A 72 anni dal supremo sacrificio. Ricordo di Giovanni Gentile  –  di Lino Di Stefano

di Lino Di Stefano

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zzzzgvnngntlIl 15 aprile 1944, un gruppo di partigiani, capitanati da Bruno Fanciullacci, trucidava, a Firenze, per ragioni politiche, il più grande filosofo italiano del XX secolo, illudendosi di ucciderne il pensiero, mentre essi non avevano fatto altro che sopprimere soltanto l’uomo; persona, tra l’altro, generosa, magnanima e liberale, come risulta da tutti i suoi atti e dall’intero ‘corpus’ dei suoi scritti che assommano a 55 volumi, senza contare i Carteggi e la mole degli inediti – giacenti presso la ‘Fondazione Gentile per gli Studi filosofici –  ammontanti a 35.000.

Nato a Castelvetrano (Trapani) nel 1875, dopo i severi studi alla Scuola Normale Superiore di Pisa, il futuro grande pensatore esordì come insegnante medio prima nel Liceo classico ‘M. Pagano’ di Campobasso (1899) e, l’anno dopo, nel Liceo classico ‘V. Emanuele’ di Napoli per poi approdare per concorso all’Università di Palermo e all’Ateneo di Pisa. Nel 1917, fu chiamato all’Università di Roma chiudendo la prestigiosa carriera accademica nelle vesti di Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa.

I menzionati sono solo alcuni tratti del rilevante ‘cursus honorum’ del filosofo, costellato, come si è accennato, da una mole di opere non solo di carattere speculativo, ma anche di ordine storico e letterario, senza contare le traduzioni, la più famosa delle quali rimane la celebre versione della ‘Critica della Ragion pura’ di Kant. Ingegno precoce, Gentile, nel 1899, redasse il famoso volume ‘La filosofia di Marx’, libro lodato non solo da Benedetto Croce – “Avete riempito un vuoto col vostro studio della filosofia della praxis” – ma apprezzato anche da Lenin che lo additò, son sue parole, tra “gli studi più notevoli che intorno a Marx avessero compiuti filosofi non marxisti”.

Le maggiori opere teoretiche del filosofo siciliano sono note, ma, all’occorrenza, intendiamo menzionarne solo alcune come, ad esempio, ‘Sommario di pedagogia come scienza filosofica’ (1912), ‘La riforma della dialettica hegeliana’ (1913), ‘Teoria generale dello spirito come atto puro’ (1916), ‘Sistema di logica come teoria del conoscere’ (1917-1922), ‘Genesi e struttura della società’ (1943), pubblicata postuma, e numerose altre.

Riallacciandosi all’idealismo classico tedesco, segnatamente quello di Hegel, il filosofo di Castelvetrano incentra il proprio pensiero sull’ ‘atto del pensare’, o ‘atto puro’, il quale è assolutamente nostro, o assolutamente attuale, proprio perché nostro; da qui, la definizione di attualismo che egli ascrive alla propria posizione teoretica vista la centralità che l’Io trascendentale assume nell’ambito di un sistema in cui l’io empirico, ossia l’individuo, non svanisce, ma attua la sua libertà.

Esso, infatti, non solo non scompare, ma, al contrario, gioca un ruolo importante perché si riconosce come componente consapevole di una realtà sociale la quale costituisce la sua società, il suo mondo più vero; pertanto, i soggetti, cioè i cittadini, riuniti in un sistema organico, formano un popolo, in definitiva, lo Stato. Complesso, quest’ultimo, confluente in quella nuova forma di civiltà definita, dal filosofo, con indovinata espressione, ‘Umanesimo del lavoro’.

zzzzfncllccQuest’ultimo, supera, per un verso, la vecchia civiltà umanistico-rinascimentale, e postula, per l’altro – sotto la spinta della tecnica e della grande industria – l’avvento di una nuova comunità, proiettata verso il futuro, mediante la ricerca, inoltre, di nuove sorgenti di sapere di ordine scientifico. Tali capisaldi, di carattere avveniristico – racchiusi nel libro-testamento di Gentile, ‘Genesi e struttura della società’, edito postumo nel 1946, come abbiamo accennato – rappresenta anche la risposta più adeguata ed esauriente a quei critici che hanno inteso vedere, e continuano a vedere, nell’impalcatura gentiliana soltanto misticismo, solipsismo e carenza di sensibilità sociale. Laddove la verità è un’altra e vale a dire con la figura dell’individuo, membro di una struttura nel cui seno lavora e produce in misura delle proprie possibilità  qualitative e quantitative; egli, infatti, in tale ‘novus ordo’ socio-economico realizza, nell’atto dell’autocoscienza, la comunità in quanto la contiene e non viceversa.

In questa maniera, il pensatore si sbarazza sia della visione individualistica del liberalismo  – teorizzante il valore irriducibile degli individui rispetto alla società e allo Stato – sia, ancora, della concezione del comunismo che stritola i soggetti nelle maglie dello Stato burocratico accentratore non lasciando loro alcuna libertà operativa. Ed eccoci al cospetto della ‘società trascendentale’, o ‘in interiore homine’, o universale, nel cui ambito l’uomo, diventato ‘socius’, entra in relazione col suo simile, o ‘alter’, e realizza la vita  comunitaria.

Vita squisitamente spirituale perché costituita da interazioni che affratellano le persone in un clima di schietto sapore cristiano in quanto nell’ ‘amor socialis’ vengono appagate le migliori istanze dello spirito del Cristianesimo col prossimo, che diventa tutt’uno col suo confratello. In ultima, istanza, solo nell’atto della solidarietà con l’altro l’uomo riesce a parlare, a collaborare e, infine, ad unirsi col suo simile in una vita spirituale comune.

Chi pensa, in conclusione, che l’attualismo sia una filosofia astratta ed anacronistica, trova nel capolavoro gentiliano, ‘Genesi e struttura della società’ le risposte più esaustive alle autentiche esigenze dell’uomo contemporaneo, considerati i pravi tempi che stiamo vivendo; tempi, per dirla con un altro eminente filosofo, “di povertà estrema” e basti guardarsi intorno per averne contezza.

In questa nuova dimensione sociale, l’individuo diventato ‘socius’ celebra la propria libertà in una sfera politico-economica avente come fondamento il lavoro; attività carica di nuove valenze spirituali visto che essa, una volta al centro della nuova visione del mondo, rende l’uomo arbitro indiscusso del suo destino. Da qui la rivalutazione gentiliana del lavoro concepito in tutti i suoi aspetti, in particolare intellettuali e manuali.

Sicché, in conclusione, per il pensatore, contadini, artigiani, operai fino al più umile prestatore d’opera, nonché artisti, scienziati, filosofi e uomini di cultura in genere, collaborano in armonia per un solo ed unico scopo, l’affermazione, cioè, di una nuova civiltà che è essenzialmente ‘civiltà del lavoro’.

2 commenti su “A 72 anni dal supremo sacrificio. Ricordo di Giovanni Gentile  –  di Lino Di Stefano”

  1. Avvincente la nota dell’amico Lino Di Stefano. Credo che l’attribuzione (di Pio XII) a Gesù Cristo del titolo di lavoratore indirizzi e aiuti a esplorare l’orizzonte cristiano della tesi di Giovanni Gentile sulla civiltà del lavoro.

  2. Vale la pena aggiungere che l’assassino è stato decorato già nel ’44, alla memoria, con medaglia d’oro al valor militare con le motivazioni consultabili sul sito della Presidenza della Repubblica.
    Gli sono intestate anche una via, a Pontassieve (FI) ed uno slargo a Firenze.

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