A PROPOSITO DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA – di P. Giovanni Cavalcoli, OP

di P.Giovanni Cavalcoli,OP

 


Il recente attentato terroristico ad Alessandria d’Egitto contro i cristiani ripropone drammaticamente ed urgentemente il problema della libertà religiosa. E non a caso il Papa più volte in questi ultimi mesi è tornato su questo tema importantissimo, anche in occasione di altri fenomeni di persecuzione anticristiana soprattutto in paesi islamici.

Come è noto, il Concilio Vaticano II ha dedicato un apposito documento sul diritto alla libertà religiosa (“Dignitatis humanae”) definendo che “tale libertà consiste in questo, che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza, né sia impedito entro debiti limiti di agire in conformità alla sua coscienza privatamente o pubblicamente, in forma attentatoindividuale o associata” (n.2). Questo diritto – continua il Concilio – “si fonda sulla stessa dignità della persona umana, quale si conosce sia per mezzo della Parola di Dio rivelata, sia tramite la stessa ragione” (ibid.). E più avanti: “Questo diritto affonda le radici nella rivelazione divina” (n.9).

Dopodichè il documento presenta Cristo stesso come modello di persona rispettosa di questo diritto nel suo modo di proporre il Vangelo, modo che appunto fa appello alla coscienza, alla libera volontà di ciascuno, avvertendo certamente delle conseguenze che attendono chi si ribella al Vangelo, ma senza mai ricorrere a inopportune pressioni o furbeschi artifici o seducenti inganni o indegni allettamenti o a terrorizzanti costrizioni o violenze o a falsi miracoli o a propagandistici invenzioni o ampliamenti o esagerazioni e senza mai far leva su basse passioni per far accettare agli uomini la Parola di Dio, ma sempre argomentando, cercando di persuadere con onestà e limpidezza, mostrando la stupenda bellezza dell’ideale evangelico e dando prova di un supremo amore, senza nascondere i necessari sacrifici per raggiungere il Regno di Dio.

Parlando di “coscienza” il Concilio fa evidentemente riferimento non ad una capricciosa coscienza soggettiva, sorgente assoluta del bene e del male, come purtroppo è stata teorizzata da false filosofie e da eretici di ogni specie per avere la scusa di sottrarsi ai doveri dell’obbedienza ed al vincolo proveniente dalla verità oggettiva, ma di quella retta coscienza della quale tante volte parla la Sacra Scrittura, come voce di Dio presente nell’anima, conoscenza della legge morale naturale e luogo interiore nel quale dobbiamo rispondere direttamente a Dio del nostro operato, quale che sia il giudizio che gli uomini, compresa la stessa autorità ecclesiastica, possano dare di esso (At 23,1; 24,16; Rm 2,15; 9,1;10,2; 13,5; II Cor 1,12; 4,2; 5,11; I Tm 1,5.19;3,9; II Tm 1,3; Eb 13,18; I Pt 3,16.21).

Certamente la coscienza umana può sbagliare in buona fede, senza rendersene conto, senza cattiva volontà; essa quindi va all’occasione corretta, purificata e sempre istruita; essa non è il fondamento della legge, ma deve obbedire alla legge; e tuttavia in fin dei conti essa resta il momento decisivo del nostro agire, proprio per questa presenza interiore della legge morale che ci ordina che cosa fare e che cosa non fare.

E sta a lei, dopo l’atto compiuto, dirci se abbiamo fatto bene o male. Essa allora rispettivamente ci loda o ci rimprovera. E guai a chi non ascolta i richiami della propria coscienza o cerca di soffocarli!Niente di più bello che la pace della coscienza netta e niente di più angustiante e tormentoso, vergognoso ed umiliante che i rimproveri della coscienza o lo stato di una coscienza colpevole.

Ebbene, oggi più che mai tutti i paesi civili e rispettosi della dignità umana, soprattutto a partire dall’illuminismo, hanno ormai nelle loro carte costituzionali il rispetto da parte dello Stato della libertà di coscienza dei cittadini, ovviamente salve le esigenze oggettive e gravi del buon costume, del bene comune e dell’ordine pubblico, nel rispetto dei diritti di tutti, soprattutto dei più deboli ed indifesi o, come si dice spesso, delle “minoranze”.

E il Concilio Vaticano II ha sancito con la sua autorità infallibile (richiamo alla stessa rivelazione divina!) questo sacrosanto diritto, presidio della giustizia, della pace e della concordia nella libertà non solo per la coesistenza dei fedeli delle varie religioni, ma anche per la sicurezza e il buon ordine degli Stati e della Comunità internazionale.

Questo riconoscimento della libertà religiosa da parte della Chiesa è un’acquisizione relativamente recente, sotto la spinta del fermento evangelico, dopo lunghi secoli nei quali – lo riconosce lo stesso Concilio – “attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si è avuto un comportamento meno conforme allo spirito evangelico, anzi contrario” (n.12).

Un atteggiamento in qualche modo oppressivo del passato da parte dell’autorità ecclesiastica e civile ad un tempo con conseguente mancanza di rispetto delle coscienze si è potuto avere per un’attenzione non del tutto equa al principio in sé verissimo per ogni cattolico del primato del cattolicesimo su tutte le altre religioni e quindi del fatto che tutte le genti sono chiamate ad entrare nella Chiesa cattolica – almeno implicitamente – pena la loro eterna dannazione, come già definì nel sec.XV il Concilio di Firenze. Tuttavia l’insufficiente interpretazione e pratica del detto principio portò poteri politici e religiosi del passato ad imporre un ordine religioso esteriore senza curare in modo sufficiente la libertà e la dignità delle coscienze.

La cosa che oggi è venuta in chiaro è che il diritto alla libertà religiosa è un diritto naturale ed universale dell’uomo, fondato sulla ragione naturale e che quindi dev’essere recepito dal potere statale, in quanto compito dello Stato è appunto il riconoscimento dei diritti umani e delle finalità naturali e razionali della vita associata, stando invece alle chiese ed alle comunità religiose determinare i contenuti di eventuali dottrine considerate come soprannaturali o rivelazione divina, campo nel quale lo Stato non ha né la competenza nè l’autorità di intervenire.

Una grave offesa alla libertà religiosa nell’epoca moderna è venuta invece e viene dagli Stati totalitari, ossia quegli Stati i quali pretendono di dettar legge alla coscienza religiosa dei cittadini o per comandare o per proibire. Nel secolo scorso abbiamo avuto per esempio gli Stati comunisti, oggi abbiamo per esempio gli Stati islamici. E non vale per questi ultimi il fatto che si dichiarino religiosi, mentre quelli comunisti, come è noto, si dichiaravano atei. Ma la violenza sulle coscienze è molto simile.

L’auspicio che noi formuliamo è che anche la civiltà islamica, la quale pure nella sua lunga storia registra indubbiamente tanti fatti e tante cose che le fanno onore in vari campi della vita e della cultura, voglia decidersi per un sincero riconoscimento di questo diritto fondamentale dell’uomo, che non nuoce per nulla a quanto di vero e di buono è contenuto nel Corano, mentre l’ostinarsi nella persecuzione delle altre religioni e l’abitudine sistematica ad ottenere fedeli con la forza, guasta quei valori e, benchè la storia dell’Islam sia antica di quattordici secoli, nel clima moderno del rispetto inarrestabile ed irrinunciabile di questo diritto, provocherà forse entro brevi termini la dissoluzione dello steso sistema islamico, come è avvenuto per il comunismo, salvo un ripensamento che conduca gli islamici di buona volontà alla sincera e convinta adesione a questo fondamentale diritto dell’uomo.

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