di Carla D’Agostino Ungaretti
In una precedente riflessione, la vostra amica Carla, cattolica “bambina”, ha messo in risalto la sofferenza umana che si accompagna sempre alle separazioni dei coniugi, soprattutto in caso di adulterio, e ha cercato di introdurre in quelle tristi situazioni una parola di buon senso e di perdono, pur sapendo di andare decisamente contro corrente, perché tutta la cultura dominante in questa nostra strana epoca individualista tende a favorire la separazione, e quindi il divorzio, non appena si verifichi qualche difficoltà nella relazione tra gli sposi. Stavolta cercherà di spostare la sua riflessione sulla conseguenza ineludibile di questo fenomeno: la sofferenza dei figli, parti incolpevoli ma più esposte ad essere travolte per prime dalla tempesta familiare, e cercherà di suggerire umilmente un possibile rimedio della cui natura puramente utopica (agli occhi del “mondo”, però, non a quelli dei cristiani, specie se “bambini”) ella si rende perfettamente conto.
La prima cosa che balza all’occhio quando si discute di questi problemi, è come – nonostante la facilità con cui si riconosce il diritto alla separazione – tutti siano nondimeno concordi nell’ammettere che lo smembramento della famiglia è sempre foriero di dolore e di problemi di varia natura per i figli minori, dall’immotivata convinzione di essere la causa della separazione, con conseguente senso di colpa, al peggioramento nel rendimento scolastico, all’insorgere di insicurezza caratteriale e disadattamento sociale. Ma di questo la vostra amica parlerà più avanti.
Anzitutto bisogna riconoscere che in molti casi buona parte di responsabilità deve essere attribuita agli avvocati matrimonialisti, i quali finiscono per rivelarsi i peggiori nemici della coesione familiare perché, facendo il loro mestiere di difensori dei diritti individuali (tra i quali, come è noto, oggigiorno viene compreso anche il divorzio) essi mirano sempre ad ottenere i risultati più favorevoli al loro assistito, trascurando l’interesse dei figli che invece dovrebbe avere un valore prioritario. Spesso questo gravissimo problema viene liquidato con l’asserzione che per i figli stessi sarebbe comunque meglio una serena separazione tra i genitori piuttosto che crescere in una situazione conflittuale; a nessuno viene in mente che bisognerebbe piuttosto prevenire i conflitti esercitando sulla coppia in pericolo un’adeguata assistenza psicologica, umana e morale, perché il matrimonio e la famiglia non sono fatti privati dai quali il resto della società deve essere tenuta lontana, ma costituiscono il fondamento e l’ossatura della compagine sociale stessa (<<ma allora>> replicano gli smaliziati amici di Carla <<gli avvocati matrimonialisti dovrebbero cambiare specializzazione o addirittura mestiere…>>)
Il cosiddetto affido condiviso(1), teoricamente una saggia ed efficace innovazione, spesso in realtà si è rivelato più un aggravio di lavoro per i giudici, chiamati a dirimere le differenze di indirizzo educativo tra i genitori, che una fonte di stabilità psicologica e di serena crescita dei figli, per cui spesso si ritorna al precedente orientamento di affido esclusivo, rivelatosi sempre causa di insicurezza affettiva nei ragazzi e di frustrazione nel genitore non affidatario, quasi sempre il padre. E che dire quando il rapporto di coppia è conflittuale e i coniugi dimenticano che l’alleanza tra i genitori – anche se è cosa difficilissima da ottenere quando è in corso una separazione – è fondamentale per la serenità dei figli? Che dire quando ciascun coniuge cerca di tirare il figlio dalla propria parte, usandolo come arma contro il partner diventato un nemico? E’ terribile constatare quanto siano devastanti per i figli questi atteggiamenti motivati da rancori di vecchia data che i coniugi non sono riusciti a superare. E’ noto che la stragrande maggioranza dei figli dei separati vive con la madre, usanza che ha provocato inevitabilmente un indebolimento della figura paterna, e infatti come è possibile che un padre possa svolgere il suo naturale compito educativo, se è costretto a rinunciare alla quotidianità con i suoi figli e a diventare una figura che essi incontrano solo periodicamente? Questa situazione può essere causa di una maturazione precoce del figlio che si vede attribuito un pesante ruolo che non gli compete e che lo può indurre a escludere il padre dalla propria vita, attribuendogli la colpa di averlo messo in quella posizione. I figli – in questa situazione (e specialmente quando sono stati contratti nuovi matrimoni) – sono costretti a spostarsi periodicamente da una famiglia all’altra, a partecipare a diversi ménages, a diverse abitudini, a diversi sistemi educativi che fatalmente finiscono per farli sentire estranei sia all’una che all’altra famiglia.
Questo problema è spesso affrontato dai mass – media. In un talk – show RAI – cui capitò alla vostra amica Carla di assistere(2), nonostante (come detto altra volta) non sia un’appassionata di questo tipo di trasmissioni – la discussione verteva proprio su questo argomento. Tutti i partecipanti al dibattito erano concordi nel riconoscere l’importanza delle due figure genitoriali nella vita dei figli minori e concludevano auspicando l’avvento di una “rivoluzione culturale” che, in caso di separazione dei genitori, provocasse una sorta di “desessualizzazione” degli stessi al fine di non privilegiare comunque la madre e colmare lo squilibrio che di fatto si verifica. La vostra amica Carla, cattolica “bambina”, notò con rammarico che a nessuno dei partecipanti al dibattito era venuto in mente di schierarsi dalla parte del matrimonio, proponendo un’adeguata assistenza umana, spirituale e psicologica alle coppie in crisi, finalizzata ad aiutarle (nella loro infelicità) a ritrovare le radici di un amore che, se una volta è esistito, può essere fatto rinascere ricomponendo la frattura, proprio avendo in vista il bene primario della serena crescita dei figli.
Secondo la vostra amica non si potrà mai ricavare effetti benefici da una causa perversa, vale a dire dalla separazione dei coniugi in presenza di figli. Il legame coniugale lascia un segno indelebile nella vita degli uomini e delle donne, anche quando fallisce e questo lo ha ben capito la Chiesa cattolica che è sempre rimasta fedele all’indissolubilità del matrimonio voluta da Cristo. Come si fa a sciogliere un vincolo matrimoniale quando è stato messo al mondo un figlio? Il legame naturale e indistruttibile rappresentato dal figlio terrà sempre moralmente uniti i genitori, anche se non più giuridicamente. Quand’anche diventassero ex coniugi, potranno mai diventare ex genitori? E quand’anche decidessero di non avere figli, potrebbero mai diventare essi stessi ex figli? E’ impossibile pensare di comprendere l’importanza delle relazioni umane se si prescinde dal vincolo e dalle responsabilità che esse comportano. E’ impossibile comprendere la natura dei legami familiari se si considera soltanto accessoria la responsabilità verso l’altro, sia esso coniuge, genitore o figlio.
Mettere al mondo dei figli non significa solo provvedere al loro sostentamento e alla loro crescita: vuol dire anche coinvolgerli in quel patrimonio etico e affettivo che ogni giorno viene immesso in circolo tra i membri della famiglia e da cui si origina la qualità dei legami, solidarietà, mutuo sostegno, cura, attenzione reciproca. Non per nulla Benedetto XVI non si stanca mai di ripetere che i buoni educatori devono essere prima di tutto testimoni credibili, prospettando uno scenario antropologico in cui prende forma quella che si potrebbe chiamare etica della consegna perché, invece di essere trasmessa in senso verticale, dal più vecchio al più giovane, essa viene fatta circolare orizzontalmente in più direzioni tra tutti i membri della famiglia. Anche i figli, infatti, trasmettono valori propri che arricchiscono i rapporti parentali(3). Come può avvenire tutto questo, se diamo per scontata la possibilità del divorzio?
Parlavamo poc’anzi dei problemi che investono gli incolpevoli figli dei separati. Alcune ricerche condotte al riguardo(4) hanno evidenziato come le conseguenze citate sarebbero gli effetti a breve termine osservabili nei primi due anni dopo la separazione. Ma non sempre l’esistenza del disagio (i cui sintomi consisterebbero in ansia, bassa autostima, tendenza alla depressione) si manifesta esteriormente: spesso essa deve essere fatta emergere perché i bambini possano essere aiutati ad affrontarla, e questo rende particolarmente arduo il compito degli insegnanti e degli educatori in genere, perché i genitori non sempre se ne accorgono o non ne tengono conto. Inoltre sono stati riscontrati anche gli effetti a lungo termine che la separazione dei genitori può esercitare sui figli: molti problemi che sembrano assenti in età infantile possono manifestarsi nell’adolescenza o in età giovanile adulta, quando cioè i figli sono chiamati a progettare la propria vita futura e se ne ritrovano spesso come “impediti” sia sul piano affettivo che su quello professionale. Sembra constatato che i figli dei separati, privi di un modello di riferimento di famiglia stabile, avrebbero più difficoltà degli altri a impegnarsi in relazioni affettive durature, mostrando maggiore tendenza a sperimentare precocemente rapporti affettivi e sessuali occasionali.
Secondo studi sociologici condotti nel mondo anglosassone, dove l’istituto del divorzio ha radici molto più antiche che in Italia, tre suicidi su quattro in età adolescenziale coinvolgono ragazzi che vivono con un solo genitore; le bambine che vivono con la madre e il suo nuovo compagno hanno il 3,7% di possibilità di subire abusi sessuali domestici, contro lo 0,2% di quelle che vivono con entrambi i genitori biologici. Negli U.S.A., poi, sembra che l’aumento della violenza sia parallelo a quello della crescita in famiglie abbandonate dal padre e, nei quartieri con alto tasso di criminalità, diventa delinquente il 90% dei bambini cresciuti in famiglie instabili(5).
In un libro pubblicato nel 2005, la studiosa americana Elizabeth Marquardt ha preso in esame 1.500 giovani adulti appartenenti sia a famiglie divorziate che a famiglie sane e ha svolto approfondite interviste su più di 70 di loro(6). Nel matrimonio sano, ella spiega, i genitori possono presentare diversità caratteriali, proprio perché sono esseri umani diversi, ma essi si sforzano insieme per superarle, riuscendo a dare alla vita familiare un senso unitario. Invece il divorzio spesso incoraggia gli ex coniugi a definirsi in opposizione l’uno all’altro. In questo modo le convinzioni e i valori dei due genitori, anziché trovare un equilibrio tra loro, sussistono in parallelo, creando contrasti e conflitti piuttosto che unità per i figli, i quali spesso sono feriti anche dal modo in cui si svolge il divorzio. Infatti spesso gli adulti sono vulnerabili e in stato di angoscia o sotto shock per il dolore del loro fallimento e ciò significa che i figli dispongono di minore attenzione da parte dei genitori proprio quando ne hanno più bisogno.
Allora, osserva la vostra amica – che non ha certo la bacchetta magica capace di risolvere questi tremendi problemi, ma ha sotto gli occhi la vita quotidiana del nostro tempo e (come più volte ha ripetuto) ha una visione cristiana dell’esistenza – se è universalmente riconosciuto che la separazione dei genitori è un evento devastante per i figli e produce in loro conseguenze altrettanto devastanti, allora la vera e fruttifera rivoluzione culturale auspicata nel dibattito televisivo dovrebbe consistere, non già nella “desessualizzazione” dei genitori – espressione ambigua, questa, perché può contribuire a inoculare surrettiziamente la convinzione che i genitori possano essere anche dello stesso sesso – ma in un forte movimento di opinione, sostenuto da tutte le forze sociali, finalizzato a supportare con qualsiasi mezzo le famiglie in crisi e
ad evitare la separazione dei coniugi. La vostra amica Carla vorrebbe, per una volta, sentire concordi tutti gli operatori sociali, gli intellettuali e i maitres à penser che influiscono sulla genesi dell’opinione pubblica, politici, sindacalisti, giornalisti, pediatri, avvocati, psichiatri, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, educatori, allenatori sportivi, esortare a gran voce – con tutti i mezzi a loro disposizione e di loro competenza – i coniugi in crisi a far tacere i loro egoismi personali, almeno fin a quando i figli, divenuti adulti, possano metabolizzare meglio l’incompatibilità dei loro genitori, invitandoli – se sono persone di onesto sentire – a trovare comunque un accordo o farsi aiutare a trovarlo. Ma, da cristiana, ella deve essere anche realista e allora si rende conto che questa proposta purtroppo è pura utopia: in questa nostra triste epoca la zizzania seminata dal “nemico” nel campo del Padrone (Mt 16,28) è già cresciuta rigogliosa…
Ma può verificarsi anche il caso (e la vostra amica ne ha conosciuti) che una coppia di genitori scopra al proprio interno un’insanabile diversità di Weltanschauung ma, essendo animata da onestà di intenti e da una costruttiva volontà educativa, rinuncia alla separazione per amore dei figli. Questa decisione dovrebbe essere incondizionatamente approvata e sostenuta, ma che fare in questo caso? Si dovrà adottare una soluzione di compromesso? Uno dei due genitori dovrà rinunciare al proprio progetto educativo per dare spazio a quello dell’altro? Non si verificherà una discrasia nell’indirizzo educativo dei figli che finiranno per appellarsi al genitore ritenuto più permissivo? Ardui interrogativi, questi, cui non sembra che a tutt’oggi la pedagogia moderna abbia saputo dare una risposta (e tanto meno una risposta ce l’ha la vostra amica) perché la tendenza sociale preme comunque tout–court per la separazione dei coniugi, soluzione più semplice e sbrigativa.
Ai cattolici “bambini”, rimasti gli unici a difendere la famiglia come istituto di diritto naturale, non rimane (paradossalmente) che sperare che il “mondo” torni a riflettere su quanto aveva intuito il pagano Aristotele 2.400 anni fa: Il vincolo tra marito e moglie è cosa naturale: l‘uomo, infatti, è per sua natura più incline a vivere in coppia che ad associarsi politicamente, perché la famiglia è qualcosa di anteriore e di più necessario dello Stato(7). Quindi il matrimonio per sua natura deve essere indissolubile.
NOTE
1) Introdotto in Italia dalla legge n. 54 dell’8.2.2006
2) Cfr. “Mattina in famiglia”, 12.9.2010
3) Cfr. Paola Ricci Sindoni, Una “casa” dove vivere l’etica della consegna, AVVENIRE 3.1.2012.
4) Cfr. Il cambiamento demografico. Rapporto – proposta sul futuro dell‘Italia a cura del Comitato per il progetto culturale della C.E.I. – Editori Laterza 2011.
5) Cfr. Giacomo Samek Lodovici, Genitori separati. I figli soffrono, in IL TIMONE, n. 63/2007
6) Cfr. E. Marquardt, Between Two Worlds. The Inner Lives of Children of Divorce. Crown Publishers.
7) Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, 1162a, 16- 19.