QUOD ET TRADIDI VOBIS. LA TRADIZIONE VITA E GIOVINEZZA DELLA CHIESA. Presentazione del libro di Mons. Brunero Gherardini – di Don Renzo Lavatori

di Don Renzo Lavatori

 

B. GHERARDINI, “Quod et tradidi vobis”. LaTradizione vita e giovinezza della Chiesa, Casa Mariana Editrice, Frigento (AV), 2010, pp. 460.

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La seguente presentazione del volume del prof. Gherardini si sviluppa in quattro momenti: una introduzione con la spiegazione del titolo e della dedica annessa; l’esposizione in sintesi del contenuto essenziale; la prospettiva per una traiettoria sul presente e sul futuro; una breve conclusione.

1. Titolo e dedica. Come si può notare, le parole latine sono tratte da un testo paolino (1 Cor 11,23), dove l’apostolo richiama il mistero eucaristico, collegato al mistero della Chiesa, ricordando che lui trasmette ciò che a sua volta ha ricevuto. Il testo può essere avvicinato ad un altro simile, sempre nella Prima Lettera ai Corinzi: “Tradidi enim vobis in primis quod et accepi” (1 Cor 15,3), in riferimento all’evento della risurrezione di Cristo, sottolineando l’aspetto cristologico e soteriologico. Ambedue le citazione raccolgono i temi più cari al prof. Gherardini, attorno ai quali ha svolto non solo il suo lungo insegnamento ma anche la sua riflessione teologica apparsa sui numerosi volumi e articoli e di cui tutt’ora resta un infaticabile produttore. Il sottotitolo indica sia il contenuto centrale del volume (la Tradizione) sia gli elementi più significativi di essa (vita e giovinezza della Chiesa), offrendone in nuce l’intento di evidenziare della Tradizione la realtà vivente e vivificante, nonché la sua attualità perenne in pieno sviluppo all’interno dell’organismo ecclesiale, mostrandone la ricchezza di grazia e di luce per il compimento ultimo.

Non meno interessante appare l’iscrizione dedicatoria, fatta in latino con una particolare maestria sia a livello letterario-poetico sia per l’espressività sintetica eppur completa di quello che si raccoglie nel libro. Un vero capolavoro di armonia e di teologia. Ne facciamo la trascrizione latina, poi una nostra traduzione: “Quod Christus Ecclesiae / Quod et Christi praecones / Apostoli Patres / Omnesque per temporum vices / Pontifices Episcopi Scriptores / una voce tradidere / Quod summi docuere theologi / Quod fuso suo sanguine Martyres / et ipsi obsignaverunt / Quod semper Catholica tenuit / ac tenet Ecclesia /  Hoc et recepi / et rite explanandum curavi”. La traduzione: “Ciò che Cristo alla Chiesa / Ciò che gli araldi di Cristo / Apostoli Padri / e tutti attraverso le vicende dei tempi / Pontefici Vescovi Scrittori / ad una voce hanno trasmesso / Ciò che sommi teologi hanno insegnato / Ciò che i Martiri con il loro sangue effuso / anch’essi hanno suggellato / Ciò che sempre ha conservato / e conserva la Chiesa Cattolica / Questo e ho ricevuto / e ho curato di spiegare convenientemente”.

2. Il contenuto: “Di che cosa si tratta?” Gherardini prende l’avvio dall’invito di Benedetto XVI di guardare il Vaticano II con gli occhi non della rottura, ma della riforma nella continuità. Questa consiste essenzialmente nella Tradizione, tanto che una riforma che si ponesse non solo estrinsecamente, ma anche intrinsecamente in contrasto o in cambiamento con quella messa in moto dal Signore Gesù non potrebbe logicamente essere considerata in continuità con essa (pp. 29-30).  Da qui nascono gli errori e le ambiguità e le devianze. Per cui consegue la necessità di chiarire il giusto concetto di Tradizione cristiano-cattolica. A livello semantico il termine sia nella lingua greca che in quella latina e nelle moderne lingue neo-latine indica l’azione nella quale si trasmette o si comunica una verità, abbracciando contemporaneamente il senso attivo di chi trasmette e il passivo della cosa trasmessa e insieme il modo come viene trasmessa. Quando si tratta della Tradizione cristiana va detto che essa contiene la divina Rivelazione la cui sorgente risale a Dio stesso, sottolineando l’aspetto trascendente e teofanico; insieme comporta il passaggio di tale Verità di progenie in progenie in modo inalterato e completo. Si tratta di una componente  divina e umana, che non può essere dissociata né sottaciuta: l’una, quella divina, comporta l’assolutezza del contenuto, l’altra, quella umana, richiede una totale fedeltà e coerenza, in modo che non divenga un “tradimento” anziché “Tradizione”. Di fatto la Verità salvifica manifestata pienamente in Cristo, nella sua Parola e nella sua Persona, costituisce il contenuto che va accolto, conservato e trasmesso fedelmente e integralmente, senza lasciar cadere nulla né aggiungere alcunché. Ciò non significa che la Tradizione sia un appiattito e ripetitivo compito di ripiegarsi nostalgicamente sul passato, trascurando la freschezza del presente e lo slancio verso il futuro. Tutto il contrario, ribadisce Gherardini e intende dimostrarlo in tutto il percorso del volume, in modo da far vedere la mirabile connessione tra ciò che sta alle origini e che si protrae lungo la storia per condurla al suo fino ultimo in modo che la medesima linfa vitale renda viva e feconda la trasmissione attraverso le varie situazioni umane. Lo dice in modo chiaro ed elegante: “Parlo di connessione al passato, perché son convinto che senza di essa non c’è né la realtà del presente, né la speranza del futuro. Anticipo anzi che lo stesso vale, e perciò va detto, della Fede e della Chiesa. Il passato è, per l’una e per l’altra, il grande inesauribile serbatoio che alimenta l’identità cristiana del presente in ogni sua fenomenologia storica ed escatologica. Nulla è, a tale riguardo, più deleterio d’alcune evoluzioni teoretiche contemporanee, che proprio questo vitale collegamento epocale han tentato d’annullare…” (pp. 37-38). Egli si riferisce in concreto all’impostazione di G. Alberigo come anche a quella di K. Rahner, ambedue debitori rispettivamente del pensiero husserliano e heideggeriano: l’uno negatore del passato, l’altro annullatore dell’essere, privando l’uomo della metafisica. Certi influssi si risentono anche nei testi conciliari. Conclude l’illustre Autore, in riferimento al Concilio Vaticano II: “Forse sarebbe stato più opportuno considerar il moderno non nelle culture fatalmente  votate a scomparire nel postmoderno e costitutivamente inconciliabili con la verità cristiana, ma nel confronto del c.d. moderno con l’attualità sempre viva e di per sé irriformabile d’un’eredità che è oggi quello che fu ieri, al suo inizio, e che continuerà ad esser sempre così in ogni suo domani” (p. 44).

3. La prospettiva: “Dagli apostoli ad oggi, verso il domani”. Dal contesto sopra esposto segue una visione aperta e complessa della Tradizione. Essa rende i credenti stabilmente ancorati alle origini, inseriti oculatamente nella storia, protesi nell’attesa vigilante del compimento finale. In tal modo la Chiesa procede lungo il cammino degli uomini con la solidità, l’attualità, la dinamicità, in altre parole, con la vitalità perenne e luminosa, senza lasciarsi inglobare nella mutevolezze delle cose passeggere né restarne al di fuori, ma portatrice giovanile ed efficace d’incidenza e di fecondità salvifica. Gherardini ne offre una sua definizione: “La Tradizione, in quanto ‘parola trasmessa’, è la Rivelazione stessa che la Chiesa, mediante la sua predicazione iniziata, per volere del suo divin Fondatore, fin dalle origini e mai interrotta, trasmette sotto l’assistenza dello Spirito Santo come appresa dalla viva voce di Cristo e dei suoi apostoli, ai quali – ed in essi ai loro successori – Cristo l’aveva affidata perché la ritrasmettessero per tutta la durata del tempo, fedelmente ed integralmente” (p. 279). Qui sono contenute le componenti essenziali della realtà della Tradizione: la Parola definitiva, salvifica e ultima di Cristo, identificata con la sua Persona e con le opere che compie; Parola trasmessa agli apostoli e ai loro successori, quali autentici e autorevoli custodi e maestri, in modo orale e perciò sempre viva mai fissa; pertanto la Rivelazione vive e cammina con la Tradizione, come un tutt’uno attraverso la garanzia del fatto sacramentale della Successione apostolica; essa va accolta, conservata e proclamata ininterrottamente. Qui si pone il ruolo del Magistero ecclesiastico quale organo di trasmissione e di autentica, indefettibile e infallibile interpretazione; tuttavia esso deve restare saldamente ancorato alla Scrittura e alla Tradizione, tra loro strettamente correlate, per rispettare la verità della divina Rivelazione. Rimane il delicato e sottile problema di mantenere unite le due componenti per la trasmissione: da una parte l’identità costante della verità cristiana con se stessa e dall’altra l’inserimento vivo nel contesto storico, culturale, linguistico con cui si rivolge agli uomini. L’immutabilità deve perseverare pur attraverso la mutevolezza dei tempi e dei luoghi; essa non può essere sopraffatta da questi ultimi né può rimanere chiusa in se stessa e inaccessibile al cuore umano. Questo il compito complesso ma portentoso che la Chiesa deve svolgere e lo può fare se rispetta la sua struttura divina e umana, il suo radicamento in Cristo e agli apostoli, la sua docilità allo Spirito Santo, la sua fermezza nel docere, santificare, gubernare, accompagnata dalla saggezza e sensibilità pastorale. Tanto più si radica alla fonte inesauribile delle origini cristiane, tanto più incide vigorosamente nel momento attuale (pp. 309ss.).

4. Conclusione: “Né fissismo, né rivoluzione, né semplice riforma, ma sviluppo”.

Alla fine si deduce la prospettiva in cui si pone l’Autore circa l’ammodernamento della Chiesa Cattolica, che va inteso e intrapreso nel suo vero e vitale significato: “Non d’ammodernarsi la Chiesa ha bisogno, ma d’esser se stessa; la sua singolare identità di Corpo mistico e Sposa di Cristo conferisce al suo volto lo splendore d’una perenne giovinezza, senz’alcuna necessità di ‘ritocchi’ o ‘remake’ ed ammodernamenti. È se stessa quando si mostra alla ribalta della storia con il volto di Cristo, non quello modellato dalle strutture, dalle tecniche, dalle culture, e via di questo passo” (p. 327). Infatti è proprio Cristo che dona alla sua Chiesa la perenne linfa della verità e dell’amore; d’altra parte nessun corpo organicamente strutturato può sussistere e operare se non rimane avvinto al suo capo, da cui riceve energia, vita e unità. Non è la riforma innovatrice e secolaristica, continua Gherardini, che rende la Chiesa “segno e strumento di salvezza”, ma “è il costante confronto del presente con l’eredità della traditio apostolica per confermar o ricuperare l’apostolica vivendi forma; e col volto dalla medesima conferitole andar incontro al domani” (p. 327). Si vede che la Tradizione, in ragione del suo stretto legame con le origini dell’evento redentore di Gesù Cristo, vivifica e rinvigorisce il cammino lungo i secoli trasmettendogli un costante sostegno che la rende fonte di freschezza e di validità per portare gli uomini al compimento finale della conquista del Regno dei cieli, che costituisce il senso unico e sostanzioso del pellegrinaggio terreno. Ascoltiamo a conclusione le parole dirette dell’Autore: “Fissismo/fissità, dunque, rivoluzione, riforma: tre coefficienti di rottura che, procedendo su sentieri diversi, si ritrovan insieme sul medesimo traguardo: lo strangolamento della traditio apostolica. Il fissismo/fissità ne soffoca la tensione verso il domani, inchiavardandola inesorabilmente al suo ieri; la rivoluzione recide altrettanto inesorabilmente ogni suo legame fra presente e passato; la riforma le assegna una configurazione nuova, un volto nuovo ed una nuova realtà. La novità può abbagliar e dar alla testa, ma, in ultim’analisi, nasce dalla rivoluzione ed ha un solo esito: la rottura. Cioè la morte della Tradizione. Per evitarla occorre non separare mai la Tradizione dalla vita. La vita non è fissità, né rivoluzione, né rottura; è   s v i l u p p o.  E sviluppo è – ormai anche un lettore non teologo lo capisce – la Tradizione” (p. 328).

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