Firmate, firmate, qualcosa resterà (nella banca dati) – di Elisabetta Frezza e Roberto Dal Bosco

Dopo i nostri articoli sulla piattaforma Citizengo e sul suo importatore Luca Volonté, alcuni lettori ci scrivono per chiedere delucidazioni ulteriori, mossi dal desiderio insopprimibile di fare qualcosa.

Una lettrice, ad esempio, ci scrive:

«Anch’io sono caduta ripetutamente nella trappola e vi ringrazio per la delucidazione. Ho però un’obiezione: ho firmato pro Asia Bibi tramite CitizenGo. Ciò è giovato ad Asia Bibi? La stessa domanda è estensibile a tante delle cause promosse da (o di cui approfitta) CitizenGo. Ancora: il giovamento che ne traggono queste cause vale l’antipaticissima immorale etc strumentalizzazione dei raccoglitori di firme oppure no? Non intendo assolutamente assolvere i loschi figuri che suppongo ritratti attendibilmente dall’articolo ma solo sapere se val la pena “turarsi il naso”. Vi ringrazio se avrete il tempo di delucidarmi ulteriormente».

Cari lettori irriducibili, basta scorrere il turn-over di “firma qui” pubblicati sul sito di Citizengo per capire come non sia realisticamente possibile conseguire uno straccio di risultato concreto attraverso un semplice mucchietto di sottoscrizioni in calce a una raffica di proclami spesso surreali per altrettanti obiettivi pressoché contemporanei. E infatti le campagne lanciate sul web vengono subito inghiottite nell’oblio per lasciare spazio a un altro giro di giostra, e chi s’è visto s’è visto.

Qualche esempio concreto, copiato e incollato direttamente dal sito nella sua configurazione attuale (aggiornata al 5 dicembre 2018):

Lasciate partire Asia Bibi! (143.726 firme)

Il Campidoglio esponga la foto di Asia Bibi in segno di solidarietà (826 firme)

Non mandate in onda la serie sul “bambino transgender”! (40.748 firme)

No alla “fermata LGBT” nella metro di Milano: è un bene di tutti (3.601 firme)

Il Venezuela sta morendo: mancano le medicine di base (126.201 firme)

Chiediamo le dimissioni immediate del Commissario Europeo Oettinger (7.673 firme)

Basta Governi “tecnici”: torniamo al voto! Firma subito! (394 firme)

Vergognosa censura dei manifesti a Roma sull’aborto: io sto con CitizenGO! (16.605 firme)

Libertà di cure per Alfie Evans! (287.563 firme)

Charlie Gard ha il diritto di continuare a vivere e sperare! (61.558 firme)

Ora, decidere della politica estera del Pakistan, salvare il Venezuela, far dimettere un Commissario Europeo, evitare un premier a sovranità limitata, curare Alfie e far vivere Charlie (entrambi ammazzati da tempo, c’è anche questo particolare di pessimo gusto): se non di un – confuso, irritante – senso di onnipotenza, di che cosa si tratta? Di un caso di sindrome di Munchausen (dal nome di quel barone tedesco che si era inventato di essere stato sulla luna, e di essersi tratto in salvo dalle sabbie mobili tirandosi per i capelli)?

Qualcuno potrà dire che, però, Asia Bibi è stata salvata. Ma pensateci: sono state proprio le 143.726 firme raccolte da Citizengo a far tremare il Pakistan? Magari sommate alle 826 indirizzate al Comune di Roma? Pensateci e non fatevi prendere dall’emotività prima di rispondere.

Il fatto è che vogliono fare di noi cattolici (ancora almeno un po’ cattolici) dei polli. Da catturare, da spennare, da cucinare.

Abbiamo già spiegato, infatti, come i testi di queste petizioni adempiano a una subdola funzione rieducativa perché servono ad addomesticare le frange tendenzialmente più vivaci dell’attivismo pro-vita, suggerendo argomenti spuntati e fasulli alle loro battaglie. Fungono da sfogatoio, ma al contempo, da guinzaglio. Possiamo trovare petizioni contro il tormentone dell’utero in affitto (specchietto per le allodole democristiane votate alle inutili retroguardie), ma petizioni contro il vero mostro del nostro tempo, la madre di tutte le aberrazioni, ovvero la fecondazione in provetta, ne avete vista qualcuna? Zero. Vorrà pur dire qualcosa.

Ma oltre a questa funzione essenzialmente normalizzatrice, la macchina propagandistica permette ai suoi manovratori di lucrare in duplice direzione: in primis contatti, in subordine elemosine. Perché sono i dati, si dice, il nuovo petrolio, l’“oro blu” del XXI secolo.

Sì: l’operazione consiste nell’allevare in batteria, tramite l’arma della pseudo-indignazione da social network, migliaia di utenti che forniscano denaro e – cosa ben più importante, visto che a quest’ultimo parrebbe averci pensato l’Azerbaijan – dati.

Siamo cioè di fronte a un nuovo modello di business in cui l’utente cede dati sensibili a una sigla dall’aspetto rassicurante: cede identità, indirizzo e informazioni connesse sul proprio orientamento politico e valoriale. Più o meno lo stesso servizio dei like di Facebook, che permettono di profilare l’utente e di orientarne le scelte future con proposte mirate ad personam.

Non per nulla, il vero modello di Citizengo (cioè, degli spagnoli da cui Volontè e i suoi hanno clonato la versione italiana) è Change.org, piattaforma creata dal co-fondatore di Facebook Sean Parker (interpretato da Justin Timberlakenel nel film The Social Network). Parker – che di recente ha raccontato di essersi convinto che FB abbia nuociuto alla società – divenuto ultramiliardario dopo la calata in borsa della sua creatura, capì che c’era spazio per un altro social che profilasse le persone per qualcosa di più profondo rispetto a un semplice like (che già è tantissimo: provate a riflettere sulle offerte che vi arrivano dopo un qualsiasi apprezzamento telematico): capì, Parker, che partiti politici, ONG, fondazioni, l’altra parte del mondo legato superficialmente alle “cause” avrebbe pagato oro per collezionare nomi e indirizzi di persone interessate. Ecco come nacque Change.org, un accumulo di petizioni disparate: Stop al Cambiamento climatico! Reintroducete il volo Milano-San Francisco! etc. etc.

In una recente conferenza, un ex tecnico di Cambridge Analytica (la potente società di profilazione tramite cui – è la narrativa dei clintoniani inconsolabili – Donald Trump non avrebbe sbagliato un colpo in campagna elettorale) ha rivelato che persino i like alle case di moda avevano un peso politico nel profiling di milioni di utenti. Nel senso che se ami i jeans è facile che tu abbia simpatia per i repubblicani, se ami Kenzo è più probabile che tu voti Clinton…se hai un’auto ibrida sei democratico; se possiedi un pickup potresti voler votare Trump.

Si può ben comprendere, allora, il valore di una firma politica. È un dato fortissimo. Anzi: è la promessa di un voto.

La faccenda, nel nostro caso, ha un suo preciso riscontro storico: ricordate il trampolino dal quale Volonté mirava a lanciare i candidati in Europa tramite la fondazione Novae Terrae e la trovata del manifesto-giuramento Resettiamo l’Europa? L’arcivescovo Negri, che già aveva scritto al suo pupillo letterine amorevoli, parve mandare una sorta di benedizione. La trovata delle firme-voto era deputata a sostenere l’operazione. Ma il Signore è grande: vennero tutti trombati.

È evidente che, con la firma elettronica, l’ingerenza si fa più penetrante, anche perché circoscritta a un ambito tematico specifico, e permette di calibrare l’azione politica misurandola sul polso del potenziale elettorato (che nel contempo si cerca di suggestionare).

Se dai risultati delle petizioni, per esempio, si capisce che Xmila persone sono interessate alla sopravvivenza della tigre del Bengala e 2Xmila persone alla sopravvivenza della foca monaca, si può confezionare di conseguenza la proposta politica da rivolgere al proprio schedario elettorale. Se Xmila persone firmano per Asia Bibi e 2Xmila contro l’utero in affitto, si saprà su cosa puntare nel prossimo comizio o nella prossima manifestazione ricreativa acchiappa-voti. Intendiamoci: nessuno di chi fa queste promesse in campagna elettorale ci crede veramente, è solo che gli conviene dirle. Si è sempre ironizzato sulle promesse elettorali mai mantenute: ebbene, una volta i politici agivano per istinto e fiuto elettorale, oggi lo fanno scientificamente.

La vera posta in gioco sono i big data, che una volta catturati diventano la benzina della macchina politica azionata al servizio del tornaconto di qualcuno.

Dunque, cari lettori, tornando alla domanda iniziale, la risposta è no. Non vale la pena di turarsi il naso per farsi succhiare informazioni personali e soldi in cambio di nulla. Si tratta di una trappola, una trappola per polli.

 

 

8 commenti su “Firmate, firmate, qualcosa resterà (nella banca dati) – di Elisabetta Frezza e Roberto Dal Bosco”

  1. Sono uno di quei “polli” che ha firmato alcune “petizioni” scartandone altre. Avevo sentore che dietro ci fosse qualche altro scopo ed è per questo che non ho mandato soldi (bisognerebbe essere una banca per accontentare tutti quelli che ne chiedono). Quindici giorni fa stavo preparando il testo di una petizione da promuovere per capire, dall’accoglimento o dal rifiuto, quale sia il loro orientamento di fondo. L’oggetto era il seguente: finanziaria incombente e risorse mancanti, perché non obbligare tutti coloro che hanno comportamenti contro-natura (0mo,trans ,assuntori di droghe, frequentatori di prostitute) a stipulare una assicurazione per sgravare il SSN dalla spesa annuale per curare i 160 mila malati di AIDS, i 120 mila infetti da HIV e gli 80 mila contagiati in sala operatoria (da innocenti e dunque giustamente indennizzati) aggirantesi tra 10 e 12 MLD annui come siamo stati obbligati con la RCA? Mi sono fermato per incapacità tecnica. Lo farò a breve.

  2. Siamo superschedati ormai, manca solo il microchip…. comunque illudersi che non siamo schedati se nn firmiamo … serve a nulla, il telefonino, questo commento, la tessera sanitaria, ecc.finiscono su un megacervello elettronico…..americano.Se uno pronuncia certe parole chiave , avviene un immediato riscontro, si parla di controllo mentale e incidenti a distanza, manipolazione climatica ed altro…Ignoro se sono andati sulla luna ma certo ci controllano coi satelliti mentre passeggiamo (il navigatore fotografa le strade! che poi le ripuliscano di persone…cambia poco, ci vedono, ci sentono, ci spingono a …). Aprire un conto in banca equivale ad essere schedati in America, si firma un modulo (vero!)….. non serve quindi evitare una firma se fosse che servisse a rompere almeno…. L aziende di pubblicità telefonica comunque stano fallendo: ottimo segno.

  3. Claudia Lucchesi

    Grazie dell’ulteriore convincente e oltremodo interessante delucidazione. Ma, suvvia, non mi/ci definisca “irriducibili” per averla richiesta. Cordialmente vi ringrazio ancora, Claudia

  4. A questo punto mi sorge spontaneo chiedere informazioni anche sulle attività di TFP e affiliati, visto che il modus operandi è il medesimo.
    Grazie

  5. Io credo che purtroppo molto spesso il livello di consapevolezza di persone veramente valide come Dal Bosco o Frezza, si ritrova assolutamente sfasato rispetto a quello della maggior parte
    dei “cittadini” democratizzati più o meno cattolici. Quando intere generazioni si convincono che per esercitare il potere decisionale sulla propria vita, sul destino collettivo, basta mettere una croce a matita su un pezzo di carta, è ovvio che siamo su due piani differenti di percezione della realtà.
    Voi cari Dal Bosco e Frezza vi rivolgete a gente che in massima parte è stata “democratizzata” con successo, volete convincerli dell’inutilità di mettere i propri dati alla berlina
    su una petizione on-line, quando questi restano convinti che basti esprimere democraticamente il proprio voto per essere titolari del “potere del popolo” ?
    Opera meritoria assai, ma probabilmente vana… pure se smettono di credere a Babbo Natale ma sono convinti di poter volare come Peter Pan…. credete che smetteranno
    di precipitare, quando “spiccano il volo” ? La realtà ai più non interessa.

  6. Siamo già ultraschedati come dice Angela e almeno lasciateci dare.anche una.minima spinta a tener vivi, se non certo risolti, tanti temi che stanno a cuore a.noi.e voi, come anti gender, deviata educazione giovani.etc.

    Almeno in rete si ripropone un’attenzione che giornali e.media avversano con.la loro potenza economica.

    Complimenti a Bruno e alla sua idea meritoria per una campagna che io firmerò. Grazie comunque per.quel che fate

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