SCRIPTORIUM – rubrica quindicinale di Cristina Siccardi

 

Sono trascorsi 25 anni dalla morte di Don Tonino Bello (1935-1993), un prete che, come don Milani, è molto affine al sentire ideologicolsociale di Francesco, il quale si è recato ieri nella sua terra. Don Bello, del quale si è aperto nel 2007 il processo di beatificazione, è il sostenitore, come Papa Bergoglio, della «Chiesa del grembiule». Uno scherzo? Una presa in giro? No davvero, è quella Chiesa che i simpatizzanti della teologia della liberazione sognano: libera, povera, serva. In sintesi: sono i sacerdoti della strada, quelli che voltano le spalle al Crocifisso per parlare al «popolo di Dio» demagogicamente e con afflati marxisti degli emarginati.

Il noto gesuita Padre Bartolomeo Sorge, a 20 anni dalla morte di Don Bello, fece un panegirico proverbiale[1] sulla «felice intuizione» della «Chiesa del grembiule» con immancabili riferimenti al “Concilio del grembiule” e al “Papa del grembiule”. Era il 2013 e Sorge, nel criticare la Chiesa uscita dall’Editto di Costantino (perché in quell’anno si celebravano i 1700 anni, 313, oltre che il cinquantenario del Concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962, e l’elezione di Papa Francesco, 13 marzo 2013), scrisse:

«lasciamo che sia don Tonino stesso a dirci, con le sue parole, come nacque in lui questa felice intuizione della “Chiesa del grembiule”. “L’altra sera – raccontò ad Assisi nel 1989 – sono stato in San Giovanni in Laterano. C’era una grande veglia missionaria. […] mi è venuto in mente di dire alcune cose sul servizio. Ho sfilato l’amitto con le striscioline e ho detto: “Se lo rivoltiamo e ci stringiamo i fianchi, questo è un grembiule. Invece l’abbiamo messo attorno al collo. Non ce l’abbiamo più intorno ai fianchi. Il grembiule lo abbiamo perso”. Proprio così: “amitto” da “amittere”, che significa perdere. Lo abbiamo perso come grembiule e ce lo siamo messi al collo. Ma questo è uno dei parametri simbolo del nostro impegno» (Bello 2012, 112). E poi lamenta: “Le nostre Chiese, purtroppo, sono così. Riscoprono la Parola […]. Celebrano liturgie splendide […]. Quando però si tratta di rimboccarsi le maniche e di cingersi le vesti, c’è sempre un asciugatoio che manca, una brocca che è vuota e un catino che non si trova” (SMAB 6, 552). Da questa intuizione ha preso corpo il volto evangelico della «Chiesa del grembiule», quel volto che è rimasto a lungo oscurato in conseguenza dell’Editto di Costantino, che il Concilio Vaticano II ha riportato alla luce e che papa Francesco oggi incarna».

Questi demagoghi della povertà parlano di emarginati senza prendere in considerazione lo spirito di Fede, cosicché i loro metri di misura sono tutt’altri rispetto a chi, con sguardo soprannaturale e non politico, ha agito con la Grazia e concretamente, senza mai perdere di vista la Verità. Di emarginati ne sapevano qualcosa San Vincenzo de’ Paoli o San Giuseppe Benedetto Cottolengo, il quale per loro creò, nell’amore indissolubile per Cristo Re dell’Universo, addirittura una cittadella: Charitas Christi urget nos sta scritto sulla Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino. Il Cottolengo non era un prete della strada, come Don Tonino Bello o Don Luigi Ciotti, ma un sacerdote, che nella Carità per la Trinità inglobava la carità per il prossimo e nel dire Trinità diciamo il solo Dio che esista («Io Sono», Es 3,14-15: «Dio disse a Mosè: “Io sono Colui che sono!”»[2], la cui Seconda Persona si è lasciata crocifiggere per salvare ogni anima dal peccato e, quindi, anche da ogni eresia. E di molti errori dottrinali e teologici – quand’anche pastorali, visti i risultati numerici e metodologici a cui assistiamo con chiese sempre più vuote – Bartolomeo Sorge, Tonino Bello, Francesco sono responsabili.

Al «regime di cristianità» indetto con Costantino in Europa, come lo ha definito Sorge, l’autore che cosa oppone? Naturalmente il Concilio Vaticano II, perché la «Chiesa del grembiule» è una «Chiesa libera» (libera dalla Tradizione e prigioniera del mondo al quale si è aperta, incorporandolo in sé):

«Nasceva, cioè, in Occidente il regime di cristianità, quella sovrapposizione innaturale fra trono e altare, tra Chiesa e Stato, tra fede e politica che, in forme diverse e sempre più sofisticate, come quella del partito cattolico confessionale, sarebbe giunta fino ai nostri giorni, al Concilio Vaticano II. […] dopo il Concilio Vaticano II – la Chiesa non si presenta più come una “società perfetta”, dotata di un potere politico simile a quello degli Stati, chiusa entro i suoi confini territoriali, riconosciuti e garantiti dal diritto internazionale. La “Chiesa del grembiule” è invece il “popolo di Dio in cammino attraverso la storia”. È una Chiesa finalmente libera, che esce dal chiuso dei propri privilegi e delle mura del tempio per farsi presente e vicina a ogni uomo, là dove si vive e si lavora, dove si costruisce la città, si soffre e si muore. È una comunità aperta, alla quale in vario modo appartengono o sono ordinati sia i cattolici, sia i cristiani delle altre confessioni, sia tutti gli uomini che Dio vuole indistintamente salvi (cfr LG, n. 13). Questa è la “Chiesa del grembiule”, “estroversa”, come la definisce don Tonino, non autoreferenziale e ripiegata su se stessa, non più chiusa nei panni ristretti del “regime di cristianità”: “Si deve evitare la malattia spirituale della Chiesa autoreferenziale – ha detto papa Francesco –: quando lo diventa, la Chiesa si ammala. È vero che uscendo per strada, come accade a ogni uomo e a ogni donna, possono capitare degli incidenti. Però se la Chiesa rimane chiusa in se stessa, autoreferenziale, invecchia. E tra una Chiesa accidentata che esce per strada e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima» («L’elezione di Papa Francesco», in La Civiltà Cattolica, 12013 537; COSTA G., «Papa Francesco, carisma e istituzione”, in Aggiornamenti Sociali, 4 (2008) 273)».

Ad ascoltare o leggere certe cose che provengono dalla dirigenza ecclesiastica di oggi, il pensiero va a chi ha affrontato gravi errori nei secoli passati grazie all’iniziativa di pastori fedeli alla Verità Rivelata. Fra le personalità di coloro che hanno trafitto le diverse eresie che si sono manifestate lungo il corso della Storia della Chiesa, in maniera più o meno invasiva, desideriamo ricordare Sant’Ireneo di Lione (Smirne 130-Lione 202), che visse nelle adiacenze dei tempi apostolici e che fu, al tempo stesso, mirabile confutatore, nonché ironico smascheratore di inganni.

Nel prologo alle opere di Sant’Ireneo, Floro di Lione, verso l’anno 860 scriveva:

«…è necessario più che mai rimettere in efficienza le armi della Chiesa militante, trascurate per un certo periodo di pace, perché diminuendo i difensori la tirannide va infuriando tanto più aspramente quanto più è libera di farlo impunemente». Dal Concilio Vaticano II in poi le voci dissidenti sono state minime, isolate, perseguitate. Tuttavia, con il Pontificato di Benedetto XVI prima e quello di Francesco oggi non è più così e, grazie al Web in particolare, i difensori della Fede sono cresciuti, rianimando una Chiesa militante assopita in un’accidia colpevole per molti anni.

Ireneo fu Vescovo della città di Lugdunum (antico nome di Lione) dal 177, in seguito alla morte per martirio, sotto l’Imperatore Marco Aurelio, del primo Vescovo della città, San Potino, insieme ad altri 47 martiri. Fu inviato a Roma da Papa Eleuterio per dirimere questioni di ordine dottrinale. Secondo la tradizione fu martire a sua volta e venne sepolto nella chiesa di San Giovanni a Lione, più tardi chiamata di Sant’Ireneo. La sua tomba e i suoi resti saranno distrutti nel 1562 dagli Ugonotti.

Il suo pensiero e le sue opere furono direttamente influenzati da Policarpo di Smirne, a suo tempo discepolo di San Giovanni Evangelista. Da qui la sua discendenza prossima alla tradizione apostolica, a quei tempi impegnata contro il proliferare di varie eresie, in particolare lo gnosticismo, di cui Ireneo fu un grande oppositore. La sua opera principale, pervenuta interamente, è Adversus haereses (Contro le eresie): in cinque libri Ireneo confuta le principali espressioni dell’eresia gnostica. Il titolo Adversus haereses è convenzionale e riassume il titolo completo: Smascheramento e confutazione della falsa gnosi. Egli fu il primo teologo cristiano a tentare di elaborare una sintesi globale del Cristianesimo e fu il primo teologo ad utilizzare il principio della successione apostolica per combattere gli errori che imperversavano. Scrive nell’ Adversus haereses:

«La tradizione degli apostoli, manifesta in tutto quanto il mondo, si mostra in ogni Chiesa a tutti coloro che vogliono vedere la verità e noi possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli Apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi… [Gli Apostoli] vollero infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo.». Ireneo indica pertanto la rete della successione apostolica come garanzia del perseverare nella Parola del Signore e si concentra poi su quella Chiesa «somma ed antichissima ed a tutti nota» che è stata «fondata e costituita in Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo», dando rilievo, dunque, alla Tradizione della Fede, che in essa giunge fino ai nostri giorni dagli Apostoli mediante le successioni dei vescovi. Per Ireneo e per la Chiesa universale, la successione episcopale della Chiesa di Roma diviene il segno, il criterio e la garanzia della trasmissione ininterrotta della fede apostolica:

«A questa Chiesa, per la sua peculiare principalità (propter potiorem principalitatem), è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata…» (Adversus haereses, III, 3, 2: PG 7,848). Inoltre: «Con questo ordine e con questa successione è giunta fino a noi la tradizione che è nella Chiesa a partire dagli Apostoli e la predicazione della verità. E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli Apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità.» (ib., III, 3, 3: PG 7,851).

Con il pastorale Concilio Vaticano II si è avviata una rivoluzione all’interno della Chiesa di straordinarie proporzioni ormai a tutti visibile, sia da coloro che difendono la Tradizione, nella quale sta la Verità, sia da coloro che infuriano nella tirannide evocata prima da Florio di Lione, proponendoci una «Chiesa del grembiule» falsando le carte e ingannando i fedeli, in maniera tale da mutare completamente il significato, come ha fatto don Tonino Bello, del termine amitto, la veste liturgica costituita da un panno di lino bianco e rettangolare, munito di due nastri in tessuto, che viene indossato dai sacerdoti con la funzione di coprire il collo. Nelle rubriche antecedenti la Riforma liturgica, attuata sulla linea dello “spirito” del Concilio Vaticano II e liberalizzate secondo le istruzioni del Motu proprio Summorum Pontificum (2007), è prevista la recita della seguente preghiera latina, che recita: «Imponi, Signore, sul mio capo l’elmo della salvezza, per affrontare le avversioni del diavolo». L’amitto è l’amitto, il grembiule è tutt’altra cosa. La «religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio», per usare l’espressione di Paolo VI nell’allocuzione di chiusura del Vaticano II (7 dicembre 1965), utilizza il “grembiule”; «La religione del Dio che si è fatto Uomo» (Allocuzione, ibidem) usa l’AMITTO, con tutto ciò che ne consegue. Ed è questione molto seria.

[1] Cfr. Aggiornamenti sociali 6-7/2013, pp. 487-496.

[2] «Io sono» è l’autodefinizione che Gesù dà di Sé:

Gv 8,24 «“ … se infatti non crederete che Io Sono, morirete nei vostri peccati».

Gv 8,28 «Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e …».

Gv 8, 58 «Rispose loro Gesù: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono”».

Gv 13,19 «Ve lo dico fin d’ora prima che accada, perché quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono».

Gv 18,5 «Gli risposero: “Gesù, il Nazareno”. Disse loro Gesù: Io Sono. Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra.».

5 commenti su “SCRIPTORIUM – rubrica quindicinale di Cristina Siccardi”

  1. Grazie, Cristina, per le tue analisi sempre stringenti… Faccio poi sommessamente notare che l’etimologia di “amitto” (da “amittere”) è una colossale castroneria (cfr. qualunque buon dizionario etimologico italiano: Devoto o Cortelazzo-Zalli…): oltre che in teologia costui era un “minus sapiens” anche in linguistica

  2. Forse si potrebbe aggiungere che la chiesa di Don Tonino Bello, Sorge e Bergoglio ( scusate ma non riesco a chiamarlo in altro modo) è quella del grembiule ma anche della squadra e della cazzuola.
    Chi ha orecchie per intendere…
    Antonio

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