Bevo dunque sono. La lezione di Scruton contro la fobocrazia

Per rendersi conto della deriva perversamente nichilista contro il consumo di vino bisogna prima parlare del latte. Basta fermarsi di fronte a un qualsiasi scaffale al supermercato per rendersi conto del delirio parafarmaceutico ostentato con orgoglio dai venditori di latte. Troverete una dozzina di diciture e di formati: cartoni, bottiglie, fresco, a lunga conservazione, omegatre, scremato, parzialmente scremato, scremato per trequarti, pastorizzato, sterilizzato, di alta qualità, UHT, latte di soia, latte di mandorla, latte di riso. Magari uno vorrebbe del semplice latte di vacca, munto e consegnato. Non si può avere. Potete averlo solo se possedete delle vacche e le mungete da voi, altrimenti un semplice bicchiere di latte viene talmente oberato da scartoffie, leggi e regolamenti, che alla fine quasi quasi si rischia la galera.

Questo perché le moderne democrazie hanno paura di tutto, sono delle reali fobocrazie a suffragio universale. Regna la paura. La paura di morire, la paura di star male, farsi male, sentirsi male, la paura di sentirsi esclusi, diversi, bassi, alti, verdi, anormali ecc… la paura di risarcire degli estranei per un qualsiasi capriccio venuto loro in mente messo poi a catalogo delle cose brutte da qualche magistrato in cerca di notorietà.

Per questa ragione si è venuta formando tutta una generazione totalmente impazzita di mullah del salutismo fanatico, i quali, con pazienza non santa, stanno mettendo fuori norma di legge qualsiasi tipologia di prodotto regali un momento di gioia all’uomo. Qualsiasi lavorato dalla sapienza degli avi, distillato di onesto lavoro di mani nostrane, qualsiasi ingegno mosso dall’amore per la vita e dalla gioia di poterla vivere in piena libertà. Sia latte, caffè, formaggio, salume, dolce, salato, pepato o gassato, ma soprattutto tabacchi e alcolici.

Le ragioni di questo fanatismo impensabile e disumano sono da ricercare nell’ideologia del transumanesimo superomista. L’uomo così come è, così come vive, così come ama e persino così come muore, non va più bene. Non è gradito. È un prodotto fallato, da migliorare. Dio, in sostanza, prima di morire, ha pure sbagliato il pezzo forte della sua opera.

Ben venga, inoltre, se l’ideologia si accorda col profitto, soprattutto quello giustificato dalla scienza, la quale ora deve avere campo libero nel riprogrammare stili di vita, società e Dna, anzi, ripensare la vita intera sul pianeta. In ultima istanza, il piagnisteo salutista serve a incolpare chi si ammala. Magari così da giustificare il fatto di non curarlo, o per fare in modo che si paghi (due volte) le cure. Non lo si può più chiamare ciccione o avvinazzato, ma la coerenza degli ipocriti prevede che meriti di crepare.

È ora di mandare a quel paese questa accozzaglia variegata di alcolofobi. Come dice il filosofo inglese Roger Scruton in Bevo dunque sono: “a me pare che sia arrivato il momento di tirare un frego su tutte queste sciocchezze e formulare pochi principi, pochi e semplici”. Li riportiamo liberamente tratti:

Primo: “uno dovrebbe bere ciò che gli piace e nella quantità che gli piace. Questo può anche affrettare la morte, ma è un piccolo costo, più che compensato dai benefici per tutti quelli intorno a noi”.

Secondo: “non si deve infliggere dolore gli altri col bere: bevi quanto ti pare, ma metti via la bottiglia prima che l’allegria ceda il posto all’umor nero. Le bevande con un effetto deprimente – per esempio, l’acqua – dovrebbero essere prese solo a piccole dosi e solo per ragioni mediche”.

Terzo: “il vostro bere non deve infliggere un danno duraturo alla Terra. Affrettando la vostra morte una bevanda non fa danni duraturi all’ambiente: dopotutto siete biodegradabili, anzi questa magari è la cosa migliore che si possa dire di voi. Però, questo non è vero in generale dei contenitori nei quali sono vendute le bevande”. Da cui corollario: “non bevete niente di confezionato in bottiglie di plastica”. Aggiunta psicologica: “La bottiglia di plastica è un capezzolo di plastica”.

Quarto: “rifiutate per principio le bibite analcoliche”. (N.B.: Si intende qui per analcolico il surrogato non alcolico equivalente di una bevanda per sua natura alcolica).

Questo non è un vademecum per alcolisti anonimi, è una ribellione antiproibizionista contro chi chiama libertà l’oppressione, felicità la coercizione, salute il proibizionismo.

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