Bestiario della pandemia – Il delatore

Alla voce “delatore” il dizionario Treccani recita così: “Chi per lucro, per vendetta personale, per servilismo verso chi comanda o per altri motivi, denuncia segretamente qualcuno presso un’autorità giudiziaria o politica, soprattutto qualora eserciti abitualmente tale attività: è stato lui il d.!; fare il d.; certi d. ricoprono l’infamia sotto colore di zelo e di patria carità (Tommaseo). Anche, con sign. più generico, chi rivela a un superiore colpe altrui o il nome del colpevole”. Ce n’è d’avanzo per far entrare in scena una figura immancabile nel bestiario di ogni totalitarismo e dunque profondamente connaturata al Nuovo Ordine Pandemico, pervasivo e intollerante come neanche un Lenin in gran vena distopica avrebbe saputo immaginare.

Chiunque abbia mantenuto un minimo di autocontrollo e di attività critica rispetto alla Vulgata Virale ne avrà colto il primo insorgere, poi percepito il circospetto diffondersi fino alla palese manifestazione in questi mesi in cui le uova di drago si sono dischiuse portando alla luce il più infido dei servi del potere. Qualunque potere.

Il delatore, portatore insano di pensiero che non pensa, diguazza persino con lampi di dignità sul limitare dell’umano, là dove la vita non è altro che controllo sociale, diramazione di direttive e verifica della loro applicazione. Osservatore delle vite degli altri, è uso a scambiare per esercizio di intelligenza il riconoscimento e la denuncia di pensiero e azioni difformi o, peggio, antagonisti: qualunque pensiero che pensi e qualunque azione che agisca.

Ognuno può vederlo all’opera nel vasto oceano pandemico e anch’io, nel mio piccolo di uomo di campagna, posso darne testimonianza. Abito in un piccolo paese della collina bergamasca che, grazie alla ferrea normativa antivirus, ha scoperto il fascino del dibattito sociale e del senso civico. Non più malta e selciato, orto e vanga, caffè corretto e bianco spruzzato. Ora, anche da noi blog locali, pagine Facebook paesane e gruppi WhatsApp di campanile sono diventati un fiorire di denunce, un germogliare di segnalazioni, un piovere di intemerate, un sorgere di richieste di intervento contro gli sciagurati che camminando da soli in aperta campagna osano abbassare la mascherina o addirittura toglierla. E che dire di quegli scriteriati che che se ne vanno per viottoli senza i regolamentari quattro metri quadrati di terreno libero al seguito? E dell’incosciente che raccoglie le ciliegie senza gli appositi guanti? Insomma, ad ascoltare il delatore, io dovrei vivere sotto una cupola di bacilli che ben presto sterminerà il paese intero: e lo si dovrà a tutti quei disgraziati privi di responsabilità che “non rispettano le regole”.

Il delatore si occupa del senso civico e della salute pubblica, due articoli che appena li vedo sul mercato cambio bancarella. Ma non è tanto la merce che tratta a preoccuparmi, quanto il significato del suo manifestarsi pubblico. La sua comparsa ufficiale e dichiarata mostra come il totalitarismo sia ormai operante e accettato di buon grado dalla maggioranza. Prima della stabile intronizzazione del regime, il delatore non osa uscire allo scoperto poiché deve avere copertura ideologica e protezione sociale, deve avere un ruolo riconosciuto dall’autorità e temuto dai cittadini. Quando si manifesta è fatta.

Per quanto si vada dotando dei mezzi che tecnologia e tecnocrazia elaborano con crescente dovizia, la sua struttura rimane sempre quella originaria. Poiché nella testa tiene un minaccioso e sibilante pensiero che non pensa, per conoscerlo bisogna guardargli nella pancia. A tale scopo non c’è anatomia più dettagliata di quella operata da Solženicyn più di mezzo secolo fa. Il delatore Pavel Nikolàevič Rusanov di Divisione cancro pare il ritratto del suo nipotino all’opera nel Nuovo Ordine Pandemico.

La particolarità che rende terribilmente attuale questo romanzo sta nel fatto che la storia è ambientata in un microcosmo dominato dalla malattia paragonabile al macrocosmo dominato dalla macchina infernale del Covid19. È interessante come il delatore, anche lì dentro, non rinunci allo status conquistato grazie alla sua attività, come fosse la sua vera natura, una nuova pelle e un nuova anima che hanno sostituito quelle banalmente umane. “Gradualmente con gli anni si erano sviluppati e in lui e in Kapitolina Matvéevna l’insofferenza per la gente brulicante, per lo stare allo stretto, per la folla. Presero in orrore il tram, il filobus, perché vi si ricevevano sempre spintoni, era facile venire offesi, vi salivano operai edili e altri, con le loro sudicie tute, e c’era il caso di vedersi sporcare il cappotto con l’olio o la calcina. Per di più, vi si era radicato un disgustoso costume familiare di darsi una pacca sulla spalla, e di passarsi il biglietto o il resto, e bisognava fare i servizievoli e passarsi sempre qualcosa di mano in mano”.

Pare una pagina scritta oggi. E, come oggi, è evidente che lo scopo immediato del delatore sia quello di sentirsi al di sopra dei propri simili e tenere nelle proprie mani una quota di potere con cui schiacciarli in qualsiasi momento. Ma sbaglierebbe chi pensasse che che il delatore nasca con un sibilante marchio nell’anima riconoscibile al primo incontro. In Tutto scorre, Vasilij Grossman osserva: “Il più terribile è ciò che v’è di buono in loro; la cosa più triste è che sono pieni di dignità, che sono gente virtuosa. Essi sono figli, padri, mariti teneri e amorosi. Gente capace di fare del bene, di avere grande successo nel lavoro. Questo appunto è il terribile: molto, molto di buono v’è in loro, nella loro stoffa umana. Chi sottoporre a processo, allora? La natura dell’uomo! È lei a generare questi cumuli di menzogna, di abiezione, di vigliaccheria, di debolezza. Ma è pur sempre lei a generare anche le cose belle, buone e pure”.

Attraverso quale meccanismo, allora, un sistema totalitario è in grado di penetrare nella natura umana pervertendola? Come ha mostrato Solženicyn in Divisione cancro, la manipolazione dell’uomo promana da qualcosa di più tremendo e più elementare che il controllo del pensiero e della ragione: è il controllo dell’istinto generato attraverso la paura della morte. È questa la risposta alla domanda di Grossman circa il permanere di dignità, sensibilità e persino virtù nel cuore del delatore, che in qualche modo sono visibili persino nel momento in cui prende il sopravvento l’istinto.

La propria sopravvivenza e non altro è il fine di ogni singolo atto di delazione. E mai questo fine si è manifestato in guisa così palese come in questi tempi di Grande Pandemia, in cui l’uomo teme solo la morte del proprio corpo, anche quando dice di credere nello spirito e nell’anima. Tempi di Grande Delazione in cui ogni delatore sarà comunque prima o poi costretto a fare i conti con la propria fine, come Rusanov allorché comprende che il cancro si fa strada nel suo corpo: “L’orrida escrescenza premeva in su, verso la mandibola, e in giù, sulla clavicola. Si affrettò a raggiungere la corsia. A che cosa pensava ancora. Chi temeva? In che sperava? Il destino era lì, fra clavicola e mandibola. La sua giustizia. Dinanzi a questa giustizia, egli non conosceva protettori, meriti o difesa”.

9 commenti su “Bestiario della pandemia – Il delatore”

  1. Ecco l’essenziale che ci sfugge, soprattutto in tempi in cui un diabolico sistema totalitario possiede l’arma che non sbaglia bersaglio perché genera il terrore della morte: ci sfugge la realtà di una giustizia finale cui si arriva inesorabilmente in un modo o nell’altro. Oh, se si riflettesse su questo, se vi fossero buoni consiglieri che esortassero a meditare sul senso della vita e sulla ineluttabilità della morte… la quale oggi si teme e contemporaneamente si cerca temendola. Mancano la certezza e la speranza dell’Infinito, non ce ne hanno fatto più innamorare, non sanno più farlo, perché essi stessi, travolti dal mondo cui si sono venduti, le hanno sciaguratamente perse.

  2. Splendida prova di scrittura e di profondità. Io il delatore lo avrei solo mandato abbiamo capito dove senza farci troppo caso ma ora ho capito che sarebbe stato poco.

  3. E’ vero che stanno governando attraverso la paura. Non spiegherei altrimenti il comportamento tanto prono da parte di persone che avrei ritenuto con la schiena più dritta. Conosco gente che fino a un certo punto ragiona e capisce, ma poi smette improvvisamente e dice quello che dicono tutti e si comporta come tutti. Usando l’arma del virus hanno trovato la chiave che comanda tutto, la paura della morte.

    1. C’è poi la particolare specie di delatore, quello che va a Messa la domenica ma che per mesi occhiuto ha avvisato la pubblica autorità vedendo qualcuno entrare in parrocchia per pregare (non sia mai organizzassero robe clandestine) e che oggi, seduto compito tra un banco sì e uno no, sarà pronto a denunciare il parroco che non indosserà i guanti di gomma.

  4. Un giornale che teoricamente dovrebbe essere di opposizione (Libero) ogni giorno spacca le scatole preconizzando (o augurandosi?)un nuovo “lockdown”, giustificato con le sparate del solito “esperto” di turno o con accuse all'”irresponsabilità” del popolo.

  5. Molta gente si sta comportando in modo strano. Anche persone che finora erano intelligenti. Ma c’è una spiegazione plausibile. Hanno passato soprattutto le ore serali davanti alla TV.
    Si tratta di messaggi subliminali inviati attraverso il televisore. Niente di nuovo, stiamo parlando di roba vecchia di decenni che si è sicuramente evoluta in forme più raffinate e soprattutto impossibile da dimostrare se non con mezzi ai quali l’uomo comune semplicemente non ha accesso.

  6. Il nostro ineffabile governo ora vuole reclutare 60.000 delatori (pardon, “assistenti civici”). Perfetto stile sovietico

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