Mario Palmaro e le mimose rispedite al mittente – di Elisabetta Frezza

Mi perdonerà, Mario, se nel quinto anniversario della sua morte lo ricordo con una nota un po’ frivola, ma forse tale solo in apparenza. Mi perdonerà, sì, perché la sagacia di spirito era talmente parte di lui da non abbandonarlo nemmeno nei giorni più aspri della malattia. E la memoria che custodisco più vivida e cara è legata proprio all’immancabile tocco della sua istintiva ironia, mandata a lenire ogni nota dolente con la leggerezza permessa solo a chi guarda alle cose col distacco del giusto.

È che mentre ripensavo alle chiacchierate d’un tempo, ieri che era l’8 di marzo, il telefono – protesi non più rinunciabile dell’homo huius aetatis – mi lampeggiava sotto il naso senza soluzione di continuità infliggendomi quintali di mimose virtuali con annessi messaggi d’auguri. E allora mi viene spontanea una crasi, e rievoco l’idem sentire con un amico, maschio, che al pari di me, femmina, riteneva la “festa della donna” una vera sciagura.

Basti pensare che la mitologia femminista ha legato la genesi di questa celebrazione al falso storico di un presunto incendio doloso appiccato per odio capitalista a una fabbrica piena di operaie al lavoro, mentre, in realtà, la ricorrenza fu nient’altro che una simpatica trovata di Lenin per animare la Terza Internazionale Comunista. Già questo basterebbe a tarare la carica di demenza che sprizza dall’8 marzo, pennellato senza pudore da una mano di menzogna pur di conquistare all’ideologia, con la suggestione dell’eterno piagnisteo vittimista, l’egemonia sull’intero “pianeta-donna” e, di rimbalzo, sul devastato “pianeta-uomo” ridotto a parodia di se stesso dopo decenni di martellate inferte alla virilità, alla paternità, all’autorità.

Il dramma è che ce l’hanno fatta. Cioè un manipolo di squinternate, frustrate e incattivite con la vita, che in nome dei loro “diritti sessuali e riproduttivi” ha dichiarato guerra al maschio e alla maternità e vuole inondare il mondo di contraccettivi e pompe da bicicletta, ha abbindolato un popolo intero, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, condizioni personali e sociali, reclutato in massa a spensieratamente montare una immensa sceneggiata beota. I sinistri, come sempre, sono riusciti a mettere in moto a proprio esclusivo vantaggio la carovana inarrestabile del circo collettivo, che una volta partita si autoalimenta e non si ferma più grazie alla benzina dell’emulazione compulsiva.

Scriveva Mario: «Grazie ad un abile uso dei mass media, le lobby femministe sono riuscite a diffondere nell’opinione pubblica una falsa identificazione tra femminismo e donna; con il risultato che oggi chi critica il pensiero femminista viene bollato come nemico delle donne. Si tratta di un tipico “scacco matto” della ragione, simile alla retorica dell’antifascismo, che atrofizza la discussione vera e sostituisce la verità con i luoghi comuni. Per cui molti uomini pensano nel segreto della loro coscienza ogni male del femminismo, ma preferiscono tacere per non apparire degli anacronistici nemici delle donne».

E allora giù con raffiche di auguri, con le montagne di mimose, con smancerie assortite private ormai irrimediabilmente di ogni copertura del pensiero in atrofia.

Epperò non ci rendiamo conto che stiamo nutrendo un mostro: un marchingegno psicomediatico tutto orientato a convincere le nuove generazioni che le donne devono essere da un lato la scimmiottatura dei maschi, ad essi fungibili, dall’altro una specie protetta per definizione vittima di uomini (bianchi) carnefici seriali, da evirare e mettere a cuccia. Per la gioia delle compagne Boldrini e Cirinnà.

Diceva Mario che «il femminismo alimenta uno spirito di rivalsa e di competizione nei confronti dell’uomo, che viene visto come un nemico»; e per converso «ha svolto un ruolo determinante – per altro funzionale alla società dei consumi – per strappare la donna dal suo ruolo di moglie e di madre. Oggi, dedicarsi a questa vocazione significa imboccare una strada controcorrente, che non gode più di un riconoscimento morale da parte della società». E infatti la donna, per apparire realizzata agli occhi del resto del mondo, deve persuadere se stessa di poter essere felice soltanto se non fa cose da femmina. E guardarsi bene dal farle.

Resta solo da capire come si collochi oggi, nella fantasmagorica era del gender ovvero della ossimorica “identità fluida”, una festa che presuppone l’attribuzione di un sesso al festeggiato. Ma come abbiamo detto, il bastimento dell’8 marzo viaggia ormai con a bordo tutti quanti, consapevoli e no, ed è troppo difficile arrestarlo a pieno carico. In attesa comunque che i diversamente sessuati presentino le proprie legittime rimostranze – discriminazione! discriminazione! – invochiamo il “diritto”, per un giorno soltanto, di percepirci convintamente maschi. Semel in anno.

Sono certa dell’approvazione di Mario, la pensavamo uguale. Mimose al mittente.

 

 

 

4 commenti su “Mario Palmaro e le mimose rispedite al mittente – di Elisabetta Frezza”

  1. Grandissima, Dottoressa Frezza! Dritto dritto dalla mia pancia di essere dotato ancora di sesso, maschile! Mimose al mittente!

  2. Grazie dell’articolo! Volevo segnalare questo testo di Gianni Rodari, che ho sentito alla fine di un TG della Rai, l’8 marzo:

    Perchè la mia mamma deve andare a lavorare tutti i giorni, invece di restare a casa come piacerebbe a me e ai miei fratellini?
    Ho un po’ idea che ti piacerebbe tanto se la mamma restasse sempre a casa a fare la domestica a te e ai tuoi fratellini, a lucidare le vostre scarpine, a lavare i vostri fazzolettini, e tanti altri eccetera, ecceterini.
    Non so che lavoro faccia la tua mamma, ma sarà certo un lavoro utile: utile a voi per i soldi che può guadagnare) e utile a tutta la società. E voi dovreste ammirarla ancora di più, non soltanto perchè è la vostra mamma, ma perchè è una donna che lavora: una donna importante e brava.
    Le scarpe le potete lucidare da soli, i fazzoletti li potete dare alla lavandaia, poi vi potete mettere alla finestra ad aspettare che la vostra mamma torni per domandarle: “Che cos’hai fatto oggi? Parlaci del tuo lavoro e insegnaci a diventare bravi come te.”
    (Il libro dei perchè)

  3. Non intendo esprimere giudizi sulle persone; solo una constazione, dopo aver letto i massmedia, anche cattolici e diocesani. Ieri si è ricordata la Donna nella festa che le si dedica ogni anno, ma non ho ben compreso: le si fa violenza ogni giorno, la si espropria della ricchezza più grande: la maternità, le si comprano ovuli e utero, la si sostituisce con due papà (o mamme), si fa abortire la vita del suo grembo gratuitamente anziché donargli risorse… Non c’è uomo che non abbia avuto bisogno della mamma! Perfino Dio ne ha avuto bisogno! Ma ieri i Maschi offrivano mimosa e uguaglianza (che non è pari dignità e diritti!), i Preti offrivano il diaconato, diversi Vescovi che si ritengono “i più coraggiosi” volevano offrire il sacerdozio…. Non c’era proprio altro a cui pensare? Non capisco…

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