Il primo marzo del 1963, l’assegnazione a Giovanni XXIII del Premio Balzan per la pace fu interpretata dai teologi modernizzanti, già attivi nell’aula del Vaticano II, e dai numerosi, entusiasti e rumoreggianti giornalisti al loro seguito, quale annuncio dell’ammissione/promozione del Papa Buono al supremo tavolo della politica mondiale.
di Piero Vassallo
.
Teologi e giornalisti, già implacabili critici del pontificato “trionfalista” di Pio XII, disegnarono lestamente, a edificazione dei fedeli stupefatti, un triangolo equilatero, che, sulla base dell’ottimismo senza ritegni, contemplava l’immaginaria ascesa dei due versanti della modernità, l’americano Kennedy e il sovietico Kruscev, verso un vertice rappresentato da Papa Roncalli, autore e direttore universale di una sinfonia intitolata alla Bontà dialogante/giubilante.
Nell’immaginario ecumenico il Vaticano II rappresentò il riuscito tentativo di indirizzare la luce della verità cattolica sul pensiero laico, ossia l’illusione di ammansire e addomesticare le ideologie della modernità, che proprio negli anni Sessanta incominciavano a battere la strada francofortese indirizzata alla catastrofe libertina/sessantottina e ultimamente thanatofila.
E’ dunque lecito definire il Vaticano II concilio trionfale, apprezzato e incensato dai media per le aperture e le concessioni a ideologie capovolte ed estenuate dalle loro labirintiche contraddizioni.
In altri termini, il Vaticano II si può interpretare quale grande illusione nutrita da un’assemblea intesa all’esecuzione del suo progetto anacronistico: stabilire una pace ecumenica con ideologie in discesa furente verso il delirio e l’autodistruzione.
Tale è, a nostro parere, la chiave di lettura del magnifico, avvincente saggio del prof. Paolo Pasqualucci, emerito di filosofia del diritto, “Unam Sanctam Studio sulle deviazioni dottrinali nella Chiesa Cattolica del XXI secolo“, edito in questi giorni da Marco Solfanelli in Chieti.
Pasqualucci fa parte, insieme con Antonio Livi, Brunero Gherardini, Pier Paolo Ottonello, Ennio Innocenti, Fausto Belfiori, Danilo Castellano e Roberto De Mattei, del vertice speculativo del Cattolicesimo militante contro l’errore neomodernista, fumo di satana nella casa di Dio.
Con ammirevole acribia, al termine di un faticoso, pluriennale viaggio attraverso la storia infelice e i verbosi, torrentizi e spesso labirintici documenti pubblicati dalla Chiesa nell’età contemporanea, Pasqualucci è riuscito nell’impresa di produrre un elenco puntuale dei malintesi, degli abusi e delle contorsioni mentali, che hanno accompagnato lo svolgimento del Vaticano II. La sua opera svela, finalmente, gli errori insinuati, fra le righe ortodosse dei testi conciliari, da teologi operanti con abilità prestidigitatoria comunque degna di miglior causa.
La prima obiezione sollevata da Pasqualucci contro lo spirito e la lettera del Concilio riguarda la presenza nell’aula del Vaticano II degli studiosi (Congar, De Lubac, Rahner, Kung ecc.) che erano stati allontanati dall’insegnamento per aver sostenuto le tesi condannate da Pio XII, autore nel 1950 dell’enciclica “Humani Generis”.
Pasqualucci, aggiornando i dubbi manifestati da Romano Amerio e da Brunero Gherardini, domanda come mai teologi in odore di Modernismo “sono stati lasciati partecipare come consultori già alla fase preliminare del Concilio: alla Commissione Teologica Preparatoria diretta dal card. Ottaviani, il quale in passato aveva preso provvedimenti contro di loro, nella sua qualità di Prefetto del Sant’Uffizio? E’ uno dei misteri dell’enigma Roncalli”.
Di seguito è proposta una puntuale e scrupolosa ricostruzione dello sconvolgimento della procedura stabilita dal Regolamento del Concilio promulgata dal Papa.
Di tale “atto di brigantaggio procedurale“, la cui conseguenza fu la bocciatura degli schemi preparatori dai consultori e approvati da Giovanni XXIII, furono protagonisti il card. francese Liénart e alcuni suoi confratelli, i tedeschi card. Frings, card. Dopfner e l’austriaco card. Konig.
Afferma Pasqualucci: “Questo aspetto del Concilio è stato sempre accuratamente rimosso dalla storiografia dal politicamente corretto dominanti. E’ un aspetto particolarmente doloroso perché coinvolge anche la persona del Papa allora regnante. Qualcuno potrebbe infatti sostenere che il vero Vaticano II era quello degli schemi di costituzione ancora pienamente ortodossi approvati dal Papa, la cui discussione fu impedita da una serie di ben organizzati colpi di mano. Ma dopo cinquant’anni e di fronte alla crisi sempre più profonda della Chiesa e delle nazioni cattoliche, si può ancora ritenere che non sia giunto il momento di aprire finalmente un franco dibattito su quelle vicende e sul ruolo in esse svolto da Papa Roncalli?”
Di qui l’avvio di una analisi dall’autore indirizzata ad approfondire la critica alla teologia conciliare fino a condurla all’esito ragionevole, che contempla la legittimità della sua definitiva ricusazione.
Pasqualucci inizia la rincorsa di un tale fine segnalando le scivolose ambiguità del ragionamento, che ha comandato l’attività dei novatori, ossia la critica rivolte dal card. Liénart (e al suo seguito dai cardinali Frings e Bea) alla dottrina che contempla due fonti della Rivelazione, la Scrittura e la Tradizione.
Infatti il cardinale Liénart, “protagonista del colpo di mano che, fin dal primo giorno, fece deviare dal loro corso naturale i lavori del Vaticano II” sollevò il dubbio sulla dottrina tradizionale, ammettendo che la Rivelazione è stata trasmessa per due vie ma aggiungendo l’esistenza di un’altra e più profonda fonte, ossia la Parola di Dio.
Osserva Pasqualucci: “da queste dichiarazioni non sembra che la Parola di Dio, che è la fonte più profonda, venga separata da Sacra Scrittura e Tradizione? … Ma la Parola di Dio, osservo, non esiste per noi unicamente nella forma di Scrittura e Tradizione e niente affatto come altra fonte più profonda rispetto a queste due?”
Pasqualucci sostiene che la pretesa di separare la Parola di Dio dalle fonti esprime, in termini guardinghi e oscuri, l’intenzione, a suo tempo dichiarata dai modernisti, di separare il cosiddetto Gesù della storia dal Gesù della fede, “quest’ultimo costruito da Discepoli e fedeli, ossia dalla cosiddetta Comunità primitiva, che avrebbe trasformato il predicatore itinerante ebreo Gesù di Nazareth nel Figlio di Dio dei Testi“.
[L’interpretazione di Pasqualucci, a nostro avviso, consiglia l’apertura di una finestra critica sui panorami modernistici presenti nelle opinioni ecumeniche formulate da teologi, secondo i quali non è necessario che gli ebrei si convertano alla religione di Cristo vero Dio e vero uomo dal momento che la religione cattolica è surrettiziamente dimezzata e adattata].
Ora il fantasma del modernismo, sotto la pia specie di misericordia esercitata a beneficio degli erranti e degli errori, corre nelle righe dei voluminosi documenti del Vaticano II.
Sfuggente ectoplasma del modernismo è, ad esempio, la dottrina esposta in Lumen Gentium 8, in cui è addirittura proposto un concetto di Chiesa di Cristo più ampio del concetto di Chiesa Cattolica, cioè allargato alle comunità eretiche e scismatiche: sembra che il Concilio proponga un “errore dottrinale terrificante, visto che un concetto allargato di Chiesa di Cristo implica di per sé la negazione del dogma dell’unicità assoluta della Chiesa cattolica, in quanto sola, unica e vera Chiesa di Cristo, al di fuori della quale non c’è salvezza, tranne nei casi puramente individuali di battesimo di desiderio”.
Lo scrupolo ermeneutico, con cui Pasqualucci esamina le pagine più sconcertanti dei testi conciliari mancò ai redattori della Lumen Gentium i quali hanno proposto una nebbiosa e forzosa definizione della Redenzione e una arbitraria dilatazione del Corpo Mistico: “Il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e resurrezione, ha redento l’uomo e l’ha trasformato in una nuova creatura (Gal 6,15; 2 Cor 5,17) Comunicando infatti il suo Spirito, costituisce come suo corpo i suoi fratelli, che raccoglie da tutte le genti“.
La tesi della Lumen Gentium ha quale fondamento (si è tentati di dire alibi) l’avventurosa interpretazione di due brani di San Paolo, a proposito dei quali osserva Pasqualucci: “Da questi due testi dell’Apostolo delle Genti si ricava forse l’impressione che l’uomo sia stato redento e trasformato in una nuova creatura direttamente dall’Incarnazione, Morte e Resurrezione di Nostro Signore? Secondo me, no. San Paolo si limita a dire che ognuno di noi può essere la creatura nuova desiderata da Cristo solo se è in Cristo, cioè se vive da buon cristiano, in pensieri, parole e opere, obbedendo ai precetti della Chiesa. E questo non è possibile se non si fa parte della Chiesa o Corpo Mistico di Cristo”.
Si insinua la spiacevole sensazione che l’universalismo (il cattolicesimo) sia stato alterato e contaminato dalla stravagante tesi sui cristiani anonimi proposta dall’autorevole Karl Rahner e ultimamente abbassato alla meschina figura del cosmopolitismo d’impronta magico/rinascimentale [Gemisto Pletone e Marsilio Ficino] e/o all’umanesimo contemporaneo [frainteso, dal momento che il vertice umanistico del Novecento contempla l’uomo pastore del nulla heideggeriano e l’uomo passione inutile di Sartre].
Il disagio è lo spaesamento della coscienza cattolica sono incrementati dalla lettura di Gaudium et Spes 22, dove si trova il seguente brano: “Poiché in lui [nel Verbo incarnato] la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, perciò stesso è stata in noi innalzata ad una dignità sublime. Con l’incarnazione [infatti] il Figlio di Dio si è unito in certo modo [quodammodo] ad ogni uomo”.
Puntualmente Pasqualucci oppone alla tesi della Gaudium et Spes il giudizio di un teologo della levatura di mons. Gherardini: “l’affermazione che ognuno lo sappia o no è redento in Cristo per il fatto stesso d’esser uomo, non salva chi la pronuncia dall’error in fide. Con maggiore coerenza teologica si potrebbe andare oltre e dire: non salva dall’eresia formale”.
Si pone pertanto il problema di stabilire se è ancora possibile applicare l’ermeneutica della continuità a Gaudium et Spes 22.
Si può quindi azzardare che la credibilità del Vaticano II è appesa al paradossale filo di una continuità discontinua.
La magistrale, devastante obiezione che Pasqualucci indirizza al pensiero rahneriano, motore malcelato della rivoluzione teologica attuata nel Vaticano II, fa scendere in campo un problema che non può essere più oltre eluso: “La natura umana assunta dal Verbo con l’Incarnazione è perfettamente umana, in senso psico-fisico, perché Egli, oltre ad un normale corpo d’uomo, possiede un pensiero, una volontà, un’anima, tanto è vero che durante la Passione esclamò, soffrendo atrocemente nella sua natura umana L’anima mia è triste sino alla morte (Mt 26,38). Ma la sua umanità è anche moralmente perfetta perché è per l’appunto l’umanità del Dio che si è incarnato. Per tal motivo essa ha innalzato la nostra umanità decaduta: ma non in noi bensì in Lui, nell’uomo senza peccato, in Gesù Cristo Nostro Signore! “
Di seguito Pasqualucci dimostra che tale fu sempre la dottrina della Chiesa cattolica e sottolinea l’equivoco insinuato dalla Gaudium et Spes, che cita Calcedonia e gli altri Concili “come se fosse loro l’affermazione secondo la quale l’Incarnazione ha elevato la natura umana ad una dignità sublime anche in noi [comuni mortali]“.
In definitiva si è costretti ad ammettere che il Concilio fece propria l’opinione temeraria di Rahner secondo la quale tutti gli uomini, volenti o nolenti, sono “battezzati” e salvati. Un errore che autorizza alcuni incauti o sprovveduti teologi ad affermare che la redenzione universale è il fatto fondamentale della Rivelazione.
Sorge spontanea una domanda: come è possibile affermare la continuità della Tradizione in un Concilio che ha prodotto testi a dir poco confusi e li ha giustificati mediante citazioni imprecise e fuorvianti? Il dibattito sulla Tradizione, pertanto, deve fare un passo avanti.
.
“Unam Sanctam”, di Paolo Pasqualucci, ed. Solfanelli – pagg. 440, euro 34,00 – per acquisti on line inviare una mail a info@riscossacristiana.it . Per le modalità di pagamento, clicca qui
4 commenti su “Benedire la notte delle ideologie. Il “pio” equivoco del Vaticano II – di Piero Vassallo”
Un libro da leggrte e da diffondere!
Il lavoro del prof. Pasqualucci preceduto da quello di carattere storico del prof, de MATTEI, costituisce una analisi critica delle disposizioni conciliari al fine di comprenderne la fonte che le ha ispirate e le finalità cui tendono. Al giorno d’oggi le pubblicazioni sul Concilio, dopo il fondamentale e ancor oggi valido Iota Unum di Romano Amerio, sono molteplici e hanno completamente sostituito quelle della scuola contraria (quella di Bologna, tanto per intenderci). I fanatici sostenitori del Concilio come nuova Pentecoste sembrano disarmati di fronte a queste nuove analisi del fenomeno Concilio Vaticano II che mettono in crisi l’impianto dell’ermeneutica della rottura. Lo si percepisce anche dai provvedimenti intolleranti e rabbiosi, tipo il commissariamento dei Francescani dell’Immacolata. Altro che pastorale della Misericordia e della tenerezza. Le manifestazioni più recenti, da un anno a questa parte, e sfociate in atti e comportamenti concreti sono proprio certe promozioni, certi allontanamenti e il commissariamento dei F.I.. Questi sono fatti e non parole. Gli effetti del papato di Benedetto XVI fatti di approfondimenti dottrinali e di ferme, seppur caute, prese di posizione a voler salvare la Tradizione e ciò che ad essa s’accompagna, sta producendo i suoi frutti. L’altra parte non sa più opporsi sul piano dottrinale e razionale e si agita con comportamenti caratterizzati da una violenza repressiva e da una scomposta e rozza intolleranza. Segno evidente di debolezza sul piano delle idee. Non scoraggiamoci, perciò e si prosegua con sempre maggiore precisione e fedeltà alla tradizione e acribia teorica e logica. La Ragione deve essere l’altra gamba che sostiene il corpo Chiesa assieme alla gamba della Fede. Dove manca la ragione la fede pasticcia e si perde nei meandri del cieco fideismo o nelle ideologie, fonti sempre di sviamenti eretici.
mi rallegro con il prof. Pasqualucci. finalmente egli affronta il problema alla radice, iniziando anche a ragionare sull’enigma Roncalli (il quale ha chiamato a Roma i teologi riprovati da Pio XII e ha permesso i colpi di mano dei renani). un richiamo a liberarci da un incantamento ormai semisecolare.
Be, scusate la mia ignoranza, ma di fronte a questo articolo semplicemente magistrale(come tutti quelli del prof. Vassallo), pongo una domanda.
Allora Mons. Marcel Lefevbre fu veramente un grande profeta che predisse realmente i disastri provocati da questo Concilio infaustamente dichiarato pastorale?