ALFIE EVANS: PARLA UN PROFESSIONISTA SANITARIO – di Cristiano Lugli

Lo strazio che ha accompagnato questi giorni non è spiegabile a parole. Mai come ora ci si sente inermi, completamente impotenti davanti ad una situazione che pare essere giunta al suo più abominevole epilogo. L’esigenza di dormire diventa solo un lontano ricordo, con il pensiero, la mente ed il cuore che vagano cercando di capire cosa possa essere ancora possibile fare per il piccolo Alfie e per la sua famiglia.

Nel cuore della serata di ieri, a poche ore dall’esecuzione di Alfie, ho deciso di contattare un professionista sanitario di mia conoscenza, che non sentivo da un po’ di tempo: gli ho chiesto se fosse a conoscenza del caso e se, eventualmente, potesse fornirmi qualche informazione tecnica. La Provvidenza ha fatto sì che trovassi terreno assolutamente fertile e grande disponibilità, anche se questa persona mi ha chiesto di rimanere nell’anonimato. Ha lavorato per diverso tempo in rianimazione, occupandosi di bambini intubati e pazienti tracheostomizzati. Ora esercita in un altro reparto, nel quale però è sempre a stretto contatto con persone compromesse gravemente, anche dal punto di vista celebrale.

Ho potuto così rivolgergli qualche domanda, e devo dire che le informazioni raccolte sono davvero agghiaccianti. Peraltro provengono da chi non ha alcun interesse ad affrontare il tema sotto una proiezione religiosa, ma solo medico-scientifica e, tutt’al più, etica.

Credo sia dunque importante, come ultimo grido, rendere note a tutti le mancanze e le negligenze di cui si è reso responsabile l’Alder Hey Children’s Hospital e che i giudici inglesi hanno avallato.

Lei lavora in un ospedale, e spesso è stata a contatto con dei bambini gravemente compromessi. Come valuta questo caso riguardante Alfie Evans e soprattutto l’impossibilità che possa essere trasportato in un ospedale come il Bambin Gesù di Roma o il Gaslini di Genova, resisi disponibili ad accoglierlo e a trasportarlo in Italia?

Devo dire che questa vicenda mi ha assolutamente colpito, e il primo motivo è proprio legato a quanto lei mi chiede: quando si stende un programma terapeutico, solitamente tutto viene valutato attraverso la visione del cosiddetto “rischio-beneficio”. Ora, è curioso notare come l’ospedale di Liverpool che ha in cura il bambino si sia preoccupato del problema convulsioni a cui il paziente potrebbe andare incontro viaggiando verso l’Italia. Questa preoccupazione sarebbe stata ragionevole nel caso in cui l’ospedale avesse deciso di continuare a prendersi cura del bambino lì. Se però il prospetto è quello di accompagnarlo alla morte, non si vede la ragione e la necessità di questa obiezione fondata sul rischio eventuale. L’ospedale inglese non riserva nessun beneficio per il bambino che possa esser superiore al rischio, perché insieme ai giudici ha già deciso che al bambino saranno staccati i supporti.

Come forse saprà, non solo hanno negato la possibilità alla famiglia di poter trasferire il bambino in un ospedale pediatrico italiano, ma hanno totalmente negato ai genitori di poter uscire dall’ospedale con il bambino.

Anche in questo caso le decisioni non sembrano affatto fondate sulla ragionevolezza e su una corretta applicazione dei protocolli. Anzitutto perché era stata garantita l’assistenza di specialisti per qualsiasi tipo di viaggio; in secondo luogo perché, come accade anche in Italia, esiste l’ospedalizzazione domiciliare in cui la struttura sanitaria deve garantire l’assistenza del paziente presso il domicilio dello stesso. Questo succede, ad esempio, con i malati terminali: la famiglia o il malato stesso possono scegliere di rimanere o di essere trasferiti a casa, dove saranno accompagnati attraverso le cure palliative. E si badi bene che stiamo parlando di malati terminali, categoria in cui Alfie non rientra.

Può spiegarmi meglio questo ultimo passaggio che ha voluto sottolineare?

È evidente che nel caso di Alfie Evans non stiamo parlando di un bambino in cui la morte si presenti come imminente. In primo luogo perché nessuno, meno che mai l’ospedale, ha evidenze medico-scientifiche in grado di comprendere quanto la vita del bambino potrebbe prolungarsi: non avendo fatto una diagnosi certa della malattia, ma catalogandola solo come “misteriosa malattia neurodegenerativa”, non si hanno gli strumenti ben definiti per capirne l’evolversi. Alfie non può esser definito come un vegetale, è totalmente sbagliato giungere a simili conclusioni. Per poter sentenziare lo stato vegetativo di una persona ci vogliono criteri precisi. Se anche solo ne dovesse mancare uno, la definizione non sarebbe corretta. Una delle descrizioni per definire lo stato vegetativo con certezza, ad esempio, è che nel paziente sia assente qualsiasi gesto o movimento volontario di tipo spontaneo. In alcuni video vediamo che il bambino muove la mano, succhia il ciuccio, muove gli occhi e, in alcuni casi, sorride. Tali gesti non possono essere assolutamente definiti come di riflesso, ma sono comportamenti spontanei che dimostrano, seppur anche minima parte, una coscienza e una vigilanza del bambino. Va poi detto che, proprio non avendo dati precisi per comprendere il grado di coscienza del bambino, non possiamo nemmeno sapere quanto senta gli stimoli. Dire che il bambino non sente nulla o non comprende nulla è arrogarsi una diagnosi che si è di già ammesso di non possedere. Nella mia professione ho toccato il caso di un bambino di soli sette anni il quale, a seguito di un grave incidente stradale, era entrato in coma con un altrettanto grave trauma cerebrale. Per permettere la dilatazione del cervello che in questi casi si crea, cercando di evitare così emorragie, si è usata una tecnica chiamata craniectomia decompressiva. Ogni volta che entravo in camera, al minimo rumore fosse anche un bisbiglio con un collega, i picchi di pressione endocranica mostravano attraverso l’encefalogramma la sensibilità cerebrale agli stimoli. Questo, in un paziente totalmente in coma e che qualcuno avrebbe potuto definire erroneamente “in stato vegetativo”.

E allora qual è la condizione di Alfie?

Alfie Evans è in coma, in un coma che potremmo tranquillamente definire farmacologico. L’abbondante terapia sedativa alla quale è sottoposto è volta ad alleviare il dolore provocato dall’intubazione che, nel suo caso, non è attraverso tracheotomia ma attraverso tubo endotracheale, ovvero la più invasiva fra tutte le intubazioni. Quest’ultima, solitamente, viene usata come prima scelta per le intubazioni che si pensa possono essere utilizzate per un breve periodo. Questi potenti farmaci volti ad alleviare il dolore, invece, creano in Alfie un ancor più grave stato di incoscienza dovuto agli antidolorifici, ai calmanti e via discorrendo. Il problema è che, per togliere giustamente il dolore al bambino, allo stesso tempo, anestetizzandolo in modo massiccio, tarpiamo le ali a quelle che potrebbero essere ulteriori evidenze di uno stato di coscienza, come ad esempio semplici gesti o sorrisi che peraltro, come già detto, ha fatto durante questi mesi e soprattutto con maggior vistosità nell’ultimo periodo. La sedazione si rivela dunque una sorta di arma a doppio taglio. Bisogna solo sperare che almeno sia quantificata in dosi corrette. Ma come è possibile questo se non si hanno evidenze certe dello stato cerebrale in cui si trova il bambino?

Esistono rimedi per questo stato di coma in cui il bambino versa?

Sarebbe assurdo negare che a livello cerebrale Alfie non sia compromesso; tuttavia esistono casi in cui i bambini ricoverati in terapia intensiva, in coma o nati molto prematuri, attraverso la madre che viene usata come vera e propria “terapia” hanno recuperato o migliorato sotto alcuni aspetti. Questo è confermato anche nel caso di Alfie, seppur diverso: alle carezze della mamma reagisce.

Eppure delle carezze della mamma importa a pochi perché, come avrà sentito, alle 13:00 sarà staccato il ventilatore ad Alfie. Nel protocollo dell’Alder Hey Children’s Hospital circolato in queste ore si legge, particolarmente in una nota, che “il tubo del respiratore sarà disconnesso dal ventilatore e verrà rimosso”. Questa operazione comporterà dolore al piccolo, nonostante i farmaci?

Questa è una risposta molto difficile da dare. Francamente, proprio in virtù dei ragionamenti fatti finora circa l’impossibilità di definire lo stato di coscienza di Alfie, non possiamo sapere quanto soffrirebbe senza gli analgesici e gli ansiolitici. Utilizzando un certo tipo di farmaci l’ospedale non farà mai sapere quanto l’operazione che porta alla “stubazione” del paziente sia dolorosa e, quindi, identificabile come un’azione eticamente e deontologicamente contestabile. Possiamo tuttavia star certi che di dolore Alfie non dovrebbe sentirne, venendo sostanzialmente addormentato dai farmaci. Il problema però non sta tanto qui, quanto piuttosto in ciò che avverrà dopo la rimozione del tubo e il distacco del ventilatore: ciò che provocherà la morte del bambino sarà il soffocamento, ed è dunque qui che non possiamo sapere quanto Alfie ne sarà cosciente e quanto soffrirà, seppur anche per poco e seppur sotto effetto di dosi massicce di farmaci, pronte ad esser aumentate all’occorrenza.

Ma è possibile che nessuno dentro all’ospedale si sia opposto a questa decisione portata avanti da medici e giudici, senza ricorrere alla tutela dell’assistito?

Anche questo non lo sapremo mai. L’ospedale non ha alcun interesse a farlo sapere, nel caso in cui ci siano state perplessità, rifiuti o complicità in questa decisione. Non è escluso che vi sia stato ad esempio qualche infermiere, appellandosi a ciò che in Italia è l’Articolo 8 del Codice Deontologico degli Infermieri rispetto alla clausola di coscienza che così dice:

“L’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. Qualora vi fosse e persistesse una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della professione e con i propri valori, si avvale della clausola di coscienza, facendosi garante delle prestazioni necessarie per l’incolumità e la vita dell’assistito”.

In questo caso l’infermiere professionale non viene tutelato dalla legge, ma dal suo codice deontologico che gli permette di non prender parte a questa azione giudicata eticamente illecita, obbligandolo solo a prendersi cura del paziente prima che la rimozione dei supporti vitali sia effettuata da altri.

Poco fa le ho inviato le foto che mostrano le negligenze di natura igienico-sanitaria da parte dell’ospedale di Liverpool. Come le valuta?

Ci sono tutte le carte in regola per denunciare. In Italia sarebbe partita subito. In particolare, se guardiamo alla lesione presente sulla mano per la quale, mi è parso di capire, non sono state date spiegazioni ai genitori, notiamo che si tratta di una lesione di secondo grado da compressione. Si vede un arrossamento e poi una bolla, quasi fosse una vescica. Questa si crea quando il paziente rimane allettato nella stessa posizione per parecchio tempo senza esser posturato. Non è una cosa da poco, è molto grave. Vuol dire non aver cura di un bambino che già versa in condizioni difficili. Non ho mai visto simili cose, in nessun reparto.

Sopra la mano di Alfie, sotto un esempio di lesione di secondo grado da pressione, simile a quella del bambino

In definitiva posso chiederle come giudica ciò che sta per compiersi?

Posso solo dire che i medici e i giudici non hanno rispettato tantissimi protocolli, come ho cercato di spiegare. Non si sono potuti attaccare a ragioni medico-scientifiche, ragion per cui si sono appellati ad un fattore “etico”, che hanno però applicato al contrario: rifugiandosi nella scusante del miglior interesse del bambino – il famoso “best interests” – sono finiti per fare null’altro che i loro interessi, tralasciando quelli del bambino e della famiglia stessa. La scienza è avanzata, ed ecco perché una ventilazione non può essere vista come mezzo straordinario oggi, o come “accanimento terapeutico”. Se ci fossimo trovati davanti ad un paziente portatore di pacemaker e ventilazione avrebbero avuto più appigli, ma nel caso del piccolo Evans il cuore funziona benissimo, e non si possono avere certezze su quanto la sua vita potrebbe durare con l’ausilio di una ventilazione. Forse anche anni.

Come ultima cosa però, vorrei farvi riflettere, attraverso una riflessione del Dr. Giovanni Migliaccio, sulla questione legata al rischio-beneficio di cui abbiamo parlato a proposito della possibilità di volo negata a Alfie Evans dall’ospedale di Liverpool. Il Dr. Migliaccio, neurochirurgo, parlando di craniectomia (che può condurre ad uno stato vegetativo), riassume in modo molto chiaro quanto fin qui sostenuto:

“Sia da punto di vista etico che morale e deontologico, personalmente ritengo che la scelta tra il rischio di morte e quello di stato vegetativo, a quest’ultimo bisognerebbe dare la prevalenza.

Un brutto edema non responsivo ai farmaci e alle tecniche rianimatorie quasi certamente porterà il paziente a morte, mentre la decompressione cerebrale esterna non è detto che non dia chances di un soddisfacente recupero.

Anni fa operai una craniectomia decompressiva bilateralmente in un ragazzo di sedici anni.

Dopo circa un mese si ripristinò lo stato di coscienza e vigilanza con un modesto deficit brachio-crurale e una modesta sindrome frontale”

La vicenda di Alfie si fonda tutta sull’etica, calpestata e bistrattata da quelli che hanno tentato ingannevolmente di invocarla a loro favore.

L’intervista si conclude qui, con tanti spunti di riflessione e una rabbia ancora più grande. Giusto per concludere, tengo a precisare che l’Alder Hey Children’s Hospital utilizzerà un potente analgesico per sedare Alfie: il Fentanyl, somministrato assieme al Midazolam – che è un ansiolitico. Il Fentanyl è uno degli oppiacei più temuti, con effetti da 50 a 100 volte più forti della morfina. Il suo utilizzo costituisce un grande pericolo, anche per gli addetti alla sicurezza e personale sanitario. Inalare anche solo pochissime particelle di Fentanyl può risultare letale: un ufficiale di polizia dell’Ohio è collassato a terra dopo aver respirato minuscole tracce della droga che stava scuotendo via dalla divisa, dopo averne sequestrato un carico; non è morto, ma ha avuto bisogno di quattro dosi consecutive di trattamento per overdose. Le prescrizioni sono infatti rarissime e tendono ad essere evitate, proprio perché non si è ancora riusciti a capire i rischi legati al dosaggio che, se mal calibrato, può uccidere subito.

Tutto questo per dire una semplice ed evidente verità: Alfie Evans, un innocente inerme, deve morire a tutti i costi.

6 commenti su “ALFIE EVANS: PARLA UN PROFESSIONISTA SANITARIO – di Cristiano Lugli”

  1. Alfie non muore: entra nella Vita Eterna con la corona dei martiri. E’ una sciagurata nazione, la gran bretagna (minuscolo perche’ merita) ad andare verso la Fine oscura che la Giustizia Divina decreta per coloro che rifiutano orgogliosamente di convertirsi.

  2. Sto male, sto molto male. Stanotte mio figlio piccolo mi ha svegliato ed è stata una grazia, perché ho potuto recitare il Santo Rosario per questo piccolo innocente. Non ci sono parole. Preghiamo ancora per Alfie, per i suoi genitori e per questo mondo votato al male.

  3. Francesco Retolatto

    Grande è la rabbia che provo per l’esecuzione di un bambino.
    Rabbia non esprime nemmeno una piccolissima parte di quello che sento.
    Come si fa a voltare con cosi tanta pervicacia le spalle a Dio? Quanta superbia quanto odio nei suoi confronti annebbia la vista e i cuori di queste persone?
    Alfie morirà e andrà in Paradiso, come disse Gesù al ladrone che gli stava al fianco sulla croce e che lo aveva riconosciuto come figlio di Dio, “oggi stesso tu sarai con me in Cielo “.

    1. jb Mirabile-caruso

      Francesco Retolatto: “Quanta superbia, quanto odio nei suoi confronti annebbia
      ………………………………la vista e i cuori di queste persone?”.

      “Queste persone” sono tutte coinvolte – consapevolmente o no – nel supporto incondizionato di una IDEOLOGIA i cui veri fautori sono personaggi potenti senza nomi e senza volti: personaggi volutamente OCCULTI! Sono costoro che uccidono Alfie in nome di una IDEOLOGIA che deve essere accettata come normale da tutti i popoli del mondo; gli esecutori materiali dell’infanticidio sono soltanto “poveracci” che, magari, non vogliono perdere il loro posto di lavoro. Tutti insieme, tuttavia, falliscono clamorosamente nel comprendere di star giocando d’azzardo A PERDERE: cosa, questa, che nessuno di loro mai farebbe con una sia pur minima somma di denaro in quanto chiaramente “illogica”, ma che tutti loro ciecamente fanno con l’ETERNITÀ del loro inevitabile destino!!!

  4. ASSASSINI, VERGOGNA, FINIRETE ALL’INFERNO!
    La mia mente si rifiuta di pensare che abbiate voglia di uccidere un bimbo inerme che non fa del male a nessuno,eppure è così…
    Siete la prova evidente ,sulla Terra che il Male esiste.
    Ripeto, pagherete innanzi a Dio.

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