di Piero Vassallo
I coatti sostenitori dell’avvocato Giuliano Pisapia hanno festeggiato l’ascesa al potere lanciando un minaccioso avvertimento all’indirizzo dell’ex assessore alla sicurezza De Corato, eccellente oggetto del desiderio di colpire i nemici del popolo.
Per procurare mistica delizia all’arcivescovo progressista e agli altri elettori clericali dell’avvocato sessantottino, domenica gli arcobalenanti e urlanti frequentatori dei centri sociali hanno interrotto la celebrazione di una Santa Messa.
Infine i frenetici contestatori, forse nell’intento di gratificare gli antiberlusconiani Enrico Mentana e Gad Lerner, hanno minacciato d’inscenare disordini ove la rassegna dello Stato di Israele si svolga, come da tempo è annunciato, nella musulmana piazza del Duomo.
Le tre iniziative sono intitolate ai feticci della nuova sinistra: l’avversione alla tranquillità nell’ordine, l’ateismo e il sostegno all’immigrazione islamica.
Chi è causa del suo mal pianga se stesso, recitava un proverbio, quando la circolazione della saggezza popolare non era contestata dal giovanilismo e quando il pianto degli autolesionisti era oggetto di sana derisione.
Se non che il boomerang anarchico, che, insieme con i difensori dell’ordine pubblico, colpisce gli elettori cattolici ed ebrei di Pisapia, è il segnale di una minaccia incombente su tutta la società milanese: fischia un vento minaccioso, sulle cui ali malsane vola la giustizia amministrata dalla folla in delirio.
Che non sia lecito sottovalutare le minacce dei centri sociali gli italiani lo avevano capito nel 2001, quando Genova, sede del G8 (un incontro disapprovato dagli anarchici) fu messa a ferro e fuoco da bande di delinquenti drogati e mascherati.
Che la violenza dei centri sociali si rovesci sui volenterosi sostenitori della loro parte politica è l’inedita lezione, che i milanesi imparano in questi giorni.
La verità è che anarchia significa negazione del qualunque principio, ossia dittatura del vuoto mentale. L’anarchismo è guerra alla fede e guerra alla ragione. Una guerra che si rovescia sempre nella violenza sanguinaria.
I timori destati dalle imprese dei centri sociali è accresciuto dalla vista della confusione che avvolge la sinistra postcomunista.
Quello che si definì partito dei lavoratori è infatti frantumato in un’oziosa costellazione di sette, ordinate secondo una gerarchia di consensi in rapido allontanamento dalla ragione.
Il consenso più debole tocca agli esponenti della minoranza (Bassanini, Renzi) che aspirano a percorre la difficile e contrastata via del realismo.
Al centro si colloca il truppone di Bersani, tenuto sotto schiaffo da passionarie deraglianti e raglianti sotto l’effetto tossico della teologia progressista e del furore anti-berlusconiano.
A sinistra si colloca il partito neo-giacobino fondato dal titillatore di manette Antonio Di Pietro, un Saint-Just di borgata.
Dall’estrema sinistra irrompe il partito dell’effervescenza nichilista, costituito da contemplatori e adoratori di un sinistro quadrilatero di disvalori: sodomia, droga, aborto ed eutanasia.
Il disordine genera il disordine. All’orizzonte si profila una triste ripetizione degli anni di piombo. La punizione inflitta a Letizia Moratti sta per rovesciarsi sui punitori di sinistra e di destra.