CARLA E LA “VERITA’” – di Carla D’Agostino Ungaretti

di Carla D’Agostino Ungaretti

 

Tempo fa Carla, la vostra amica “cattolica bambina”, ha ricevuto un regalo decisamente provocatorio da parte di un suo vecchio amico, antico compagno di università e appassionato sostenitore delle moderne teorie che negano l’esistenza di una qualunque Verità. Si tratta di un libro di un noto filosofo italiano – alfiere del relativismo nel nostro paese – uscito un paio di anni fa e intitolato “Addio alla verità”. Il libro si compone di una serie di articoli scritti per giornali diversi ma aventi un unico filo conduttore e cioè l’assioma che la norma del discorso non è la verità ma il consenso.vattimo

Ciò che si deve perseguire, secondo l’Autore, è “una condivisione comunitaria che non dipende dal vero o dal falso degli enunciati”. La conseguenza immediata di questa teoria, riconosciuta dallo stesso Autore e coerente con tutto il suo pensiero, è la constatazione dell’inesistenza di qualsiasi forma di verità filosofica, morale, antropologica e, se spingiamo il discorso fino alle sue conseguenze estreme, neppure scientifica.

Carla, “cattolica bambina”, ha trovato intrigante la lettura di questo libro perché si è sentita sfidata a rispolverare gli antichi ricordi della filosofia studiata al liceo classico in epoca pre-sessantottina. Infatti ancor prima di iniziare la lettura si è resa conto, dallo stesso titolo dell’opera, che quella tesi non è certo una novità: nel IV secolo a. C. la corrente filosofica greca dei Sofisti, notando il frequente dissidio tra esperienza e ragione, era arrivata a negare l’esistenza di una verità non suscettibile di smentita, necessaria, valida e definitiva per tutti, radicalizzando l’ossimoro secondo il quale l’unica verità (se di verità si può parlare) risiede nelle discordanti opinioni degli uomini.

Ma c’era di più: i Sofisti arrivarono a sostituire la verità con la tecnica del linguaggio, con la quale si è in grado di trasformare le opinioni degli uomini e della società e si è quindi in grado di orientare il corso della vita verso quelle forme e quegli ordinamenti che il tecnico ritenga migliori di quelli attuali. Ecco quindi, come asserisce l’Autore, che la norma del discorso non può essere la verità, ma la capacità tecnica di persuadere conformemente a dei fini, il che – in ultima analisi – sfocia nella ricerca del predominio sugli altri uomini. “I Sofisti ha pensato Carla, alla quale sono subito venute in mente le sanguinarie dittature del XX secolo “sarebbero stati fieri di questo loro allievo vissuto 2500 anni dopo di loro!”

Gesù e PilatoInfatti queste tesi hanno attraversato, più o meno latenti, tutto il pensiero umano degli ultimi 2000 anni ma hanno trovato una nuova vitalità nella seconda metà del ‘900 con il relativismo e il nichilismo oggi dominanti. Carla, da “cattolica bambina”, non vuole certo addentrarsi in astratte disquisizioni filosofiche ma mantenere, come sempre, la riflessione su un piano di semplice buon senso comune. E allora si domanda: che cosa succederebbe se il significato della vita umana, con tutti i suoi innumerevoli eventi positivi e negativi, con tutti i suoi drammi, i suoi dolori, le sue gioie, venisse fatto poggiare solo una traballante autoreferenzialità? Che cosa succederebbe se si facesse strada, nel comune sentire degli uomini, la convinzione che la Verità non esiste? Parafrasando la celebre affermazione che Dostojewskj mette in bocca al più giovane dei tre fratelli Karamazov, potremmo dire che “se la Verità non esiste, tutto è concesso”. Se la Verità non esistesse, saremmo tutti legittimati a mentire, a truffare, a ingannare e anche a uccidere, se questo ci facesse comodo, perché non esisterebbe più un’unica morale o, volendo esprimersi in termini più “laici”, un’unica etica. Si potrebbe obiettare che l’omicidio ha un effetto sociale destabilizzante e perciò andrebbe comunque punito al fine di mantenere l’ordine pubblico, ma una volta inoculata nelle menti l’idea di fondo che neghi come verità assoluta la sacralità della vita umana, chi potrebbe più credibilmente sostenere che la vita altrui sia altrettanto importante della nostra? Avremmo perciò molte attenuanti se volessimo eliminare dalla nostra strada chi fosse di ostacolo al raggiungimento dei nostri fini e non soltanto il bambino non ancora nato o il malato inguaribile (il che, purtroppo, già si sta verificando con il consenso sociale) ma anche colui che ci ha fatto del male o ci è semplicemente antipatico, legittimando così la vendetta privata e – arrivando alle estreme conseguenze, come del resto fa l’illustre Professore nel suo libro – assestando un vigoroso colpo allo stesso diritto positivo penale.

In un mondo senza verità non si può vivere a lungo; dove si rinuncia alla verità si continua a vivere in silenzio solo perché essa non si è ancora veramente spenta, così come se si spegnesse il sole, la sua luce rimarrebbe ancora per qualche tempo e potrebbe ingannare sulla notte dei mondi, che in realtà sarebbe già cominciata(1). Niente può esprimere meglio di queste parole di Benedetto XVI la necessità assoluta che ha l’Uomo di aggrapparsi alla Verità, anche se spesso non se ne rende conto.

Sono problemi tremendi, questi, con conseguenze tremende anche nel campo dell’educazione delle giovani generazioni. Gli adolescenti chiedono, più o meno consapevolmente, punti fermi, ancoraggi sicuri cui attaccarsi, ma oggigiorno né la famiglia, né la scuola sembrano capaci di dare risposte. In un famoso film americano degli anni ’50 del secolo scorso, Gioventù bruciata”, il protagonista – adolescente e figlio unico di genitori borghesi nell’America calvinista di quegli anni – si ribella senza motivo apparente al mondo degli adulti, al quale chiede “risposte” autentiche e vere. Ma i genitori, la scuola, gli stessi suoi coetanei non sanno dargliene, perché il loro orizzonte mentale è limitato al semplice perseguimento di ciò che di momento in momento può sembrare opportuno, ma può diventare inopportuno in una situazione diversa, non di ciò che è veramente buono o veramente giusto, perché essi ignorano quale sia la Verità. Il finale sarà tragico.

Quando il film uscì in Italia, la nostra società era ancora patriarcale e incardinata sui valori della famiglia, della scuola e della fede; i cattolici, quasi tutti ancora “bambini”, dissero che quelle situazioni non si sarebbero mai potute verificare da noi. Cinquant’anni dopo molti di quei cattolici sono diventati “adulti” e devono tristemente ricredersi cercando seriamente le risposte agli interrogativi che scaturiscono dal pensiero relativista e nichilista. Chissà se l’illustre Professore, antesignano del “pensiero debole” in Italia e autore del libro che ha fatto tanto riflettere la vostra amica Carla, sarà in grado di dargliele?

 

NOTE

1) Cfr. Joseph Ratzinger Papa Benedetto XVI, Perché siamo ancora nella Chiesa, Rizzoli 2007, pag. 155.

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