ANCORA SULLA FEDE NEL NOSTRO TEMPO … COME SI PUO' CREDERE IN DIO SE ESISTE IL MALE? – di Carla D’Agostino Ungaretti

di Carla D’Agostino Ungaretti

 

 

crForse la vostra amica “cattolica bambina” sembrerà presuntuosa se, riflettendo  su come è vissuta la fede nel nostro tempo, si sofferma ancora una volta sul problema del dolore e del male, considerato uno dei più grandi misteri del Cristianesimo, affrontato in tutti i tempi dai più grandi teologi che hanno sempre riconosciuto l’impossibilità per la pura ragione umana di venirne a capo e che tanto scandalo suscita nelle anime di fede debole e problematica, e non solo in loro. Anche Benedetto XVI è tornato a ricordare come, un mondo in cui il male è all’opera per “sporcare” la bellezza di Dio, credere significa “toccare” la Sua mano e vedere il Suo amore[1]. Perciò come possiamo esimerci dal meditare sul mistero del male in un’epoca come la nostra in cui sembra quasi di esserne circondati – basta leggere la cronaca di qualunque giornale – e di toccarlo con mano, non solo nelle sue forme più tragiche e sconvolgenti, ma anche in quelle più accattivanti e seducenti?

Perché questa è la caratteristica del male: quella di sapersi presentare all’uomo non solo sotto la dimensione planetaria delle guerre, dei genocidi e, a livello individuale, della menzogna, del tradimento, dell’assassinio perpetrati dall’uomo stesso ai danni dei suoi simili, ma anche sotto quella dei disastri naturali che provocano vittime innocenti e (sembra un paradosso) anche sotto le mentite spoglie del Bene. Allora esso è tanto più accattivante quanto più ci propone ciò che a noi sembra più bello, o  più conveniente, o più utile alla nostra vita quotidiana, come l’aborto o l’eutanasia.

Nel male noi avvertiamo una smentita della sete di senso dell’esistenza e del bisogno di felicità, oltre che una contraddizione alla ricerca di assoluto. Esso è sfida al senso ultimo della vita nel momento stesso in cui lo ricerca; si presenta come opposizione, impedimento, ostacolo al pieno e sereno fluire dell’esistenza umana. Non intendo ovviamente entrare in discussioni filosofiche, ma non posso disinteressarmi di questo problema, perché tanti se ne servono per negare l’esistenza o la bontà di Dio o, peggio ancora, per ritenere Lui responsabile del male stesso: infatti, posto che – secondo la convinzione corrente – Dio non può essere l’autore del male, come se ne spiega l’esistenza? Perché Dio non lo impedisce? Questi frequenti interrogativi dimostrano quanto sia ancora condivisa, dopo più di duemila anni, la famosa argomentazione di Epicuro: “Se Dio vuole eliminare il male ma non può, è  debole; se può e non vuole, è malvagio; se non vuole e non può, è sia debole che malvagio; se vuole e può – cosa che, sola, si addice a Dio – allora perché esiste il Male? Se Dio non lo elimina, vuol dire che Dio non esiste”.

Tanti infatti pensano che la vita umana, così carica di dolori, malattie e sofferenze, sia la dimostrazione che Dio non esiste o, se esiste,  è crudele. Chi piange la morte di una persona cara vittima di un disastro naturale, di un terremoto o di una valanga alpina spesso se la prende con Dio il quale, se esistesse, avrebbe dovuto proteggere lo sventurato. In effetti, quando ci si trova emotivamente coinvolti nell’esperienza del male è molto difficile ragionare e riflettere serenamente, perciò è assurdo cercare di convincere dell’esistenza di Dio chi dubita perché è stato toccato personalmente da una sciagura. Ma se riusciamo a ragionare a mente fredda, dobbiamo riconoscere che spesso è l’uomo stesso è la causa del suo danno. Chi abita case situate in zone fortemente sismiche, chi va a sciare in zone montane pericolose, chi esce in mare senza un’adeguata preparazione marinaresca, chi “vuole una vita spericolata” – come canta Vasco Rossi e penso, in questo momento, anche a chi consente agli adolescenti americani di presentarsi a scuola armati –  espone sè stesso e gli altri a prevedibili sciagure. Sarei senza cuore se non mi sentissi sconvolta da certe tragedie, ma ancora più folle sarei se ritenessi Dio il responsabile di quelle disgrazie. La ragione ci dice che non è lecito rovesciare su Dio (o solo su Dio ) le nostre responsabilità. Dio ci ha creati come figli responsabili e ci ha dato la libertà di scegliere tra il bene e il male. Forse che i terroristi che insanguinarono l’Italia negli anni ’70 del secolo scorso, o quelli che nel 2001 diressero gli aerei contro le Twin Towers di New York non sapevano quello che facevano?

Altri, invece, pensano addirittura che l’esistenza del male possa condurre all’affermazione di Dio, come se Egli ne fosse la causa. Anzi, dato che costoro sono disposti a riconoscere che l’esistenza del mondo affermi l’esistenza di Dio, sono anche indotti a pensare che l’esistenza del male  dimostri, in maniera capovolta, che Dio esiste e, nella sua  divina libertà, possa fare anche il male. Ricordo ancora l’esempio che faceva il mio antico professore di filosofia al liceo per confutare questa credenza. Immaginiamo di entrare in un bellissimo palazzo, opera di un grande architetto. All’interno, però, tutto è in rovina e in totale disordine: le porte scardinate, le pareti imbrattate, le tappezzerie strappate, gli arredi semi distrutti. Questo sfacelo ci inorridisce e ci domandiamo chi ne sia il responsabile, ma non ci viene neanche in mente che possano averlo provocato lo stesso architetto o gli stessi artigiani e arredatori che, con il loro lavoro, avevano reso così bella quella splendida dimora. Sarebbe illogico pensare che essi stessi abbiano voluto distruggere la loro opera. Perché allora dovremmo credere che Dio, dopo aver creato quel capolavoro che è il mondo e aver constatato “che era cosa buona” (Gen 1) vi abbia deliberatamente introdotto anche il Male?

Il “secolo breve” che ci siamo appena lasciti alle spalle  ha dato agli uomini un ben solido argomento per dubitare dell’esistenza di Dio. Molti reduci da Auschwitz hanno perso la fede perché si sono sentiti abbandonati da un Dio considerato “roccia, fortezza, liberatore, rupe, scudo e baluardo” (Sal  18,1- 2), “aiuto, rifugio e forza, sempre vicino nelle angosce (Sal 46, 2). Come non essere tentati di dar loro ragione? Alcuni, come Primo Levi – che scrisse “Se questo è un uomo” e “La tregua” nel vano tentativo di elaborare l’orrore cui aveva assistito – sono crollati sotto il peso della loro tremenda esperienza; altri, come il filosofo ebreo Martin Buber, hanno pensato che Dio si fosse “ritirato”  o “eclissato” per non provvedere più al suo popolo[2]. (Ma Dio non era sempre fedele alla Sua alleanza?). Altri ancora, come Hans Jonas, dopo l’esperienza di Auschwitz (toponimo diventato simbolo del Male del nostro tempo) sono arrivati a mettere in discussione la stessa immagine di Dio trasmessa dalla tradizione[3]. Ciò che avvenne ad Auschwitz rappresenterebbe “l’esistenza stessa del Male quale oggetto della volontà umana e non più le disgrazie e le tribolazioni che provengono dalla cieca causalità naturale”.

Il problema è ancora più tragico per Jonas, perché egli è ebreo. Per il cristiano, che attende l’unica salvezza al di là di questo mondo, aver fatto l’esperienza di Auschwitz significa aver condiviso al massimo grado la Croce di Cristo; basti pensare ad alcuni grandi esempi di santità come  S. Massimiliano Kolbe ed Edith Stein, divenuta S. Teresa Benedetta della Croce[4]. Per l’ebreo, invece, che vede “nell’al di qua” il luogo della creazione, della giustizia e della salvezza divina, la sofferenza è maggiore: poiché Dio è il Signore della storia, il caso di Auschwitz può davvero rimetterne in questione il concetto stesso.

Invece, Emmanuel Lévinas (anche lui filosofo ed ebreo) proprio dopo quella esperienza ha sentito rafforzarsi la sua fede in Dio, visto che il rifiuto di Lui, operato  dal nazismo totalmente pagano, ha prodotto quegli atroci risultati. Come si vede certe tragedie sconvolgenti possono alterare la percezione di Dio nel cuore umano, ma Dio può anche servirsi di esse per far cambiare rotta al pensiero degli uomini nei Suoi confronti.

Il problema, quindi, non è la “crudeltà” del Creatore, ma il “peccato” dell’uomo, l’offesa che egli arreca a Dio trasgredendo le Sue leggi, che non sono mai assurde o vessatorie, ma profondamente “umane”, perché giovano all’uomo e non sono mai contro di lui. Perciò il mysterium iniquitatis riguarda solo la libera volontà dell’uomo stesso che cede alle lusinghe del demonio capace, come dicevo poc’anzi, di presentare il male sotto le spoglie del Bene, del Buono, dell’Utile e del Conveniente.

E che dire del dolore innocente? Questa misteriosa realtà può veramente assestare uno scossone tremendo alle fedi più salde. Personalmente, mi si paralizza la mente al pensiero di una coppia di genitori il cui bambino si riveli affetto da una inesorabile malattia genetica che gli consente solo pochi mesi di vita. Eppure quanti genitori hanno vissuto una simile devastante esperienza! Come, d’altro canto, credo che chiunque sia padre o madre non possa concepire l’eventualità di sopravvivere ai propri figli: è un pensiero che va scacciato perché intollerabile. Eppure di quanti casi del genere veniamo a conoscenza ogni giorno! Quando mi capita di leggerne o di sentirne qualcuno, mi torna in mente la profezia del vecchio Simeone a Maria di Nàzaret: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 35).

Infatti Maria ha fatto l’esperienza più atroce che possa toccare a una madre: assistere alla tortura e alla lenta agonia del proprio Figlio totalmente innocente inchiodato a una croce. Ma non solo a lei: anche tante madri ebree nei lager nazisti hanno dovuto assistere all’impiccagione dei loro figli adolescenti[5]. Non riesco a immaginare una tragedia maggiore di questa, vera dimostrazione del trionfo del Male, che può veramente far perdere la ragione e la fede.

Ma questo “scandalo“, a cui nessuna filosofia, nessuna corrente di pensiero, nessuna dottrina consolatoria hanno mai saputo trovare una ragione e una risposta, acquista un senso e può essere accettato senza ribellione da parte dell’uomo solo in una prospettiva cristiana: solo nell’adorazione del Dio crocifisso – che ha condiviso (tranne che nel peccato) tutta la nostra umanità – e nella contemplazione della sofferenza di Sua Madre corredentrice dell’umanità, il dolore umano acquista un significato anche se misterioso. Infatti, ecco il paradosso cristiano: “Mentre i Giudei chiedono miracoli e i Greci cercano prove razionali, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, noi predichiamo Cristo sapienza e potenza di Dio” (1 Cor, 22 – 25).  Solo Cristo è stato capace di dire : “Beati coloro che piangono perché saranno consolati” (Mt 5, 4), non Budda, che addirittura predicava il distacco dal mondo per non soffrire, non certo Maometto e nessun altro profeta fondatore di religioni; solo Gesù Cristo ha potuto pronunciare quella frase sconvolgente perché “apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2, 8).

Cristo non è venuto a togliere il Male dal mondo, ma ha condiviso il dolore che esso provoca morendo da uomo innocente di una morte che è stata lenta e terribile, come hanno rivelato gli studi scientifici compiuti nell’ultimo secolo sull’Uomo della Sindone. Perciò, mettendomi per un momento nei panni di Martin Buber o di Hans Jonas, sono portata a comprendere la loro posizione e non posso fare a meno di invocare lo Spirito Santo perché  illumini tutti coloro che nell’ora del dolore si sentono abbandonati da Dio, e possano sentire nel proprio cuore la voce di Lui che dice loro: “Coraggio!Anche io ho sofferto così, non sei solo, io sono accanto a te e, se hai fede, lo Spirito di sosterrà in quest’ora terribile. Dopo la Croce c’è la Resurrezione!”.

Ma se non è stato Dio a volere il male, come ha potuto questa terribile realtà allignare in un mondo che era “molto buono“? Come sempre, l’insegnamento di Benedetto XVI è chiarissimo in proposito[6]:  poiché nessun uomo è chiuso in se stesso vivendo solo di sé e per sé; poiché l’essere umano vive di relazione con il Tu di Dio e con il tu degli altri esseri umani, ecco che il peccato mira a distruggere la relazione fondamentale con Dio, inducendo l’uomo a mettersi al posto di Lui. Turbata quella relazione fondamentale, sono compromessi e distrutti tutti gli altri poli della relazione, perché l’uomo vive di relazione. Così, se la struttura relazionale dell’umanità è turbata fin dall’inizio, ogni uomo nasce in un mondo turbato dal peccato da cui viene segnato personalmente. “Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre“, piange il Miserere (Sal 51, 7).

Ma nella prospettiva cristiana Gesù incontra il male per sconfiggerlo, per dimostrare che esso non ha, per così dire, il sigillo di Dio, ma che Lui ne è più forte.

Il demonio ha un preciso ruolo nei Vangeli e poiché Gesù lo affronta nella prospettiva di Dio il suo incontro con il Male non atterrisce, ma fa esultare di gioia perché quando Lui arriva il demonio si ritira sconfitto.  E’ evidente quindi che la proposta cristiana si differenzia da qualunque sistema filosofico o religioso che, nei secoli, abbia concepito il principio del Male come corrispettivo speculare del Bene, come il manicheismo dualistico.

Dio ” Persona” è Amore, totale e assoluto, mentre il demonio è “non – persona” perché ha deliberatamente rinnegato, rifiutato, respinto ciò che caratterizza l’essere “persona” e cioè l’Amore.  Il demonio sa benissimo che Gesù è il Figlio di Dio e per questo lo odia e non vuole servirlo (Mc 1, 24). I grandi poeti hanno avuto una particolare intuizione della natura e dell’opera del demonio: Goethe, nel suo Faust, fa dare da Mefistofele una definizione di sé onnicomprensiva del suo rifiuto di Dio e della vita: “Son lo spirito che nega sempre… perché tutto ciò che nasce è degno di perire…“. Dante, invece, descrive la condizione del Maligno attraverso il mare di ghiaccio nel quale egli è avvolto: è il gelo a rappresentare l’opposto di Dio, la totale assenza di amore, di calore, di ricerca del bene che genera il dolore eterno e rappresenta l’eterna tristezza del Male con tre paia di ali: “… e quelle svolazzava / sì che tre venti si movean da ello: / quindi Cocito tutto s’aggelava” (Inferno XXXIV, vv. 45ss).

Cristo, invece, riporta l’uomo alla pienezza della sua umanità, aprendolo alla fede e alla carità che anima ogni relazione veramente “personale“. Sarà S. Agostino, poi, ad approfondire il mistero affermando con forza che il male non è originario né creato da Dio, ma è piuttosto l’assenza, il rifiuto del bene che volta le spalle al Creatore. La grazia di Cristo è il dono divino che restituisce l’uomo a Dio.

Per concludere questa umile riflessione da”cattolica bambina” sul mistero del Male, vorrei ricordare una breve frase della Genesi (3, 20) che mi ha sempre colpito, esaltandomi e commuovendomi al tempo stesso, perché rivela che anche nel momento terribile della disobbedienza dell’uomo e della vittoria del serpente, evento che ha provocato il proliferare del Male in tutti i successivi millenni, Dio non cessò di amare le sue creature e di provvedere ad esse. Al momento della cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden, “il Signore Dio” – nonostante avesse detto poco prima al peccatore: “Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita …”, tuttavia “fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì”, perché i due derelitti, anche se colpevoli,  non andassero nudi in giro per un  mondo che essi avevano conosciuto come perfetto, perché opera di Dio, ma che ormai era stato contaminato dal loro peccato.  Come dubitare allora dell’amore e della presenza  di Dio accanto a noi, anche nei momenti più tragici della nostra vita?



 

[1] Ultimo discorso alla Curia romana prima della rinuncia, in chiusura degli esercizi spirituali, 23.2.2013.

[2] Cfr. M. Buber, L’eclissi di Dio: considerazioni sul rapporto tra religioni e filosofia, Edizioni di Comunità, Milano 1961

[3] Cfr. Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Genova 1989

[4] Un altro grande esempio è quello del giovane Questore di Fiume Giovanni Palatucci (Montella 1909 – Dachau 1945) deportato a Dachau per aver salvato la vita a migliaia di ebrei. Nel 1990 lo Yad Vashem lo ha proclamato “Giusto tra le nazioni”. Nei suoi confronti si è conclusa la prima fase del processo di beatificazione. Cfr. P. Vanzan, Giovanni Palatucci “Giusto tra le Nazioni” ELLEDICI EDITRICE VELAR 2008.

[5] Il film “La lista di Schindler” di Steven Spielberg (1993) ricostruisce una scena del genere con precisione agghiacciante che può suscitare repulsione, ma in questo modo viene salvaguardata la memoria della più assurda e orribile tragedia del XX secolo.

[6] Catechesi di mercoledì 6.2.2013.

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