto giorno completamente paralizzato, tanto da dare l’impressione di non riuscire più nemmeno a respirare, e con il polso non rilevabile. Ritenendolo morto gli fanno il funerale e lo seppelliscono senza tanti complimenti. Egli recupera in pieno le sue facoltà solo nel chiuso della bara. Ma l’aspetto più interessante é che lui, mentre lo dichiaravano morto e lo seppellivano, era pienamente cosciente con la testa di ciò che gli stava accadendo; sentiva tutti i discorsi che venivano fatti dalle persone che lo avvicinavano, e non aveva purtroppo alcun modo di dimostrare che si erano sbagliati nella diagnosi. Mai e poi mai vorrei trovarmi a vivere un incubo simile, tale quale, forse, toccato ad Eluana Englaro che, nello sforzo supremo di dimostrare che era viva e voleva vivere, mentre la stavano uccidendo, gettò un colpo di tosse. Non oso immaginare quale fosse la sua disperazione in quei momenti. Albino

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