Dopo l’articolo di Mons. Brunero Gherardini, “Riflessione sul Magistero ecclesiastico”, pubblichiamo questo contributo di P. Giovanni Cavalcoli, nella certezza che da questo dialogo e da questo confronto fraterno, che Riscossa Cristiana ben volentieri ospita, potrà nascere del bene per tutti noi, sul cammino del rafforzamento della Fede e della fedeltà alla Chiesa e al Santo Padre
PD
=====================
di P.Giovanni Cavalcoli,OP
Ho letto le dotte ed interessanti considerazioni di Mons.Brunero Gherardini, ben noto esponente della “Scuola romana”, circa il modo col quale il Concilio Vaticano II rapporta tra di loro Tradizione, Scrittura e Magistero.
Egli ricorda in modo esatto, così mi sembra, la dottrina tradizionale, per la quale il Magistero vivo, ordinario o straordinario, definiente o definitivo, interpreta infallibilmente con l’assistenza dello Spirito Santo, quella Tradizione e quella Sacra Scrittura che provengono dall’insegnamento orale di Nostro Signore Gesù Cristo, Parola di Dio fatta Persona, Tradizione e Scrittura che assieme, integrandosi a vicenda, costituiscono il sacro deposito della divina Rivelazione, chiusasi con la morte dell’ultimo Apostolo, il messaggio del Vangelo.
E’ questo messaggio quella Parola di Dio salvifica che Cristo ha comandato agli apostoli di predicare in tutto il mondo sino alla fine dei secoli inalterata ed immutata. E la Chiesa da due millenni, assistita dallo Spirito Santo, nei suoi Sommi Pontefici e nei Concili Ecumenici, sta assolvendo con assoluta fedeltà e senza nulla mutare a questo compito divino che ha per fine la salvezza dell’uomo.
In tal modo il Magistero ci media e ci interpreta sia la Scrittura che la Tradizione, nelle quali si esprime la Parola del Vangelo: la Scrittura, Parola messa per iscritto, la Tradizione, Parola annunciata oralmente, anche se ovviamente molti insegnamenti della Tradizione sono pure stati messi per iscritto nel corso dei secoli.
Non mi sento invece d’accordo con l’illustre teologo quando egli critica il modo col quale il Concilio espone il rapporto fra quei tre soggetti dell’annuncio evangelico, distinti tra loro e meravigliosamente ad un tempo tra loro connessi. Egli infatti parla, a proposito del Concilio, di “rimescolamento delle carte che unificò Tradizione Scrittura e Magistero”.
Dice poi che “la Dei Verbum (DV 8-10) fa un tutt’uno di codesti stessi soggetti, distinguendone soltanto le funzioni. Ciò significa che la Tradizione è tutta nella Scrittura, che Scrittura e Tradizione sono un’unica fonte di Rivelazione”. “L’unificazione, pertanto, dei tre soggetti – Rivelazione/Tradizione/Magistero – non rispettandone la distinzione ed implicandola solamente per le correlative funzioni, sembra difficilmente sostenibile: non salvaguarda a sufficienza le peculiarità dei tre distinti soggetti”.
A me pare invece che il Concilio non confonda affatto tra di loro quei tre soggetti – sarebbe impossibile, trattandosi di dati di fede -, ma è semplicemente preoccupato, esprimendosi con un’espressione enfatica (“una sola cosa”), per sottolineare la stretta unione e reciprocità tra quei tre soggetti, tutti convergenti nel farci conoscere in modo certo ed infallibile le Parole del Signore e tutti e tre scaturienti dalle medesime divine labbra del Signore.
Ma mi pare ancora più grave l’ipotesi che Monsignore fa circa il rapporto tra Magistero della Chiesa e deposito della Rivelazione, con particolare riferimento al Concilio, anche se il teologo romano si ferma solo a livello di ipotesi: “Se quella che dovrebb’esser la Parola di Dio in actu secundo non adegua radicalmente totalmente omogeneamente, almeno quanto alla sostanza, la Parola di Dio in actu primo, non potrà affatto pretendere di regolare la Fede ed i costumi dell’esistenza cristiana; non sarebbe infatti garantita dalla Parola di Dio in actu primo, non potendo esser una sua contraddizione in actu secundo. In tal caso, non sarebbe né Parola di Dio, né godrebbe del carisma promesso e della corrispondente infallibilità. Vale a dire che anche il Magistero ecclesiastico può, in ipotesi, sbagliare”.
Il Concilio certamente non ha definito nuovi dogmi. Ma ciò non vuol dire che la sua dottrina dogmatica, trattando di verità di fede o prossime alla fede, non sia infallibile o, come si esprime l’Istruzione Ad Tuendam fidem della Congregazione per la Dottrina della fede del 1998, “definitiva”. Negare infatti l’infallibilità delle dottrine conciliari, come fa Gherardini e con lui altri teologi, crea il forte sospetto che queste dottrine possano essere false o quanto meno fallibili. Infatti l’opposto dell’infallibile, per qualunque mente che usi la logica, è il fallibile. Ma come possono essere fallibili dottrine di fede o prossime alla fede solennemente insegnate da un Concilio ecumenico assistito dallo Spirito Santo?
Certo possiamo avere in qualche documento l’impressione di una discontinuità con la Tradizione, ma ad un attento esame ci accorgiamo che la cosa non sussiste, né per il cattolico è possibile che sussista, altrimenti egli dovrebbe concludere che Cristo ha ingannato la sua Chiesa quando le ha detto che le sue parole non sarebbero passate ed ha promesso che lo Spirito Santo l’avrebbe condotta alla pienezza della verità.
Se il Papa ci ha detto che tra il Vaticano II e il Magistero precedente e quello postconciliare c’è “continuità” (seppur nella riforma), come cattolici dobbiamo crederci e come teologi lo possiamo verificare e dimostrare, senza avanzare un’ombra di dubbio, diversamente non verrebbe a vacillare anche la nostra fede? Quello che possiamo fare eventualmente, se il Sommo Pontefice lo ritiene opportuno o necessario, è di chiedergli che ci mostri meglio, in proposizioni canoniche e chiarificatrici, questa continuità.
Bologna, 23 marzo 2011
]]>