di Mons. Brunero Gherardini
Con un po’ di ritardo, consigliato dall’opportunità di non dar corpo alle prime impressioni, decido di metter a fuoco alcune zone d’ombra, e relativi problemi, della Costituzione Apostolica “Anglicanorum cœtibus”(1). Oggi le zone d’ombra si sono sfumate, ma i problemi son rimasti: segno che non si trattava soltanto di prime impressioni. La conversione al cattolicesimo, quando di vera conversione si tratta, non lascia indifferenti i buoni cattolici, nei quali infonde una comprensibile gioia e dal cuore dei quali sprigiona la più viva gratitudine a Dio e sensi di fraterna accoglienza ai convertiti. Purtroppo, nella Costituzione in oggetto e nel caso che intende risolvere e regolamentare, gli elementi dottrinali e pratici della conversione son quasi del tutto assenti.
Com’è ormai risaputo, la Costituzione tutela e disciplina il passaggio – la cui notizia scosse alcuni anni or sono l’opinione pubblica ed i mezzi della comunicazione sociale, ma alla quale oggi più nessuno sembra interessato – d’intere comunità dall’anglicanesimo al cattolicesimo. Tale passaggio ha le sue premesse, anche se non esclusivamente, nell’aperta ribellione d’oltre 200 vescovi della comunione anglicana, i quali disertarono la “Conferenza di Lambeth” riunitasi a Canterbury dal 16 luglio al 3 agosto 2006, a motivo dell’avvenuta ordinazione d’un vescovo dichiaratamente gay (Gene Robinson) e della predisposizione di riti speciali per la benedizione di coppie omosessuali. A Lambeth il vuoto dei “ribelli” non poteva certamente esser colmato dalla presenza di ben tre cardinali cattolici (W. Kasper, I. Dias e Murphy O’Connor), i quali avevan semplicemente e cortesemente risposto ad un invito ufficiale. E’ tuttavia probabile che la loro presenza abbia in qualche misura concorso a creare l’atmosfera d’un incontro in famiglia, con soddisfazione d’alcuni e disappunto d’altri. Certo è che l’assenza dei “ribelli” e le stesse discussioni di quei giorni misero in risalto una situazione di gravissima crisi all’interno della comunione anglicana, già scossa sia dal sacerdozio femminile e da un suo possibile accesso all’episcopato, sia dall’urto tra anglicani tradizionalisti e liberali. Non fa, perciò, meraviglia che non pochi anglicani abbian allora considerato il passaggio alla Chiesa di Roma come la soluzione migliore.
I ripetuti incontri dell’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, con il Santo Padre son certamente rapportabili alla crisi predetta, alle nuove difficoltà di dialogo e alla crescente domanda d’ingresso nella Chiesa cattolica. Nell’incontro del 23 novembre 2006, una “Dichiarazione comune” sottolineò, fra l’altro, “l’emergere di fattori ecclesiologici ed etici, che rendono più difficile ed arduo il cammino” comune. L’allusione alla crisi anglicana ed alle difficoltà pressoché insormontabili che alcune decisioni anglicane avevan creato all’interlocutore cattolico è evidente. Due anni dopo, sia pur non ricorrendo ad una nuova “Dichiarazione comune”, i cattolici da una parte e non pochi anglicani dall’altra vennero ancora scossi da un avvenimento inaudito: l’approvazione da parte del Sinodo Anglicano Inglese, in data 7 luglio 2008, di possibili candidature femminili all’episcopato. La reazione anglicana si concretò nell’aperta decisione di oltre 1300 pastori di passar al cattolicesimo; quella cattolica fu espressa dal Santo Padre, il 12 luglio 2008, in termini di prudenza e di rispetto, con l’auspicio che s’evitassero nuove scissioni e s’escogitasse una soluzione, attenta alle esigenze emergenti e fedele all’Evangelo.
Queste, in estrema sintesi, le premesse da tener presenti per leggere capir e valutare la Costituzione Apostolica “Anglicanorum cœtibus”.
Non tutte le sue affermazioni posson esser, qui, prese in esame: una breve nota, qual è quella che sto scrivendo, non è un’analisi critica. Ma anche questa breve nota intende esprimere valutazioni che discendono necessariamente da un’analisi pensata, se pur non ancora redatta. La Costituzione s’apre con affermazioni relative alla Chiesa, al suo mistero e alla sua struttura. Affermazioni sintetiche ma valide e quindi lodevoli. Non manca, peraltro, qualche motivo di perplessità, p. es. il non specificato concetto di “comunione visibile e piena”; l’unità allargata, introdotta dal discusso “subsistit in” di LG 8; l’allusione assolutamente acritica alla tradizione anglicana, ch’è quella d’una chiesa eterodossa e scismatica, la quale non può affatto “incorporarsi”, in quanto tale, nella Chiesa cattolica e magari con l’intento d’arricchirla.
Assenza di senso critico è anche nelle parole relative alla questione di fondo. Si parla, infatti, della “petizione ripetuta ed insistente” di non pochi anglicani “ d’esser ricevuti (to be received) nella piena comunione cattolica individualmente ed in gruppo (corporately)”; poco dopo s’accenna sia al loro “desiderio d’entrare (to enter)” nella detta comunione, sia a coloro che vi “entrano (entering)”. In casi del genere c’è una parola sola da usare ed alla quale riferirsi: conversione. Non “si entra” né “si è ricevuti” se non sulla base d’un radicale cambiamento di rotta (metànoia), testimoniato da una pubblica abiura degli errori fin a quel momento condivisi con eretici e scismatici(2), o contenuto almeno implicitamente nell’atteggiamento del soggetto qualora, per gravi ed impellenti motivi, cioè in condizioni d’estrema necessità, si trovi impedito di star alla prassi di norma. Solo sulla base della metànoia, cioè del “peccatore convertito, si farà” un’immensa “festa (gioia) in cielo” (Lc 15,7) e ci sarà per lui l’abbraccio del padre commosso, la veste più bella, l’anello al dito, i sandali ai piedi ed il tripudio dell’intera famiglia (cf Lc 15,22-24). La Costituzione, però, non solo è reticente, come ho sopra osservato, sulla conversione, ma consente agli anglicani “ricevuti” dalla Chiesa cattolica il mantenimento della loro tradizione (“…the liturgical books proper to the Anglican tradition…so as to maintain the liturgical, spiritual and pastoral traditions of the Anglican Communion”), come se si trattasse di puri e semplici ospiti in casa cattolica e non di convertiti.
Perché non si parli di conversione non è un mistero: l’ecumenismo non lo permette affatto. Da quando O. Cullmann, in perfetta sintonia con il Movimento Mondiale delle Chiese, sentenziò che l’ecumenismo non esige da nessuno il proprio “sacrificium fidei”, ognuno dovrà restare quello che è – cattolico, luterano, calvinista, anglicano e via di questo passo – pur facendo ecumenismo. L’eventuale conversione al cattolicesimo sconfesserebbe infatti la “ratio Ecclesiae” delle varie denominazioni cristiane acattoliche. Il card. Kasper n’era tanto convinto che, fin dall’inizio delle trattative, promise agli anglicani ogni possibile aiuto cattolico, purché essi non abbandonassero la loro religione.
Qualche tempo dopo (3), il medesimo porporato ricordò che mai aveva esortato qualcuno a convertirsi e che, essendo l’entrata d’un gruppo d’anglicani nella Chiesa cattolica una loro libera decisione, la cosa né dipendeva da lui, né poteva da lui o da altri esser impedita.
Perché il mantenimento della “tradizione anglicana” non sembri una promessa di marinaio o una frase di circostanza, generica, priva riferimenti oggettivi, la Costituzione s’affretta a segnalar in concreto gli strumenti che dovranno salvaguardarla. Il primo e di gran lunga il più importante è l’istituzione d’ “Ordinariati Personali(4) per gli Anglicani che entreranno nella piena comunione con la Chiesa cattolica”; “ipso iure” vien assicurata a tali Ordinariati, da considerare giuridicamente come vere diocesi, la personalità pubblica e giuridica. Ad essi è demandata la facoltà di:
seguire, volendo, la propria liturgia;
aprire propri seminari e stabilirne i programmi;
mantenere nello stato matrimoniale preti e vescovi ammogliati;
chieder al Papa, dopo un attento esame dei singoli casi, l’ammissione al presbiterato di candidati uxorati;
erigere parrocchie personali d’accordo con la Santa Sede ed il vescovo del luogo;
accoglier Istituti di vita consacrata di provenienza anglicana, o istituirne di nuovi;
nominar un Consiglio direttivo d’almeno sei membri, con funzioni paragonabili a quelle dei consigli presbiterali cattolici;
presentar al Papa una terna di candidati, scelti dal detto Consiglio direttivo, per la nomina d’un Ordinario.
Non ci vuol una grand’intelligenza per capire l’enorme confusione che verrà inevitabilmente determinata da tali facoltà, il cui compito sembra quello di legittimar un assurdo cattolicesimo anglicano o un non meno assurdo anglicanesimo cattolico: assurdo, perché la presenza e la salvaguardia della tradizione anglicana in casa cattolica, lungi da giustificazioni canoniche e teologiche, è il trionfo della logica (?) ecumenica e l’affossamento non solo della vera ininterrotta Tradizione cattolica, ma anche della retta ragione: le realtà contraddittorie né convivono né s’amalgamano, si rifiutan a vicenda. Si pensi allo scandalo che provocherà tra i fedeli cattolici la “relaxatio” del celibato ecclesiastico. Ma anche al possibile insorgere d’una loro diretta domanda di “relaxatio” per impedir il ricorso a “due pesi e due misure”(5). E ciò, senza contare le divergenze sul piano dottrinale. E’ vero che oggi non c’è più un anglicano pronto a sottoscrivere le invettive antiromane d’un Blakeney(6) o d’un Palmer(7); anche sotto questi ponti dell’acqua n’è passata parecchia. Eppure è tuttora abissale la divergenza fra la comunione anglicana e quella cattolica:
sul Primato di Pietro e dei suoi successori;
sull’infallibilità del Romano Pontefice;
sulle indulgenze;
su alcuni aspetti della mariologia e su alcuni privilegi della Vergine Santa.
A quanto sopra occorre aggiungere “la ri-definizione dell’ufficio sacerdotale” in base al quale “il prete anglicano è un presbitero, ma non un prete sacrificante…La Chiesa anglicana, dal 1550, non intese più ordinare dei preti in senso romano e ciò dovrebb’esser candidamente ammesso da tutti”(8). Ma c’è di più: gli attuali sviluppi sembran riproporre quella Via media nella quale il grande Newman vedeva l’Anglicanesimo come qualche cosa a metà strada tra il cattolicesimo e la riforma luterana, una strada però da percorrere interamente per tornar in seno alla vera Chiesa, sostenendo contro il protestantesimo l’irrinunciabilità alla Tradizione e contro Roma la necessità di rinunciare a tutte le innovazioni e corruzioni medievali. Nessun dubbio sulla sincerità della proposta relativa alla Via media, nonché a quella riguardante la Branch Theory come passaggi obbligati per il ritorno degli anglicani a Roma, rimanendo nel pieno possesso delle loro peculiarità anglicane. Un bel sogno, ben presto cancellato da Leone XIII con la Bolla “Apostolicæ curæ et caritatis”, del 13 sett. 1896. Oggi quel sogno, almeno in alcuni dei suoi contenuti, ricompare nei rapporti tra anglicani e cattolici. E’ lecito chiedersi se, sul piano sostanziale, sia cambiato qualcosa e che cosa dal 1896 ad oggi.
A breve distanza dalla beatificazione d’un grande convertito dall’anglicanesimo, l’appena citato John Henry Newman, riproduco alcuni brani d’una sua pagina sferzante quanto illuminante: “(La Chiesa anglicana) è un aspetto dello Stato, una forma del governo civile. Non è responsabile di nulla…La ragione per la quale non ha una sua identità…è la stessa per la quale la presente legislatura e le corti non discendono dalle precedenti…Il suo Prayer Book è un atto del parlamento di due secoli or sono, le sue cattedrali ed i suoi capitoli son semplici rimasugli di cattolicesimo…La stessa esistenza della Chiesa nazionale è un atto del Parlamento. Se lo Stato l’appoggia, resisterà all’eresia; ma non se lo Stato l’abbandona…Come la Nazione può cambiar la sua politica, così potrà cambiare la sua posizione religiosa; quelle medesime cause che introdussero il Bill della Riforma (1832), o la libertà del commercio, potranno interferire anche sull’ortodossia e la dottrina”(9). E’ la fotografia d’una Chiesa antitetica a quella cattolica. Guardando la fotografia nel suo insieme e nei suoi particolari, nasce la domanda: E’ possibile, e se possibile è anche giusto decretare la convivenza della comunione anglicana con quella cattolica?
NOTE
1) 4 nov. 2009 – http:/www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/apost_ constitutions/documents/hf_be…
2) Cf VERMEERSCH A. “Periodica de re morali et canonica” 1929, 143.
3) “L’Osservatore Romano” 15 nov. 2009, p. 1.
4) Si tratta d’una figura giuridica non espressamente prevista dal CJC (a meno che non sia equiparata a quanto dispongono i can. 132/3 e 134/1 e4 2), d’istituzione papale, e costituzionalmente vicina alla “Prelatura personale” come quella dell’Opus Dei, nonché ai vicariati o ordinariati castrensi.
5) Qualcuno s’è affrettato a dire che non si tratta d’alcuna “relaxatio” e che “la Costituzione non altera il celibato nella Chiesa latina” (ZENIT 13/11/2009); certamente, la “relaxatio” non è voluta dalla Costituzione, ma questa non potrà in alcun modo impedire il confronto e lo sconcerto dei “due pesi e due misure”
6) BLAKENEY R.P., Manual of the Romish (?) Controversy; being a complete refutation of the Creed of Pope Pius IX, Londra 1901 e Popery in its social aspect; being a complete exposure of the immorality and intollerance of Romanism, Londra 1902.
7) PALMER J.R., Truth or Error, Londra 1907.
8) HARRISON D. E. W., The Book of Common Prayer with the additions and deviations proposed in 1928,, Londra 1946, p. 123.
9) NEWMAN J. H., Difficulties of Anglicans, vol. I, Londra 1850, cit. da REGINA G., L’Anglicanesimo, panorama storico e sintesi dottrinale, edizioni paoline, Roma 1957, p. 64-65.