Ancora due parole sul “simbolo” nella fede cattolica – di Carla D’Agostino Ungaretti

La nostra epoca relativista, dal pensiero debole, tende a distruggere il simbolo di tutto ciò che per il cristiano ha il significato più sacro, dalle crocette appese alle catenine fino ai Crocifissi e ai presepi natalizi nelle scuole e la reazione del popolo di Dio è talmente debole che non riesce a opporre una valida resistenza. Papa Francesco sembra seguire quella corrente gesuitica secondo la quale ogni verità è caratterizzata da una “riserva teologica di principio” per cui la contingenza storica prevale sulla necessità razionale. I “segni dei tempi” vanno interpretati positivamente e sarebbero molto più importanti della distinzione tra bene e male fatta alla luce della ragione e della dottrina.

Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono a Lui gradito e perfetto” (Rm 12, 2).

 di Carla D’Agostino Ungaretti

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smbl“Questo Papa piace troppo”: la lettura del libro di Ferrara, Gnocchi e Palmaro è stata per me un piccola scossa elettrica, perché ho visto confermate, ribadite e sottolineate, nel fiammeggiante stile degli autori, tutte le riserve mentali e spirituali sorte in me sin dal momento in cui Papa Francesco, mostrandosi per la prima volta al popolo dalla loggia di S. Pietro, ha salutato il suo gregge con quel colloquiale e minimalista buonasera; riserve che, con un certo senso di colpa, pensavo di essere l’unica a nutrire. Intendiamoci: io sono cattolica, apostolica, romana; romana perché cattolica e cattolica perché romana e, voglio aggiungere,  papalina e assetata di assoluto . In altri termini, se fossi vissuta nel 1870 – quel 20 settembre in cui al Gen. Cadorna bastò sparare un unico colpo di cannone contro le Mura Aureliane per aprire la famosa breccia di Porta Pia e dilagare in quella che da duemila anni era la città del Papa – non ci sarebbero stati dubbi sulla parte che avrei seguito. Sono una cattolica, in questo caso più “parruccona” che “bambina“, amici miei! Che volete farci?

         Perciò nessuno deve sospettare tentativi di ribellioni da parte mia, umile pecorella che non può neppure vantare la preparazione teologica dei tanti maitres à penser che si professano cattolici ma che, in realtà, ci propongono quotidianamente un cattolicesimo adattato ai gusti del mondo. No: gli amici non temano questo, le mie osservazioni sono motivate solo dalla mia fede, dalla lettura costante della Bibbia supportata dal Magistero di Pietro e dei Vescovi e dall’amore per la Tradizione bimillenaria della Chiesa, alla quale rimango attaccata a filo doppio. Perciò, quando rifletto, su questo mi sorge il timore che l’attuale cammino intrapreso dalla nostra Chiesa e convalidato dall’orientamento pastorale adottato da Papa Francesco non sia il più idoneo ad indurre sempre nuove anime a rivolgersi a Cristo, perché troppo “conforme alla mentalità di questo secolo“, come dice S. Paolo. “Ma chi sei tu per giudicare la natura del processo storico che si sta svolgendo sotto i nostri occhi? Non vedi quanti entusiasmi suscita questo Papa e quante anime si stanno riavvicinando alla Chiesa? “ mi rimprovereranno molti amici. E’ vero: se la pianta è buona e non si tratta solo di entusiasmi temporanei dovuti alla simpatia che riscuote questo Papa venuto “dalla fine del mondo”,  lo giudicheremo dai frutti ed io, come ho scritto altre volte, sono solo la più bruttina e spelacchiata delle pecorelle di Cristo ma, come ha raccomandato Lui, cerco di stare attenta, e riconoscere quali siano “i segni dei tempi” che, tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI, hanno cercato e cercano costantemente di farci allontanare dal “depositum fidei”. Purtroppo ne vedo tanti di questi segni intorno a me e non mi sembra  che il popolo di Dio sia stato finora capace di opporre un valido argine a queste derive.

       Posso cominciare citando la svalutazione del matrimonio, il dilagare del divorzio, il proliferare delle unioni di fatto; posso continuare con la diffusione della teoria del gender e l’insistente tentativo di diffondere nelle scuole la liceità dei rapporti omosessuali e del gay – monio, privando i genitori cattolici del loro sacrosanto diritto-dovere di educare i figli secondo la loro coscienza di credenti; posso continuare ancora con quelli che, a mio giudizio, sono il colmo dell’abominio e cioè con i peccati che, al pari dell’omosessualità, “gridano vendetta al cospetto di Dio”: la legalizzazione dell’aborto e quella (forse inevitabile) dell’eutanasia anche in Italia, veri e propri omicidi. Ma c’è anche un altro abominio che merita di essere ricordato per poterlo combattere con più forza: la negazione sistematica  dell’esistenza di Dio che si comincia, di fatto, a imporre in tutte le scuole del mondo, anche private. Ne è diventato il portabandiera lo Stato canadese del Québec, il territorio che una volta era considerato la regione più religiosa dell’intero continente americano[1]. Ateismo di Stato, dunque. Non avrei mai creduto che, dopo il crollo  dell’Unione Sovietica, si potesse tornare a diffondere  l’ateismo programmato politicamente a tavolino.

        Per parlare di quello che avviene in casa nostra, a La Spezia fanno bella mostra di sé, in alcune strade, i manifesti dell’UAAR di propaganda atea. Il referente locale di questa associazione – portatrice anch’essa di una fede, ma uguale e contraria, che vanta tra i suoi “campioni”  Margherita Hack e Piergiorgio Odifreddi – ha dichiarato che “i non credenti non ci stanno ad essere considerati sempre in negativo[2].  Invece io vedo che la loro ideologia, più o meno mascherata, dilaga ovunque e ha imposto il proprio stile a quasi tutti i comportamenti umani, proprio  etsi Deus non daretur. La storia, dunque, non ha insegnato nulla, o meglio – cosa, secondo me, più probabile – noi cattolici dobbiamo riconoscere, con timore e tremore, come dice S. Paolo (Fil 2 12) che il demonio sta sferrando contro la Chiesa di Cristo un attacco senza precedenti, forse perché ha visto che i Papi del secolo XX avevano personalità eccezionali, oltre ad essere alcuni di loro dei veri Santi, e sarebbero stai capaci di ostacolare la sua opera, se lui non avesse potenziato il suo attacco “mascherandosi da angelo di luce” (2 Cor 11, 14).

         Penso che il primo assalto diabolico che ha dato origine alla terribile scristianizzazione cui stiamo assistendo, con le conseguenze che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi, consista nella perdita di importanza che sta vivendo il “simbolo” nel Cristianesimo. Nella fede cristiana il simbolo ha sempre rivestito un ruolo importante – a cominciare dal “Pesce”, dal significato cristologico – ed io non  avevo mai percepito questa verità come in questo nostro tempo in cui si fa di tutto per appannarlo o addirittura cancellarlo dal cuore degli uomini. Il diavolo ha cominciato a sfruttare le piccole cose, quelle che secondo la vox populi – e purtroppo anche secondo molti uomini di Chiesa – sarebbero meno importanti ai fini della fede, ed io ne citerò alcune.

         La liturgia nelle lingue moderne anziché in latino – pur giovando inequivocabilmente alla comprensione del rito da parte delle persone umili e meno colte – ha favorito la desacralizzazione del “simbolo”, come hanno messo bene in risalto nei loro libri Gnocchi e Palmaro, e favorito certe frequenti digressioni oratorie e certe “libertà” da parte del celebrante che non hanno niente a che fare con il rito della S. Messa[3]; l’abbandono dell’abito talare – e spesso anche del clergy – man, abito a mio giudizio oltretutto elegantissimo – da parte dei sacerdoti ha tolto loro quell’aura di autorevolezza necessaria al loro ministero e li ha fatti diventare uomini qualunque, irriconoscibili come Ministri di Dio[4]. Gli storici organi delle grandi chiese, per i quali nei secoli passati furono scritte partiture di eccezionale spiritualità, ora rischiano il deterioramento per il mancato uso, visto che durante le celebrazioni sono stati sostituiti dalle chitarre e finanche dai tamburi, strumenti rispettabilissimi ma adatti più ad accompagnare le canzoni napoletani e le danze tribali africane che a cantare le lodi di Dio. Dicono i parroci che in questo modo si attirano i giovani, ma come si spiega allora che dopo aver ricevuto il Sacramento della Cresima, la maggior parte degli adolescenti smetta di frequentare la Chiesa?

         Lo stesso Papa Francesco, si firma con il semplice nome adottato da Pontefice non seguito dall’acronimo P.P. che, come è noto, significa Pastor Pastorum, ossia Pastore dei Pastori. (“Perché, Santità? Non ritiene giusto rammentare costantemente al Suo gregge che Lei è il Pastore Sommo, il Vertice della Chiesa visibile, secondo soltanto a Gesù Cristo? Non teme di avallare in questo modo la pretesa protestante di ritenerla soltanto un Vescovo come tutti gli altri?”)

        Ovviamente tutte queste piccole manifestazioni che mi turbano sono più che lecite, ma mi fanno tornare in mente le parole di S. Paolo: “Tutto mi è lecito, ma non tutto giova” (Rm 6, 12) “Tutto è lecito! Ma non tutto è utile! Tutto è lecito. Ma non tutto edifica. Nessuno cerchi l’utile proprio ma quello altrui” (1 Cor 10, 23 – 24). La Bibbia di Gerusalemme spiega che questa frase riassume tutta la morale paolina: non si tratta più di sapere ciò che è permesso e ciò che è proibito, ma di determinare ciò che favorisce o compromette la crescita dell’uomo nuovo rigenerato nel Cristo. Ed io confesso che quelle “libertà”, quelle iniziative “lecite” e non certo peccaminose di moda nel nostro tempo, non mi edificano affatto. Non credo che l’osservanza del retto comportamento tradizionale sia una sciocchezza, come mi obiettano molti, ma il simbolo di retrostanti Verità più grandi che dovrebbero essere salvaguardate con tutti i mezzi.

      Nell’esperienza religiosa, il simbolo è una forma privilegiata di conoscenza, rappresentazione ed esperienza di ciò che non può essere adeguatamente espresso in altri modi, come tutto ciò che si riferisce a Dio. Il rito è una forma molto importante del simbolo religioso: l’azione simbolica è costituita da gesti e parole, con una struttura fissata dalla Tradizione che favorisce la partecipazione comune. Ma non tutti i simboli sono buoni e giusti: anzi, come dicevo, il diavolo fa di tutto per sostituire i simboli di Cristo con i propri e purtroppo spesso ci riesce. Ci riuscì servendosi del  serpente per allontanare l’umanità da Dio, facendo diventare il povero animale il simbolo dell’inganno (Mt 23, 33) tanto che il traditore stesso viene indicato nell’Apocalisse come “il serpente antico“(12, 9) anche se poi Gesù ci esorta a prendere esempio dalla sua astuzia per non farci ingannare dal demonio stesso (Mt 10, 16). Altri esempi che mi vengono in mente sono la svastica nazista, simbolo della grande tragedia del ‘900, certa moderna musica rock, che cela in sé appelli a riti satanici, e certe superstizioni dure a morire.

        A questo proposito, voglio ricordare un aneddoto riguardante il Papa Sisto V, detto dai romani “er Papa tosto“, nomignolo che la dice lunga sul carattere autoritario del personaggio, che non faceva sconti a nessuno. Durante i cinque anni del suo pontificato, 1585 – 1590, si diffuse una volta  a Roma la voce che un certo Crocifisso, conservato in una famosa chiesa, fosse miracoloso. La voce era giunta anche alle orecchie del Papa  e tutti si aspettavano che egli andasse in pompa magna e in solenne processione a venerare quell’immagine di Cristo. Ma Sisto indugiava finché, dopo che ebbe lungamente riflettuto sul da farsi, fu decisa la solenne cerimonia durante la quale il Papa avrebbe pubblicamente pregato davanti alla famosa icona. Così avvenne e il Papa si inginocchiò davanti al Crocifisso raccogliendosi in una preghiera solitaria che al suo seguito parve lunghissima. Quando alla fine si riscosse, il Pontefice ordinò che gli venisse portato un grosso bastone con il quale, sotto gli occhi sbalorditi della Corte pontificia, cominciò a prendere a randellate il Crocifisso facendolo a pezzi e gridando: “Come Dio, Ti adoro, come simbolo, ti distruggo!”  Il Papa tosto aveva capito che la voce giunta alle sue orecchie era soltanto una  superstizione e aveva agito di conseguenza , in perfetta conformità all’insegnamento di S. Paolo: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Ts 5, 21). Dopo aver a lungo “esaminato” il fenomeno, egli aveva concluso che quel simbolo non era “buono”.

          La nostra epoca relativista, dal pensiero debole, tende a distruggere il simbolo di tutto ciò che per il cristiano ha il significato più sacro, dalle crocette appese alle catenine fino ai Crocifissi e ai presepi natalizi nelle scuole e la reazione del popolo di Dio è talmente debole che non riesce a opporre una valida resistenza. Papa Francesco sembra seguire quella corrente gesuitica secondo la quale ogni verità è caratterizzata da una “riserva teologica di principio” per cui la contingenza storica prevale sulla necessità razionale. I “segni dei tempi” vanno interpretati positivamente e sarebbero molto più importanti della distinzione tra bene e male fatta alla luce della ragione e della dottrina.

         Che dire? Io sono solo una cattolica “bambina” e non posso addentrarmi in discussioni sulla validità del metodo gesuitico, perciò non parlerò più di questi  turbamenti della mia anima, confidando su un’unica certezza: l’assistenza dello Spirito Santo e della Madre di Dio non ci mancherà, se sapremo costantemente invocarla sulla Chiesa mossi solo dal desiderio di fare la volontà del Padre.

          Allora, “oremus pro Pontifice nostro Francisco”.

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[1] Cfr. IL FOGLIO, 27.3.2014, pag. 1.

[2] Cfr. IL SECOLO XIX, 23.3.2014, pag. 13)

[3] Cfr. Liturgie sempre più grottesche,arriva la “predica a dialogo” ,CORRISPONDENZA ROMANA n. 1336 del 2.4.2014.

[4] Il giorno della commemorazione delle vittime della mafia don Luigi Ciotti si è presentato al Papa vestito in jeans e maglione. Richiesto del motivo della sua “mise”, avrebbe risposto: “Mi vesto sempre così, non vedo il motivo di cambiare per il Papa”. NO COMMENT, da parte della cattolica “bambina”.

3 commenti su “Ancora due parole sul “simbolo” nella fede cattolica – di Carla D’Agostino Ungaretti”

  1. Carissima Signora Carla, ancora una volta vengo a ripeterle la stima che ho per Lei in cui vedo rappresentato il mio pensiero, le mie perplessità, le mie considerazioni a volte solitarie, infine, anche le mie tristezze per una Chiesa che, ahimé, non è più quella in cui sono nata e cresciuta. Quante volte, da un anno in qua ho riflettuto sulla liquefazione dei simboli tanto cari alla nostra tradizione cattolica e quante volte ho concluso che togliendo di mezzo il significante, ecco che si annulla il significato. E perché tutto ciò? Perché, come Lei giustamente dice, “la nostra epoca relativista, dal pensiero debole, tende a distruggere il simbolo di tutto ciò che per il cristiano ha il significato più sacro”. Vorrei dire a chi si compiace e gioisce del pauperismo inaugurato dal Vescovo di Roma ritenendo fuori luogo e scandalose le “sontuosità” che appartenevano all’abbigliamento del papa sia nelle celebrazioni liturgiche che nella vita quotidiana, che le croci d’oro o gli splendidi paramenti sacri non servono da ornamento, né sono tributo di onore alla persona del pontefice, ma sono simbolo di ciò che egli rappresenta, la Persona di Cristo di cui egli è Vicario in terra. Che posso dire di fronte all’estrema povertà della tovaglia- lenzuolo viola a tinta unita e niente di più che ricopre l’altare della mia parrocchia? Che mi procura una tristezza che è ben diversa dal senso di austerità e di serietà che compete al tempo di quaresima. È un profondo dolore per un cambiamento negativo che assomiglia sempre più a una sconfitta.

  2. Concordo su tutto e mi permetto di aggiungere che il “lusso” della chiesa è il lusso più democratico che ci sia, perché l’oro e le gemme dei paramenti, che si sposano alla preziosità delle chiese e degli arredi sacri (almeno laddove sono stati conservati), soprattutto se accompagnati dall’arcano splendore della liturgia latina e dalla vera musica sacra (che non ha nulla a che fare con le oscene musichette di moda) sono l’unica rappresentazione possibile della Gerusalemme celeste che ci è stata promessa.Hanno quindi una simbologia altissima e sono una richezza comune a tutti i cristiani. E’ veramente demagogico sottrarla a tutti per concederla ai pochi.

  3. Gemt.ma prof.a D’Agostino, sono in tutto d’accordo con il suo intervento. Di più: in certi punti pare che lei mi abbia rubato il pensiero, specialmente nelle prime frasi e in quella finale.
    Concordo anche con i commenti di Tonietta e Marina

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