“Angeli custodi. Una presenza amica”, il nuovo libro di Don Marcello Stanzione  –  di Carmine Alvino

di Carmine Alvino

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zangeli-custodi-presenza-amicaUna delle preghiere che quasi tutti i fedeli cattolici conoscono ancora dice così: “Angelo di Dio che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me che ti fui affidato dalla pietà celeste. amen!”. Proprio sugli angeli custodi da poche settimane è stato pubblicato dall’editrice milanese Sugarco il libro di don Marcello Stanzione e della professoressa Angela Rossi intitolato “Angeli custodi. Una presenza amica”.

La teologia dell’angelo custode, nella sua essenza, è integralmente compresa nel testo conciso della preghiera devozionale che abbiamo riportato all’inizio di questa presentazione. Prima di tutto ne risulta che abbiamo un angelo custode, poi che, sebbene ce l’abbiamo, non ci appartiene, ma ci è donato dal Creatore del mondo e infine che le funzioni dell’angelo custode sono grosso modo quattro come le braccia della croce: per noi è insegnante (ci chiarisce, apporta conoscenze), protettore (ci protegge dal male, tutti i tipi di male), consigliere (ci orienta verso le buone azioni, ci propone i criteri di una giusta condotta), e guida mistica (ci mostra la via della salvezza). In una sola parola, la funzione generica dell’angelo è quella di orientarci. Di donarci un buon orientamento sul piano cognitivo, pragmatico, etico e soteriologico. Offriamo ai nostri lettori dieci Tesi per una fenomenologia della protezione angelica:

  1. Non esiste essere creato che non sia sotto protezione. Niente è stato creato sprovvisto di difesa. Proprio perché “essere creato” significa avere un’esistenza derivata, cioè esistere in dipendenza di un principio superiore, “essere creato” equivale a essere assistito. Tutto ciò che esiste è preso in carico dal protettore che l’ha prodotta e solo il libero arbitrio corrotto può staccarsene.
  2. Non esiste nel mondo creato niente di così debole che possa assumere una mansione di protezione e niente di così forte che possa dispensarsi da tutta la protezione.
  3. Non esiste protezione senza il prerequisito della vicinanza del protettore e del protetto. Proteggere significa essere vicino a ciò che si protegge. Vicino per legami di sangue (parentela), per affinità (intellettuale o affettiva), per solidarietà comunitaria (concittadinanza, collegialità, cameratismo) o per continuità spaziale (vicinato). Chi intende assumere questo ruolo di protezione senza rispondere a questa condizione imprescindibile è sospetto. Il protettore mercenario, il protettore “di professione” assiste il suo protetto tenendosi a distanza, la distanza dell’interesse personale immediato o di un’ideologia missionaria che perde di vista l’uomo concreto in nome di una vaga umanità. È efficace solo la protezione che si basa sulla forma o un’altra di amore. Si possono attribuire all’angelo tutte le motivazioni legittime della vocazione protettrice, ed è ciò che si è sempre fatto. Tra l’angelo e l’uomo esiste una parentela ancestrale, originaria. Essi hanno coabitato in una fraternità atemporale, nel paradiso, prima della caduta e si ritroveranno, brillanti (quasi astra, come dice Gregorio il Grande) nella stessa condizione alla fine dei tempi (Matteo 22,30). Tutto il cammino spirituale è un tentativo di recuperare l’isanghelia paradisiaca, la parentela perduta con gli angeli, l’essere uguali a loro. In questo tentativo, i protettori celesti ci accompagnano, “come dei fratelli maggiori” (Isacco il siriano) con i quali abbiamo in comune la natura “razionale” (Gregorio il Grande). L’amore degli angeli per gli uomini riflette l’amore del Padre. Nella loro sollecitudine si esprime anche qualcosa della devozione della maternità e del mistero anagogico della femminilità in generale. La parentela con l’angelo può arrivare fino alla “rassomiglianza” e fino all’identità, come si è visto con la storia di Pietro, negli Atti degli apostoli (12,15). Partendo dalla “consanguineità” degli uomini e degli angeli si postula generalmente la loro comunanza di destino. Sono “compagni di servizio” (Ap 22,9), interlocutori predestinati, compagni della stessa crociata, potenziali concittadini della Gerusalemme celeste. Fermiamoci qui a proposito della parentela. Ma quando noi parliamo di una “comunità di destino” parliamo di più di una parentela. Indichiamo una profonda affinità e una solidarietà durevole. Nel suo bel libro intitolato La Scala Di Giacobbe, il teologo ortodosso Serge Boulgakov parla dell’angelo custode come di un “amico celeste”, una sorta di variante diafana, disincarnata, della nostra identità. L’uomo e il suo angelo cooperano sotto uno stesso giogo, sparano insieme sotto lo stesso attacco. Sono due esseri che hanno la stessa radice, la stessa origine. Due esseri e un unico progetto. È vero che siamo raramente coscienti del progetto che ci contiene. Esso ha luogo, vicino a noi, discreto ma dai contorni non definiti. In altre parole tutti dobbiamo compiere un certo tema ontologico, un tracciato esistenziale, in conformità con l’ordine provvidenziale del mondo. Una vita ben condotta è una vita il cui progetto costante è di identificare il suo proprio tema ontologico. Per arrivarci, siamo – dice la dogmatica cristiana – accompagnati da un angelo che si schiera a favore nostro per lo stesso tema ontologico. L’angelo vive nella chiarezza ciò che noi viviamo nel chiaroscuro. È il modello insieme purificato e individualizzato della nostra salvezza. Boulgakov cita in questo contesto la synanthropia degli angeli, la loro unione incondizionata all’essere che accompagnano. Si potrebbe anche arrivare a dire che se noi non ci fossimo, l’angelo non ci sarebbe più e che se l’angelo non ci fosse, noi non ci saremmo. Ci siamo lanciati insieme sulla stessa strada ontologica e viviamo così fino al di là delle frontiere della vita terrestre. L’angelo si trova presso di noi al momento della morte, ci guida tra i passaggi postumi , ci protegge durante il giudizio finale, e ci conduce “nel seno di Abramo” (Lc 16,22). Sant’Agostino si domanda (La Città di Dio, libro XX capitolo XIV) se noi non ascolteremo, nel giorno del giudizio, il nostro angelo custode raccontare la nostra vita. La sinantropia degli angeli è tale che S. Isacco il siriano li vede “che riposano con noi” per il secolo a venire. Al di fuori dell’angelologia tomista, Guglielmo Schlossinger non esita a credere che il legame esistente tra l’uomo individuale e il suo angelo custode è così personale da avere un carattere unico. Ogni angelo non prende la funzione di angelo custode che una sola volta, per un solo uomo. È solidale fino alla fine, del successo o del fallimento della sua missione e non è automaticamente “trasferibile” a un’altra persona. Parentela, affinità, solidarietà ma anche contiguità se non anche sovrapposizione nello spazio non spaziale dello Spirito. “Ecco, dice Isacco il siriano, il cielo è in te, perché tu sei puro; e potrai vedere gli angeli in te, con la loro luce”. La “vicinanza” molto intima dell’angelo custode con il suo “cliente” rassomiglia ad un abbraccio amoroso e a un vigoroso cerchio strategico. “Gli angeli ti circondano e formano come un muro intorno a te, in modo che tutti quelli che ti tentano si allontanino da te”. L’uomo è anche inseparabile dal suo angelo fino ad essere l’eco del prototipo sonoro che gli corrisponde.
  4. La vicinanza necessaria per esercitare la protezione è inefficace senza un punto d’appoggio al di fuori, un riparo assoluto stabile in lontananza. Tu hai bisogno di essere vicino al nome di uno lontano. Si tratta proprio del luogo spirituale dell’angelo. Egli ci aiuta in nome di una doppia distanza: la distanza dall’origine e quella dall’avvenire. L’angelo viene dall’origine, cioè dalla prossimità lontana del Padre, dal suo volto, e viene dall’avvenire, il che significa che rappresenta il punto di vista del giudizio finale. L’angelo ci è vicino per coltivare in noi la memoria e la speranza, l’idea dell’inizio e l’idea della fine.
  5. La vocazione del protettore si rivela nell’intuizione del momento ottimale della sospensione della protezione diretta. In altre parole, l’esercizio della protezione non deve creare dipendenza, né diminuire in alcun modo la libertà di colui che è protetto. È ciò che non sanno fare né la maternità possessiva, né la pedagogia flaccida. L’interruzione tattica, in circostanze speciali, dell’esercizio di protezione è la forma più sottile di protezione, la più generosa e responsabile. I teologi si domandano da molto tempo se l’angelo ci può abbandonare oppure no. Secondo Origene, ma anche secondo i santi Gerolamo e Basilio il grande, il peccato, nelle sue forme supreme, allontana la collaborazione angelica, “come il fumo allontana le api o i miasmi allontanano le colombe”. Sant’Ambrogio ammette che a volte Dio rimprovera l’angelo dei giusti, finché li lasci combattere da soli, aumentando così il loro merito. La teologia scolastica decide in favore dell’opinione secondo la quale l’angelo non ci lascia mai, anche se in certi momenti si astiene dall’intervenire. In effetti non sembra saggio attribuire al compagno celeste una psicologia rancorosa, del tipo umano. Il suo amore non lascia spazio alle dispute congiunturali, ai capricci, alle delusioni più o meno sincere. È un amore aspro, duro, esigente, ma estraneo alle oscillazioni dell’amore terrestre.
  6. La protezione è una pro-iezione. Il suo obiettivo non è di proteggere da qualche cosa, ma in vista di qualche cosa. Il protettore non si concentra in maniera ossessiva sul protetto, ma sulla sua destinazione spirituale. In altre parole, ciò che deve essere protetto, è tutto un percorso, con il suo punto d’arrivo, e non l’integrità episodica, stagnante, di ogni istante. L’obiettivo della protezione è trascendente. La protezione vera non è mai strettamente difensiva. È creatrice, anticipatrice, offensiva: non è una campana di isolamento, ma un vettore, un lancio. Come proiezione, la protezione è necessariamente annunciatrice. È il mattino che annuncia e prepara il mezzogiorno, così come san Giovanni il Battista, l’uomo- angelo, prepara il cammino e responsabilizza i cuori in vista di un “ad-venire” decisivo.
  7. La protezione è allo stesso tempo profilattica ed esemplare. Esercita, guarisce e istruisce, così come difende. Se questo non è il caso, cade al rango di banale cataplasma, di sollecitudine che smuove. L’angelo non è protettore in maniera severa, ma opera come maestro spirituale, confessore. Non si sostituisce a noi, ma ci dà la chiave dell’autonomia, ci arricchisce, ci preserva dall’ignoranza e da noi stessi, dall’immaturità persistente, e da una sclerosi precoce. L’angelo è per eccellenza l’istanza che ci mantiene vivi, mettendoci al riparo da tutte le malattie spirituali e fisiche.
  8. Messa in opera con intelligenza, la protezione nasconde la presenza del protettore. L’angelo è discreto, il discorso angelico si guarda bene dal rimproverare pesantemente, preferisce trasmettere in silenzio, in un soffio, piuttosto che fare sermoni. La lingua dell’angelo è il silenzio, che Isacco il siriano chiama “il segreto del secolo futuro”. La discrezione dell’angelo va di pari passo con la sua allergia all’idolatria. A san Giovanni Evangelista che s’inginocchia ai suoi piedi e gli dice: ” “Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare” (Ap 22, 8-9). Sant’Agostino avverte, in spirito di estrema vigilanza Paolina, che l’uomo davanti all’angelo deve scaturire amore e non una sterilità ottusa e blasfema: honoramus eos caritate, non servitute.
  9. Esercizio egoistico, ossessionato e maldestro della protezione di se stesso rappresenta un ostacolo alla sollecitudine angelica. Chi si sostituisce all’angelo lo allontana. La cura meschina di se stesso conduce all’orgoglio, alla sufficienza e alla pusillanimità. L’uomo non può essere il proprio angelo custode. “per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? […] “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini” (Mt 6,25,34). “Chi avrà trovato la sua vita, la perderà” (Mt 10,39).
  10. Il fatto di essere protetto rafforza la nostra dimensione protettrice. L’angelo trasmette all’uomo che protegge il mistero della vocazione protettrice, in modo che il protetto impara proteggere a sua volta, a scoprire la sua dimensione angelica.

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Mi auguro che questo libro scritto da don Stanzione e dalla professoressa Rossi riscuota tra i cattolici della nostra epoca l’attenzione che merita.

3 commenti su ““Angeli custodi. Una presenza amica”, il nuovo libro di Don Marcello Stanzione  –  di Carmine Alvino”

  1. Grazie cordialissimo Alvino, per la sua interessante segnalazione di lettura. Lo leggerò sicuramente, cercando di trarne insegnamento.

  2. Che cosa meravigliosa l’Angelo Custode! che il buon Dio c’ ha messo a fianco fin dalla nascita.
    Lo stesso Padre Pio, che era circondato ogni giorno dai Serafini, consigliava ai Suoi fedeli, quando per es. non potevano andare da Lui, perché lontani e con pochi soldi per viaggiare, di mandarGli l’Angelo Custode, che avrebbe fatto da tramite tra Lui e il fedele.
    Angelo di Dio, proteggici dalMaligno,consigliaci per il meglio ,illumina le nostre menti, non permettere che i nostri passi deviano dalla Strada di Cristo Re.

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