ANCORA SULLA FEDE NEL NOSTRO TEMPO… CHE DIRE DELL’ATEISMO “DURO E PURO”? – di Carla D’Agostino Ungaretti

di Carla D’Agostino Ungaretti

 

 

Qual mai tra i nati all’odio

qual’era mai persona

che al Santo inaccessibile

potesse dir: Perdona?

Far novo patto eterno?

Al vincitore inferno

la preda sua strappar?

 

(Alessandro Manzoni. Il Natale.)


gu

Giotto. Il Giudizio Universale


 

Nel famoso e poetico incipit dell’enciclica Fides et Ratio, Giovanni Paolo II scrive: “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. E’ Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo ed amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso”.

Infatti lo scopo della filosofia occidentale, da 2500 anni a questa parte, è sempre stato la ricerca della Verità, anche se da un paio di secoli il laicismo contesta con arroganza ai cattolici il diritto di “fare filosofia“, perché essi la Verità la conoscerebbero già come incarnatasi in Cristo, Via, Verità e Vita. Comunque, talmente vere mi sembrano le parole di Giovanni Paolo II che io mi domando spesso se gli atei dichiarati si rendano conto del loro “volare basso“, della “pesantezza” del loro spirito impedito a elevarsi oltre la limitata percezione dei sensi, dell’umiliazione che essi infliggono al loro spirito stesso respingendo volontariamente la dimensione del Mistero e dell’Assoluto quando essa si affaccia alla loro mente, perché ritengo impossibile che questo “affacciarsi” per loro non sia mai avvenuto, come pure molti di essi sostengono. E mi stupisco anche della loro incapacità di provare stupore di fronte alle manifestazioni di quel medesimo Spirito quali si sono rivelate e si rivelano spesso nella storia umana.

Eppure molti atei “duri e puri” – ma anche molti agnostici, perché in pratica le due categorie non si differenziano poi molto – non si sforzano di porsi almeno il problema, di oltrepassare quella soglia che aprirebbe loro possibilità immense di pensiero e di speculazione oltre che di accrescimento personale. Allora mi sono anche domandata su che cosa quegli atei “duri e puri” abbiano fondato quella “durezza” e quella “purezza” e  come quegli agnostici “indifferenti” riescano a far tacere, dentro di sé, certi interrogativi che sono comuni a tutti gli esseri umani. Illuminata dall’insegnamento di Benedetto XVI, sono giunta a certe conclusioni che tra poco esporrò.

Molti laicisti affermano di non poter credere in un Dio che sacrifica suo Figlio per il riscatto dell’umanità, come non riescono a credere in un Dio che chiede ad Abramo di sacrificargli suo figlio Isacco senza neanche motivare una simile richiesta e, tanto meno, sono disposti a ritenere credibile il comportamento di Abramo che accetta senza fiatare, dopo aver ricevuto da quel Dio tante dimostrazioni di favore. E in effetti, quale uomo sacrificherebbe un figlio, sia pure per salvare il resto dell’umanità (poniamo) da una catastrofe, con o senza spiegazione?

Mi torna in mente un episodio della mitologia greca che dimostra l’esistenza di un parallelismo nello sviluppo dell’esperienza esistenziale di popoli anche molto diversi. Le navi achee non potevano salpare dal porto di Aulide alla volta di Troia a causa dei venti contrari mandati dalla dea Artemide, offesa perché il re Agamennone, durante una caccia, aveva ucciso una cerva a lei sacra. L’indovino interpellato sul da farsi riferì che l’ira della dea si sarebbe placata solo se  il colpevole avesse accettato di sacrificare alla divinità sua figlia Ifigenia. Agamennone, cedendo alle pressioni dei suoi alleati smaniosi di combattere, accettò ignorando che quel gesto avrebbe provocato un’infinità di disgrazie alla sua famiglia e così, uccisa la povera Ifigenia sull’altare della dea, le navi poterono partire per la guerra di Troia.

Questo mito (come tutti i miti) rispecchia, sia pure nebulosamente, il lento maturarsi della coscienza e la profonda ricerca della Verità da parte dell’uomo: era stato commesso un “peccato” e il “peccatore” doveva espiare. Ma in esso c’è una logica puramente umana: la dea offesa doveva essere placata con un congruo risarcimento, sia pure di natura concepibile solo in un’epoca semi – barbarica. La logica di Dio è ben diversa e gli interrogativi manzoniani che ho citato in epigrafe esprimono bene la situazione dell’uomo dopo il peccato originale. La risposta giusta a quelle tre terribili domande si può trovare solo nelle parole che Gesù rivolge a Nicodemo:  “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Come dice S. Paolo, Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato alla morte per tutti noi (Rm 8,32) mentre Abramo ha offerto a Dio un figlio mortale senza che questi morisse. Siamo quindi di fronte al Mistero della Croce liberamente accettata da Cristo, mistero dal quale emerge un tipo di Amore inimmaginabile dalla mente degli uomini e neppure lontanamente concepibile da parte del cuore umano. Sicuramente questo è un pane troppo duro per  denti atei.

Il Dio che si è rivelato nella tradizione ebraico – cristiana non fa violenza all’uomo per farsi riconoscere, ma aspetta che questi si decida ad ascoltarlo (1 Sam 3, 1 – 21). Nel Prologo del suo Vangelo, Giovanni  dice chiaramente che la comprensione di Gesù come Verbo di Dio presuppone nel discepolo la disponibilità all’ascolto ( 1, 1 – 28). Quindi è necessaria una certa “curiosità” di conoscere  la proposta di Dio ma, evidentemente, tanti scienziati, intellettuali, sapienti in ogni campo dello scibile umano, pur sempre curiosi di procedere sul loro terreno di studio per fare nuove scoperte scientifiche, non provano invece la curiosità di indagare oltre i loro limiti o di prestare credito a una proposta che non provenga da dati scientificamente  dimostrabili.

Questa verità è stata ampiamente dimostrata in un dibattito che si tenne a Oxford  nel febbraio 2012 sul tema “Le origini dell’uomo e dell’universo” tra Richard Dawkins e l’allora Arcivescovo di Canterbury Rowan Williams; presiedeva Anthony Kenny, filosofo agnostico di formazione cattolica[1]. Nella discussione il tema di Dio era solo marginale ma Richard Dawkins, da buon ateo “sarcastico”, non rinunciò al piacere di osservare: “ E’ così bella la spiegazione della vita fatta in modo scientifico! Perché ingombrarla con Dio?” All’obiezione di Williams che Dio non è qualcosa di “esterno”, Dawkins rispose: “E’ esattamente come io vedo la cosa”. Risposta sintomatica di un certo ateismo che concepisce Dio come un oggetto che sta al di fuori, come una spiegazione superflua delle cose. Infatti è noto che il fisico Laplace, interrogato da Napoleone su quale fosse il ruolo di Dio nel suo sistema scientifico, rispose: “Io non ho bisogno di questa ipotesi“. Nel dibattito di Oxford  Dawkins, come scienziato, non voleva uscire dal campo della sua disciplina, ma si riteneva in diritto di respingere altri orizzonti di indagine, pur apparendo disorientato quando il teologo e il filosofo  prospettavano temi di ricerca più ampi.

Margherita Hack, interrogata da Vittorio Messori se si fosse mai preoccupata di investigare se dietro gli innumerevoli misteri del cosmo non ci sia per caso il Mistero per eccellenza, dette una risposta simile a quella di Laplace: “Francamente, non ho mai avvertito il bisogno di questa ricerca, mi basta la ragione”[2] . Analoga fu la risposta di Rita Levi Montalcini alla domanda di Piergiorgio Odifreddi se credesse in Dio e – conoscendo le idee dell’intervistatore – possiamo pensare che  sarà stata musica per le sue orecchie: “Sono atea. Non so cosa si intenda per credere in Dio[3]. Paolo Villaggio, invece, ha dichiarato recentemente, senza peraltro essere stato interrogato in proposito e quindi con quell’ intento puramente provocatorio comune a molti che si ritengono intelligenti: “Dio non esiste. Quella di Dio è un’invenzione che in giovane età mi ha terrorizzato. Ogni sera avevo paura di venire incenerito perché commettevo atti impuri”[4].

In queste tre affermazioni si rintracciano due caratteristiche più comuni   dell’ateismo moderno.  Nelle prime due, il Dio che viene respinto è immaginato come un qualcosa che sta al di fuori della vita umana, oppure come una spiegazione superflua delle cose, o come un elemento ingombrante. Nella terza, la polemica è una violenta protesta morale contro un certo tipo di educazione che si impartiva una volta e che sicuramente ha prodotto dei danni.

Infatti la polemica degli atei “duri e puri” contro la fede si svolge principalmente su due fronti: da un lato, l’irrazionalità e la falsità di ogni credo e dall’altro, la protesta morale contro i delitti commessi in nome della religione. La prima critica dimentica volutamente le immense ricchezze intellettuali prodotte dalla teologia in 2000 di storia e quanti pensatori cristiani sono stati e sono pronti a “rendere ragione della speranza che è in loro” … facendo ciò “con dolcezza e con rispetto” ( 1Pt 15, 16) a differenza di come fanno loro[5]. Inoltre essi non accettano la razionalità della fede in Dio perché ignorano, o fingono di ignorare, che – come ha spiegato Benedetto XVI -“la fede cattolica fin dall’inizio ha rigettato il cosiddetto fideismo (credo quia absurdum) . Dio non è assurdo: è Mistero e il mistero, a sua volta, non è irrazionale, ma sovrabbondanza di senso, di significato, di verità. Se guardando il Mistero la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci sia luce, ma perché ce n’è troppa”[6].

In merito alla seconda critica, bisogna riconoscere che purtroppo la storia recente ha fornito a queste tesi un terreno favorevole. Il terribile episodio dell’11 settembre 2001 o le rivelazioni dei casi di pedofilia in una parte del clero cattolico hanno fornito dei forti argomenti ai nuovi atei. E’ vero che nella storia  si trovano spesso episodi terribili, ma queste ombre dimostrano l’efferatezza umana e non certo l’inesistenza di Dio. Le guerre di religione che insanguinarono l’Europa centrale nel XVI secolo furono scatenate dai re di Francia  e dai principi tedeschi ansiosi di conservare o di aumentare il loro potere e, d’altro canto, certe abominevoli perversioni sono solo sintomi gravissimi della miseria umana. Perché prendersela con Dio? Eppure è evidente che molte persone, anche colte ed evolute, si lasciano suggestionare da questi deteriori episodi perché hanno un’immagine di Dio grossolana  e primitiva, come un Grande Essere o un Potere invisibile che è meglio non irritare perché sarebbe lui il responsabile delle cattive azioni umane.

Come è possibile che queste posizioni così rozze e semplicistiche risultino accettabili e convincenti anche da persone colte ed evolute? C’è un pregiudizio sospettoso verso le Chiese che si lascia influenzare dalle scoperte scientifiche e risulta vincente presso coloro che sono lontani, o dubbiosi o hanno una percezione distorta del sacro. Infatti è noto che Dawkins – il quale trova sempre molto divertente irridere, quando è possibile, la Chiesa – scherza spesso, nelle sue opere, con alcuni dei fondamenti che la teologia propone per la fede: intelletto, volontà e affettività, travisando tutte e tre le dimensioni umane. L’intelletto serve solo all’analisi empirica, togliendo a Dio ogni importanza; la volontà serve solo a disprezzare o odiare tutto ciò che è religioso; l’affettività serve solo a sbarazzarsi dell’oppressione della Chiesa.

Nella cultura del nostro tempo c’è poi un altro progetto: quello di costruire un mondo in cui l’uomo stesso sia padrone assoluto, senza nessuno sopra di lui. “Diventerete come Dio!” (Gen 3, 5). Proclamare la divinità dell’uomo è l’ultimo passo da fare dopo la negazione di Dio e molti si adoperano volenterosamente per compierlo, vivendo veluti si Deus non daretur. E’ un modello di vita che crede di non dover rispondere a nessuno delle sue azioni e come se nessuno avesse stabilito i criteri immutabili del bene e del male che dipenderebbero, pertanto, da momentanee scelte individuali. Moltissime sono le persone intorno a noi che vivono, operano, lavorano, viaggiano, studiano, procreano, mangiano, bevono e muoiono senza alcun riferimento a Dio neanche momentaneo e senza rendersi conto che è a Lui che devono ogni loro minimo respiro vitale e ogni minimo battito del loro cuore. C’è poi l’atteggiamento “moderno”, per cui ogni verità deve essere verificabile sperimentalmente e, se questo non è possibile, allora la fede è solo una questione di opinione.

Dio non può essere dimostrato sperimentalmente così come Pitagora dimostrò il suo famoso teorema che, dopo 2500 anni, ancora rappresenta la croce e la delizia degli studenti al primo anno di scuola superiore. Ci sono molte forme valide di razionalità, non solo quella empirica e la scienza, malgrado tutte le sue conquiste, non può affermare di essere l’unica via giusta per giungere alla verità. Lo dimostra la nostra vita quotidiana nella quale noi facciamo riferimento a valori e a significati che spesso non hanno nulla di scientifico.

Ma gli atei “duri e puri” dimenticano anche spesso che la fede non si identifica automaticamente con il credere nell’esistenza di Dio. Molti anni fa io, “cattolica bambina” dalla fede ancora un po’ infantile, fui colpita da un’affermazione di don Giacomo Tantardini, recentemente scomparso, allievo e cooperatore di don Luigi Giussani: “Avere fede non significa credere che Dio esiste, perché anche il diavolo sa che Dio esiste”. Infatti per noi cristiani avere la Fede significa riconoscere che Dio si è rivelato in Gesù Cristo che ci chiede in cambio la libera ed amorosa adesione. Tutto il resto non è fede e infatti Cristo è segno di una contraddizione che investe Dio stesso. Dio viene visto dagli atei “duri e puri” come un limite alla nostra libertà da eliminare affinché l’uomo  possa essere totalmente sé stesso. Invece Dio, che è Verità, si oppone alla menzogna, all’egoismo e alla superbia dell’uomo.

Benedetto XVI spiega bene il perché dell’ateismo: “Dio è Amore, ma l’amore può essere anche odiato, laddove esige che si esca da se stessi per andare al di là di se stessi…Redenzione non è “wellness”, un bagno nell’autocompiacimento, ma liberazione dall’essere compressi nel proprio io. Questa liberazione ha come costo la sofferenza della Croce, e questo a molti non piace[7]. Ecco la spiegazione del rifiuto di Dio anche da parte di persone tutt’altro che rozze e primitive, ma è un dato di fatto che il dialogo tra fede e incredulità richiederebbe un rispetto e un’assenza di pregiudizi nei confronti della controparte  che purtroppo spesso mancano in casa dichiaratamente atea. Senza contare che Dio,  a differenza degli uomini, rispetta totalmente la nostra libertà e – come dice Blaise Pascal – ci ha dato “abbastanza luce per chi vuole vedere, e abbastanza oscurità per chi non vuole vedere”[8].

 

 


[1] Cfr. LA CIVILTA’ CATTOLICA, n. 3897, 3.11.2012.

[2] Cfr. V. Messori, Inchiesta sul Cristianesimo, S.E.I. Torino 1987.

[3] Cfr. P. Odifreddi, Incontri con menti straordinarie. Longanesi 2006.

[4] Cfr. Corriere della Sera. IO DONNA, 15.12.2012

[5] Sempre l’ineffabile Dawkins sostiene, ne l’illusione di Dio“, Milano Mondadori 2007, che “la fede è il grande tirarsi indietro, la grande scusa per eludere il bisogno di pensare”.

[6] Cfr. Benedetto XVI, Udienza generale. Aula Paolo VI. Mercoledì 21.11.2012.

[7] Cfr. L’infanzia di Gesù, Rizzoli 2012, pag. 101.

[8] Cfr. B. Pascal, Pensieri, 430, Roma, Paoline, 1992.

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