Una riflessione sulla famiglia e sui rapporti familiari nella Bibbia  –  di Carla D’Agostino Ungaretti

Come ho scritto molte volte, la lettura della Bibbia rappresenta per me una fonte inesauribile di conforto, di pace e di rassicurazione spirituale, soprattutto nel  periodo storico in cui ci tocca vivere, in cui vengono proposte, e direi quasi imposte, alla nostra esperienza e al nostro giudizio teorie antropologiche e filosofiche che contraddicono alla radice i valori più solidi che sono stati inculcati nella mente e nel cuore della mia generazione negli anni della sua formazione umana, come la concezione della famiglia.

di Carla D’Agostino Ungaretti

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RACHELE E ELIZIER AL POZZOInfatti, a leggere le cronache familiari riportate dai media non c’è proprio da sentirsi edificati; è inutile rievocare i tristissimi e nefasti episodi verificatisi negli ultimi anni, per esempio a Cogne, a Novi Ligure e ad Avetrana, o i casi di “femminicidio” che hanno distrutto intere famiglie, perché tutti li riconosciamo come segni dei tempi altrettanto nefasti che stiamo vivendo. La verità di fondo è che il mondo – pervaso di superbia e stupidamente fiero dello sviluppo tecnologico raggiunto, inimmaginabile fino a pochi decenni fa – non solo ritiene di poter fare a meno di Dio e di quella legge naturale da Lui impressa indelebilmente nel cuore e nella mente degli uomini fin dalla notte dei tempi, ma cerca addirittura di cancellarne il ricordo in ogni manifestazione umana, dimenticando però che l’idea di un Essere trascendente e totalmente “Altro” rispetto all’umanità, insieme all’idea della famiglia, non sono facilmente cancellabili, proprio perché non sono un’invenzione dell’uomo.

La famiglia rispecchia la natura umana più profonda: in essa possiamo trovare, come in tutti gli esseri umani, il bene e il male, la bontà e la cattiveria, la dedizione e l’egoismo, la fedeltà e il tradimento; ogni essere umano si aspetta il massimo bene dalla propria famiglia e, quando ne rimane deluso, il dolore e il disorientamento che prova è lacerante, come rivelano tutte le inchieste sociologiche sul dolore che provano i figli costretti ad assistere alla separazione dei loro genitori. Perché allora questo istituto, che ancora consideriamo il pilastro del consorzio umano, può presentarsi spesso così sanguinosamente ferito? La famiglia non è stata creata da Dio, almeno per chi ha una visione cristiana dell’esistenza? E Dio, contemplando ciò che Egli stesso aveva creato, non aveva verificato di persona che “era cosa molto buona”? (Gn 1, 31). Certamente, ma il cristiano sa anche che tutta la Creazione è stata ferita dal peccato originale, da quella sorta di cataclisma che ha introdotto il Male nel mondo e quindi anche nella famiglia. La Bibbia è ben consapevole di tutto questo e perciò non ci risparmia descrizioni terribili di quanto poteva avvenire in seno alla famiglia anche in epoche lontanissime da noi.

La tavolozza è talmente variegata, sia nel bene che nel male, che penso valga veramente la pena tornare a meditare sulla descrizione biblica della famiglia, anche quando questa è dominata dal Male, tenendo ben presente  però che, se la Parola di Dio è l’eterno parametro cui l’autore biblico ha sempre ispirato la sua narrazione, altrettanto dobbiamo fare noi eleggendo quella Parola a fonte costante di illuminazione, anche nei momenti terribili che le nostre famiglie possono attraversare. Pertanto, non essendovi mai niente di nuovo sotto il sole, dobbiamo imparare ad attribuire ad ogni evento familiare l’esatta importanza che merita e a individuare, senza tema di errore perché sorretti dalla fede, quale sia il giusto comportamento da osservare per fronteggiare le difficoltà che possono presentarsi e rimanere sul sentiero tracciato da Dio.

La famiglia oggi è disastrata, lo sappiamo tutti, ma non dobbiamo per questo credere che due o tremila anni fa le cose andassero meglio. La Genesi ci narra la storia di una serie di famiglie vere, concrete, non certo idealizzate o, come dice la pubblicità moderna da “mulino bianco”. Ci descrive situazioni non certo esemplari o edificanti neppure per la nostra smaliziata mentalità del XXI secolo, che ci ha abituato a vederne e a sentirne, nell’ambito familiare, di cotte e di crude. Nell’Antico Testamento era frequente la poligamia, motivata da ragioni sociologiche ambientali e contingenti, ma certamente non voluta da Dio, che aveva creato la famiglia basata sul matrimonio di un solo uomo con una sola donna; incontriamo la maternità sostitutiva, con le due serve di Lia e Rachele, Bila e Zilpa (Gn 29 – 30); ci vengono descritti l’incesto, con la storia delle figlie di Lot (Gn 19) e la violenza carnale subita da Dina, figlia di Lia e Giacobbe, per opera di Sichem (Gn 34).

Poi leggiamo anche che Abramo spinse sua moglie Sara tra le braccia di Abimèlech spacciandola per sua sorella (forse per vigliaccheria …?) (Gn 20). Non c’è male per chi sarebbe stato considerato da S. Paolo “il padre dei credenti”! (Rm 4, 11) e, in quanto portatore delle promesse agli Ebrei, “il nostro padre Abramo”! (Gv 8,53). Sarebbe dovuto arrivare Giovanni Battista per chiarire in proposito le idee ai Giudei – troppo sicuri di sé nel ritenere di aver diritto alla salvezza solo per questa loro discendenza – spiegando che Dio avrebbe potuto far sorgere figli di Abramo anche dalle pietre (Mt 3, 9).

E che dire del celeberrimo episodio del “sacrificio di Isacco” immortalato nei secoli da un’infinità di dipinti di ogni scuola? Confesso che mi riesce molto difficile credere che esso sia stato espressamente richiesto da Dio per mettere alla prova Abramo. Azzardo un’ipotesi, non certo da esperta di esegesi né da teologa, ma da cattolica “bambina” che cerca di penetrare questo mistero per quanto è stato concesso da Dio alla mente umana e, se sbaglio, spero di essere corretta da chi ne sa più di me o è più avanti di me nel cammino di fede.

Abramo – uomo di fede granitica che non aveva esitato a obbedire al misterioso ordine di Dio di lasciare la sua terra per andare verso l’ignoto – sente nel suo cuore che quel Dio misterioso – nel quale, anche se “absconditus“, egli nutre una fiducia totale – gli chiede un omaggio, un sacrificio.  Ma vivendo egli in un paese in cui si pratica il culto di Moloch – al quale, per ottenerne il favore, si sacrificano i figli primogeniti – non riesce a immaginare quale altro supremo sacrificio potrebbe offrire che possa tornare gradito a quel Dio misterioso. Ma Dio – che, leggendo nel cuore e nella mente di Abramo, ha visto che quel Suo figlio è sinceramente intenzionato ad agire secondo la Sua volontà – decide di fare un passo avanti sulla via della Sua graduale Rivelazione agli esseri umani e gli ingiunge di non alzare il pugnale sul suo figliolo, facendogli comprendere che il vero Dio, a differenza dei falsi dei, non pretende i sacrifici umani, ma la disponibilità ad accogliere la Sua Parola.  A mio avviso, questa è la dimostrazione che Dio interviene sempre a sconfiggere gli idoli e a rammentare agli uomini quali sono i giusti sentieri dai quali essi tendono spesso a deviare impedendo, come in questo caso, a un padre di commettere un gesto nefando nei confronti di suo figlio. E’ necessario però avere il cuore aperto alla Sua grazia, come lo ebbe Abramo.

Non basta: veniamo a sapere della rivalità tra i gemelli Esaù e Giacobbe – alimentata, il che è ancora peggio, dalla loro madre Rebecca – per la benedizione paterna (Gn 26; 27; 28), della gelosia tra sorelle, della maledizione della sterilità. Poi c’è la descrizione di azioni terribili, come quella di Jefte, giudice d’Israele che, per sconfiggere i suoi nemici Ammoniti, disse al Signore: “Se tu mi metti nelle mani gli Ammoniti, la persona che uscirà per prima dalle porte di casa mia per venirmi incontro … sarà per il Signore e io l’offrirò in olocausto”. La sventurata persona fu proprio la figlia di Iefte che fu, pertanto, immolata senza tanti ripensamenti (Gdc 11, 30 ss)[1]. I moderni soggettisti cinematografici hanno sempre trovato nella Bibbia abbondante materia in cui inzuppare il pane.

Ma l’Antico Testamento ci descrive anche l’amore coniugale in termini commoventi: “Così Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni, tanto era il suo amore per lei” (Gn 29, 20); ci descrive l’amore fraterno di Giuseppe che non cessò di amare i suoi fratelli nonostante tutto il male che essi gli avevano fatto vendendolo come schiavo: “Giuseppe si affrettò a uscire, perché si era commosso nell’intimo alla presenza di suo fratello e sentiva il bisogno di piangere; entrò nella sua camera e pianse” (Gn 43, 30). Insomma, io credo che la Genesi sia, sotto questo aspetto, una sorta di straordinario racconto educativo che ci vuole insegnare come gli affetti familiari, fraterni, coniugali o tra genitori e figli, possono svilupparsi e consolidarsi nel corso della vita umana superando l’egoismo, la gelosia, l’invidia, i complessi di inferiorità. Teologicamente, poi, mi sembra che essa anticipi l’insegnamento della I lettera di Giovanni: “Noi amiamo, perché Egli ci ha amati per primo” (4, 19), ossia se Dio ci ha dato la vita per amore, ha voluto anche darci il buon esempio donandoci anche la capacità di amare; se Dio perdona, ha dato anche all’uomo la capacità di perdonare e di rigenerare i legami familiari che, a volte, le avversità della vita possono distruggere.

Che si può dire infatti del rapporto tra padri e figli? O tra fratelli? L’Antico Testamento, con i Libri di Samuele, ci presenta due diversi modi con i quali due padri, Saul e Davide, si relazionarono con i propri figli. Saul è un personaggio tragico che mi ha sempre ispirato una profonda pietà perché, come tanti padri moderni, fallì sia nei rapporti con Dio che nei rapporti con suo figlio Gionata. Quest’ultimo, invece, è una perfetta prefigurazione del Cristo perché amò il suo prossimo come se stesso e, superando ogni gelosia, amò come se stesso Davide, nel quale avrebbe avuto tutti i diritti di vedere, invece, colui che poteva usurpargli il trono di suo padre, come infatti avvenne. Ciò nonostante, egli amò sempre sia Davide che suo padre (che non lo aveva mai compreso, come tanto spesso accade anche oggi) e quando morì combattendo al fianco di lui, Davide proruppe nel sincero e commovente pianto di dolore fraterno che ancora ci colpisce: “Perché sono caduti gli eroi / in mezzo alla battaglia? / Gionata, per la tua morte sento dolore, / l’angoscia mi stringe per te / fratello mio Gionata! / tu mi eri molto caro; / la tua amicizia era per me preziosa / più che amore di donna”. (2 Sam 1, 25 – 26).

Anche Davide ebbe terribili delusioni dai propri figli. Se Gionata è il prototipo del figlio leale e obbediente che, pur nel suo disaccordo col padre, fu sempre leale verso di lui, non altrettanto può dirsi dei figli di Davide. Il primogenito Amnon si innamorò della sorellastra Tamar; per averla vicina si finse malato e quando la ragazza andò ad assisterlo portandogli una torta cucinata da lei, lui non esitò a violentarla, salvo poi stancarsene subito e attirarsi perciò l’odio dell’altro fratello Assalonne il quale due anni dopo, approfittando della confusione dovuta  alla festa della tosatura delle pecore, trovò l’occasione propizia per vendicare la sorella e ucciderlo (2 Sam 3, 2 – 13)[2].

Neppure Assalonne fu certo uno stinco di santo, tanto è vero che è diventato l’antesignano dei figli ribelli che congiurano contro il padre e sobillano il popolo contro di lui per impossessarsi del trono. Mentre fuggiva, nel corso del conflitto da lui scatenato (che oggi si chiamerebbe guerra civile) i suoi lunghi capelli, di cui era molto fiero, si intrecciarono nei rami di una quercia ed egli, impossibilitato a fuggire, rimase ucciso da un colpo di lancia, nonostante suo padre avesse ordinato di risparmiargli la vita (2 Sam 13 – 19).

Il disperato pianto di Davide per la morte di questo suo figliolo mi sconvolge e mi commuove: “Figlio mio! Assalonne figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io, invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!” (2 Sam 19, 1). Non sembra di sentir piangere i poveri genitori degli scervellati ragazzi morti in questi ultimi tempi nelle discoteche italiane? E’ contrario alla natura che un giovane muoia prima di chi lo ha messo al mondo e questi tragici episodi sono la dimostrazione che a volte l’amore infinito dei genitori, che non esiterebbero a dare la vita per la loro salvezza, non basta a preservare i figli da certe lusinghe che io non esito a definire diaboliche: come quella del potere ad ogni costo per Assalonne e quella dello “sballo” per i giovani del nostro tempo, per cui a noi genitori moderni spesso non rimane altro da fare che affidare ogni giorno i nostri figli alla protezione della Madre di Dio.

Ma, come spiegò il mio professore di esegesi dell’Antico Testamento, dando ai  suoi allievi abbondante materia di riflessione, l’autore biblico, narrandoci il dolore di Davide, ci rivela l’intimità del cuore di un padre e vuole prefigurarci anche il dolore del “Padre” per la morte del “Figlio”. Se un padre umano piange anche su un figlio ribelle e disobbediente, in che modo il “Padre” celeste piange su un “Figlio” obbediente che, anche dopo il Suo sacrificio, liberamente accettato per amore, continua ad essere crocifisso dai peccati degli uomini?

Saul e Davide ci illuminano e ci spiegano tante cose su ciò che può agitarsi nel segreto del cuore dei padri, così come Gionata e Assalonne ci fanno meditare su ciò che può turbare il cuore dei figli, e allora (aggiungeva il professore) possiamo comprendere meglio le parole di Malachìa che, a conclusione della Sacra Scrittura secondo i Settanta, profetizzò: “Ecco, io invierò il profeta Elia … perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri …” (Ml 3, 23 – 24).

 Infatti la descrizione dei rapporti familiari biblici che ho fatto finora sembrerebbe contraddire un po’ quello che ho scritto in premessa e cioè che la lettura della Bibbia mi edifica e mi conforta sempre. Come ci si può sentire confortati ed edificati alla lettura di tante brutture e tante nefandezze? Invece l’Autore biblico vuole farci capire  che lungo tutta la Bibbia incontriamo mariti e mogli, genitori e figli, fratelli e sorelle, deboli e peccatori, che però si sforzano di camminare con il Signore e questa constatazione non deve farci disperare sulla tenuta della famiglia nella certezza che essa, per quanto debole, sinistrata e disgregata sia, non sarà mai rinnegata da Dio che non le farà mai mancare il suo sostegno, perché essa è opera Sua.

Ma la Bibbia ci insegna anche che la famiglia non è un assoluto. Assoluto è solo Dio e la famiglia è uno strumento per giungere alla santificazione di tutti i suoi membri. Ce lo dimostrano molti altri episodi della Bibbia sui quali, Deo favente, rifletterò in futuro.

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[1] E’ stupefacente il parallelismo esistente tra questo enigmatico episodio biblico e il mito greco di Idomeneo, re di Creta il quale, per propiziarsi il dio Poseidone al ritorno dalla guerra di Troia, gli fece voto di sacrificargli il primo essere vivente che al suo arrivo gli fosse andato incontro e questo essere vivente, invece di un animale o di uno schiavo come egli sperava, fu suo figlio. La Bibbia di Gerusalemme commenta l’episodio di Iefte sottolineando che egli immolò sua figlia per non mancare al voto fatto a Jahvè, dato che i sacrifici umani furono sempre condannati in Israele (Gn 22). Tuttavia l’autore biblico riporta l’avvenimento senza alcun biasimo, anzi sembra che l’accento sia posto sulla fedeltà al voto emesso. Secondo me questi due analoghi episodi, riguardanti popoli tanto diversi tra di loro, sono l’ennesima dimostrazione dell’esistenza di un diritto naturale, comune in ogni tempo a tutte le civiltà, che considera sacra e inviolabile la parola data.

[2] Nella tradizione ebraica questo episodio indusse i rabbini a prescrivere che una ragazza non sposata non si deve mai trattenere con un uomo in uno spazio chiuso. E’ criticato l’egoismo di Amnon. Nella sinagoga è proibita la lettura di questo episodio per motivi di decoro. Cfr. Martin Bocia, Dizionario dei personaggi biblici, Ed. Piemme, 2006.

3 commenti su “Una riflessione sulla famiglia e sui rapporti familiari nella Bibbia  –  di Carla D’Agostino Ungaretti”

  1. GRAZIE CARISSIMA, ha toccato argomenti importantissimi che
    mi hanno fatto sempre pensare molto.
    Quindi stamperò il suo eccellente articolo che mi aiuterà per un
    approfondimento.
    Il Signore la ricompensi!

  2. Quando Dio scivola di lato tutto può diventare un assoluto, famiglia compresa.Ben detto, E’ incredibile come propirio al giorno d’oggi anche all’interno della famiglia si ammazzi e ci si ammazzi con grande facilità.Altro che gli antichi sacrifici umani, siamo avanzati di parecchio. La famiglia strumento di santificazione, perfetto. Come deve essere considerato tutto il resto nella vita.Questo dovrebbe essere tacitamente dimostrato con l’esempio e verbalmente esposto alle nuove generazioni secondo l’età e l’opportunità.Grazie.

  3. Ciao amici, vorrei un consiglio.se in una famiglia c è pace apparente,con tante ipocrisie, è giusto mantenere tale situazione o cercare chiarimenti x reimpostare i rapporti nella verità? E se i chiarimenti portassero a una chiusura dei rapporti? Grazie.un abbraccio in Gesu

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