Un’occasione per riflettere seriamente su eversione e repressione – di Piero Vassallo

Luigi Gagliardi propone il diario di un anarchico

di Piero Vassallo

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zdiaridiunconfinatoLe ragioni estreme, che militano a sostegno dell’assoluta libertà di parola, urtano frontalmente con le esigenze indeclinabili del potere inteso alla tranquillità nell’ordine.

L’osservatore spregiudicato (ossia non ideologico) sa che il perfetto equilibro fra le due istanze non è mai stato realizzato e – forse – non è umanamente attuabile.

Durante gli anni della democrazia liberale e poi in quelli del regime  fascista, ad esempio, le forze dell’ordine hanno represso severamente gli intellettuali, i discorsi dei quali ispiravano la violenza degli anarchici (autori, fra l’altro, dell’omicidio di Umberto I e della strage del teatro Diana).

Analogo trattamento fu riservato agli apologeti della eversione comunista, fomite delle settimane rosse e degli attentati contro il capo del legittimo governo.

Prezzo della tranquillità fu un rigore poliziesco, che, per certi aspetti, oggi è giudicato, non senza qualche motivo, eccessivo e sgradevole.

Sennonché la intransigente critica della repressione può essere osservata sotto una luce che ne ammorbidisce gli spigoli, quando si fa uscire dalle gabbie della vulgata festante la memoria dei disordini accaduti durante i tumultuosi anni dell’invasamento libertario/sessantottino,

Intorno al Sessantotto, il deprecato rigore della polizia celere di Mario Scelba (dai comunisti detta “scelere“) fu attenuato dall’albeggiante buonismo democristiano e finalmente rovesciato nella larga e “generosa” tolleranza del delirio politico o addirittura nella colpevole approvazione della chiacchiere pronunciate o stampate dai cuochi del brodo di cultura, che nutrivano gli infatuati e i violenti.

Il documento infame, che accusava di omicidio il commissario Luigi Calabresi, ad esempio, fu firmato da autorevoli e intoccabili intellettuali, contro i quali l’autorità civile non levò neppure un sussurro critico.

Il sovversivismo di parola, tollerato o addirittura propalato da democratici esitanti e da chierici incespicanti, fu il ghiotto cibo, del quale si nutrirono ed ebbero stimolo gli studenti che marinavano le lezioni per manifestare, i comunisti francofortesi, i brigatisti rossi e, ultimamente, i porno-thanatofili militanti nel partito radicale.

Il fatto è che la sicurezza nell’ordine esige una prudente limitazione della libertà di parola. La pura libertà (più propriamente detta anarchia) pretende che sia lasciato spazio anche agli oratori che calunniano l’ordine civile. Purtroppo il desiderato e ricercato equilibrio tra le opposte istanze non è stato ancora stabilito.

Ora il problema del sensato rapporto tra la giustizia ideale e lo spinoso problema della repressione della propaganda sovversiva e dell’apologia del delitto politico, è affrontato seriamente, dal professore Luigi Gagliardi, uno fra i più acuti (e inascoltati) interpreti del pensiero di quella destra ideale, che fu bestialmente liquidata dall’anti-cultura trionfante nelle teste vuote dei gaucciani.

Per spiegare le misure repressive attuate dal governo fascista, Gagliardi rammenta che negli anni Venti la minaccia comunista incombeva sull’Italia. Viclav Vorovskij, ad esempio, sollecitava l’aiuto sovietico ai comunisti italiani: “bisogna insegnare loro a lavorare come hanno lavorato i bolscevichi”. Sulla finalità dell’esemplare lavoro dei bolscevichi, Gagliardi cita un luminoso testo di Molotov: “Quanto maggiore è il numero dei rappresentanti del clero reazionario e della borghesia reazionaria che si riuscirà a fucilare, tanto meglio sarà”.

Quale misura della difficoltà causate dall’azione comunista, Gagliardi propone le vicende narrate nel diario scritto da un suo stretto parente, il medico abruzzese Francesco Ippoliti (San Benedetto dei Marsi 1865-1938) che fu divulgatore dell’ideologia anarchica-comunista e di conseguenza inquisito e perseguitato prima dalla democrazia liberale e in seguito dal regime fascista.

Poeta e fervente propagandista dell’anarchia e del comunismo, Ippoliti fu contrastato dalla polizia del regime liberale e arrestato e confinato dalla polizia del regime fascista.

Nelle pagine del diario di Ippoliti (appena pubblicate in Chieti dalla casa editrice Tabula Fati) sono rievocati i disagi sopportati dal dottor Ippoliti e dagli altri oppositori al regime, che furono inviati al confino perché colpevoli di propaganda sovversiva.

Ippoliti narra, senza uscir mai dalle righe dell’obiettività, le umiliazioni e i fastidi subiti, per brevi periodi, negli anni 1926 e 1927, nei soggiorni coatti a Pantelleria e a Lipari.

Il suo diario, tuttavia, stabilisce che i disagi degli antifascisti confinati erano diminuiti da una diaria di 10 lire al giorno, somma versata regolarmente dagli ufficiali del governo e sufficiente a pagare i pranzi serviti da una modesta trattoria. Il fastidio del confinamento, inoltre, era attenuato da una certa libertà di movimento nel territorio. In definitiva, le sofferenze dei confinati italiani non furono  paragonabili a quelle inflitte dai sovietici ai loro oppositori.

Quando si confronta con la condizione vissuta negli anni venti delle classi sociali più povere, le privazioni dei confinati si rivelano quasi sopportabili.

Legittimamente Gagliardi sostiene che le misure eccezionali attuate dal regime fascista per reprimere gli eversori di parola “erano assolutamente incomparabili con quelle che in Russia erano inflitte agli anticomunisti e al riparo della ferocia preordinata, programmata, sistematica e soprattutto prive della volontà di annullare la personalità del prevenuto”.

Al proposito Gagliardi cita un giudizio di Giancarlo Lehner, (“La verità è che la repressione fascista fu del tutto impari a quella comunista. E’ nessuno ha il diritto di continuare ad accostarle, neppure retoricamente, perché la similitudine non regge in alcun modo”) che conferma l’opinione dell’antifascista Vittorio Foa, secondo cui “il carcere fascista non aveva nulla a che vedere con le terribili disumanità degli universi concentrazionari e con i campi di sterminio che hanno umiliato e insanguinato il volto del nostro paese e  con la violenza che togliendo la parola vuole cancellare l’umanità stessa della vittima“.

In conclusione si può affermare che la revisione della storia, che Gagliardi propone, contiene un invito a riflettere sulla liceità della censura dei ragionamenti rumorosi, finalizzati alla giustificazione della violenza eversiva, che è tuttora in azione al seguito delle pacifiche bandiere dell’ecologia estrema e del malcostume militante.  

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“Diari di un confinato politico degli anni trenta”, di Francesco Ippoliti – a cura di Luigi Gagliardi, ed. Tabula Fati – pagg. 86, euro 8,00 – per acquisti on line inviare una mail a info@riscossacristiana.it . Per le modalità di pagamento, clicca qui

2 commenti su “Un’occasione per riflettere seriamente su eversione e repressione – di Piero Vassallo”

  1. La libertà di parola e di popaganda non esiste mai. Nessuno stato può permettersela. Oggi l’apologia del fascismo, di sistemi costituzionali considerati illiberlali e l’esternazione di tesi antisemite sono represse. Ciò perché gli uomini sono soggetti a farsi influenzare da altri uomini. Se essi fossero in grado di non farsi sedurre, sarebbe assurdo che si temesse la diffusione di certe idee supposte nocive.
    Quindi, in questo caso, la giustizia consiste nello stabilire quali siano le idee divulgate moralmente buone, da ammettere, e quelle cattive, da reprimere. Ebbene, oggi i regimi vigenti consentono la diffusione di una cultura immorale e infame, illudendosi di servisrsene con profitto.
    Analogamente, si può comprendere come un tempo la Chiesa perseguisse gli eretici, direttamente o mediante il braccio secolare, per il bene delle anime.

  2. piero vassallo

    caro nicola, l’ecumenismo ha emanato la nebba che governa le menti del clero progressista a volte impegnato a censurare la verità a volte inteso a cercare un compromesso con l’errore

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