CESARE ANGELINI, SACERDOTE LETTERATO – di Piero Nicola

di Piero Nicola

 

 

Fu un sacerdote scrittore, definito da Papini “il prete d’Italia più dotto in lettere italiane”, e da lui elogiato anche come esegeta della Sacra Scrittura.

Sino al 1956, quando rese l’anima a Dio, Papini, che l’Angelini stimò degno del Premio Nobel, risulta essere un suo corrispondente privilegiato, nell’epistolario I doni della vita (1985) che raccoglie una scelta delle sue lettere pubblicate a cura del Collegio Borromeo di Pavia, del quale egli fu rettore per oltre un ventennio a partire dal 1939.

Nacque nel 1886 da famiglia contadina nel circondario di Pavia, dove ricevette l’ordinazione sacerdotale. Chiamato ad insegnare materie letterarie al seminario di Cesena, divenne amico e ammiratore di Renato Serra, tradizionalista e carducciano. Nel 1916 fu arruolato cappellano degli Alpini, quando il trentunenne letterato cesenate aveva già chiuso gli occhi per sempre sul Podgora.

Nella sua formazione stilistica egli partecipò della multiforme temperie letteraria senza prendere partito, ma affinando il gusto e la penna. Nel secondo dopoguerra, ebbe a rivalutare la trascorsa epoca di emeriti scrittori e critici, allora convenientemente influenti ed apprezzati. Lamentò una “critica di ragionieri”, che stava disorientando, guastando i giovani. In una lettera indirizzata a Giuseppe De Robertis, ultimo pilastro de La Voce, ricordando Renato Serra, che non era stato un conformista e di cui si organizzava una commemorazione, lo dice “tanto più sinceramente rimpianto quanto più si stringe intorno a noi il numero degli spudorati gaglioffi”. A Prezzolini, che aveva preceduto il De Robertis alla direzione della celebre rivista, scrive, a proposito di una visita resagli da Ardengo Soffici: “avevamo l’impressione d’essere dei sopravvissuti, in quest’ambiente letterario così mortificato e falso, senza coraggio. Dopo Papini (‘49), dopo te (‘57), Soffici ha completato la visita della “Voce” al Borromeo; e io sto scrivendo “tre visite al Borromeo” risuscitando memorie […] d’un’epoca che rimarrà a lungo gloriosa nella storia letteraria d’Italia”.

angCesare Angelini rese il debito al sacro ministero e all’apologetica tenendosi sulle rotaie della Dottrina tradizionale. Vi seppe piegare il suo amore per le belle lettere, che lo tentava con l’attrazione dell’inventiva, della creazione, della fantasia. Né si fece sviare dalla propria natura piuttosto incline alla mondanità, e sensibile al fascino muliebre. Nello stesso epistolario compaiono dei mea culpa e dei ringraziamenti a chi lo aveva fraternamente corretto. Ne Il Regno dei Cieli (1950) scolpì questa certezza: “la fede è il ritrovamento della ragione, non la rinuncia della ragione”.

La passione per il Manzoni, sul quale compose un’opera voluminosa e originale, premiata da varie ristampe, dovette contribuire alla vigilanza di se stesso. I suoi saggi su narratori e poeti antichi e contemporanei continuano a renderci disponibili letture pregiate. Egli prestò collaborazioni di terza pagina a vari quotidiani e riviste, e sempre affinò gli scritti precedenti, li risistemò, non già per quel supposto deteriore impegno della “prosa d’arte” (che, in generale, fu buona o ottima letteratura), ma per un retto intento di perfezionamento, comprensibilissimo, secondo lo scrupolo di dire la cosa più giusta nel modo migliore. All’Almo Collegio Borromeo diede la rivista “Saggi di Umanismo Cristiano” (1946-1955), edita dallo stesso Istituto di degni corsi universitari.

Angelini osservò la teologia morale nei giudizi più vari. Giunta notizia della conversione di Curzio Malaparte, occorsagli in punto di morte, cautamente e scevro da un tono ingeneroso, scrisse che “‘si fa più festa in Cielo per un peccatore pentito…’ Ma in Cielo, dove ogni segreto della vita è rivelato: in terra ci vuole pudore”.

A Tommaso Gallarati Scotti, articolista del Corriere della Sera (2.6.1960), nomina un “senso di minaccia portata da un’ideologia, vero spavento di tutti gli uomini che ancora sentono la responsabilità di salvare i valori eterni della civiltà. E lei, caro Duca, ha tanto merito in questa difesa, difesa delle parole del Vangelo dov’esso è più altamente umano, cioè divino”.

L’ideologia accennata poteva essere la comunista, in fondo, però, irreligiosa quanto la dottrina del socialismo, tradizionalmente condannato dalla Chiesa. E correva l’anno in cui si preparava il centro-sinistra, ossia l’alleanza dei cattolici con i socialisti.

Cesare Angelini fece due pellegrinaggi in Palestina, nel 1932 e nel 1937, quando insegnava lettere al Seminario di Pavia, e del 1937 è il suo Invito in Terrasanta. Le impressioni ricevute in quei soggiorni sui Luoghi della Storia rivelata e le idee maturate sull’apporto di essi alla comprensione della Sacra Scrittura, lo portarono a pubblicare nel 1959 Terrasanta Quinto Evangelo.

Introducendo il libro, che illustra i sensi religiosi provenienti dalle antiche vestigia, e ancor più suscitati dai paesaggi naturali, l’autore ammette d’aver preso il titolo da una frase di Renan, secondo il quale, per comprendere appieno i quattro Vangeli, bisognava aver visto la Terra Santa. Quasi per l’esplicazione d’un convincimento prima inespresso, egli aveva fatto suo l’accordo dei testi e dei luoghi, essendo i luoghi una guida alla comprensione dei testi; non esimendosi tuttavia dal ricordare l’imperdonabile torto di Renan, consistente nell’aver tolto al Signore l’”aureola divina”. Inoltre, a conforto della tesi, egli allega San Girolamo “cittadino di Betlemme”, che affermò un concetto analogo, inducendolo a compiere il viaggio devoto. Quindi, per lui quel pellegrinaggio divenne passione di tornare, di riprovare le suggestioni, di sviluppare le conoscenze.

“Se Atene ha creato la bellezza per sempre e Roma ha istituito il Diritto per tutte le genti, Gerusalemme ha creato la fede per sempre e per tutti”. Il Vecchio Testamento mena a Gerusalemme, la vita di Cristo converge su questa città, che allude alla Città celeste.

Il bravo letterato le cui fiorite invenzioni retoriche, i cui volanti traslati non intaccano la lieve armonia del linguaggio, tanto più scrive e descrive nitidamente, delicatamente, intorno alle cose bibliche, e con l’opportuno discernimento. Senza tralasciare le realtà profane, anche spiacevoli, sovrapposte alle realtà impresse nella memoria dalle pie letture, dalla liturgia, egli fa emergere l’essenza religiosa, ovvero le seconde dalle prime, esente da artifici.

La meravigliosa storia della Vecchia Alleanza, ricca di prodigi, visitata da Dio che parla ai grandi protagonisti del Popolo Eletto, si ritrova nei villaggi, in cittadine, sotto un nome musulmano, nelle rovine di città scomparse.

Gerusalemme, la città del Tempio, richiama il cielo, espone l’innesto della nuova religione cristiana, nonostante che il Getsemani presenti, al posto dell’orto, un giardino e una Basilica, nonostante l’incresciosa sensazione di “luogo devastato”, seminato di minareti, di costruzioni dell’infedeltà, come la moschea, che fu tempio cristiano, sopra l’antico Tempio distrutto. I punti più santi, il Calvario e il Sepolcro, cancellano le immagini della Passione e della Gloria, essendo occupati da santuari dovuti, originariamente, alla pietà di Sant’Elena, che ebbe il lodevole intento di preservare dovunque i segni e i manufatti su cui l’Uomo-Dio lasciò le sue impronte, sia nei momenti eccelsi del Sacrificio e della Resurrezione, sia predicando altrove.

Il pellegrino, mediante la fede, trascende i misfatti umani. Sulla Via Dolorosa spesso s’inginocchia. Al Calvario, modesta collinetta, sotto le volte della Chiesa del Santo Sepolcro, toccando la buca dove fu piantata la croce, il cielo si spalanca sulla città di Davide; la vicina roccia spaccata riconduce al terremoto, al velo squarciato nel Tempio, quando Gesù spirò sulla croce.

Quasi ogni visita obbliga a valutare il mondo, il nemico passato e attuale dappertutto, persino sulle memorie più sacre, dove si compirono i gesti salvifici. Il Signore vi consente la profanazione. Musulmani a guardia del Santo Sepolcro, sembra per moderare i conflitti tra cattolici e greci che vi celebrano i riti. Il Cenacolo in possesso degli eredi di Maometto. Come per ogni conquista umana, la fede, dono e conquista quanto mai proficua, deve superare la prova, e le è dato di superarla estraendo l’oro dalla materia vile.

E come fuori della capitale certe località, in qualche modo sussistenti, corrispondono ai nomi della genealogia di Gesù uomo, riferita da Matteo, così alcune di esse e diverse evocano i suoi atti.

Ecco Gerico, antica città testimoniata dagli scavi archeologici, centro di equivoci ritrovi, le cui mura furono abbattute dal suono delle trombe d’argento, ricostruita da ebrei, romani e crociati, città di profeti e simbolo della Terra promessa, infine occasione per la parabola del Buon Samaritano e per il miracolo della vista ridata al cieco. Ecco il Giordano, fiume vero – tra gli altri rivi famosi, ma esigui – corso d’acque prodigiosamente, epicamente attraversato dall’esercito di Giosuè, che eseguì il comando divino, e nelle cui acque Gesù ricevette il battesimo. Nel deserto, al sorgere: “la solitudine è ferita solo dallo squillo del cielo azzurrissimo in cui è apparso il sole”. Ma sono rari i passi estetizzanti. Il deserto, coi suoi nomadi, le tende, i cammelli viene incontro alle attese, alle immagini canoniche.

Ricordo del Patriarca latino di Gerusalemme che, la vigilia di Natale, si reca a Betlemme in corteo paludato: una parata in onore della Nascita divina; la quale processione, come ogni pompa di tal genere, significa un dono, anche un sacrificio, che, racconta l’autore, lo edificò, ma scandalizzò i protestanti.

I francescani erano l’ordine maggiormente destinato a presidiare i posti ove si diedero gli avvenimenti della vita del Redentore. E a Betlemme si colloca il presepio inaugurato da San Francesco. Se è normale che i Magi se ne siano andati, e anche i pastori adoranti siano scomparsi, nessuna meraviglia che agli estranei giudei si siano sostituiti gli estranei fedeli di Maometto, le cui autorità tuttavia ricevono il Patriarca. Nessuna meraviglia se la basilica di Sant’Elena è in mano agli scismatici. Ma è meraviglia di indicibile commozione, la sottostante Grotta della Natività, aperta ai visitatori.

Il giro continua a Betania patria di Lazzaro, Marta e Maria Maddalena. Perduta, la chiesa coprente le loro mura domestiche, costruita ugualmente a cura della zelante moglie di Costantino. E i commenti alle testimonianze degli evangelisti si moltiplicano sulla miseria del villaggio. Facendo tabula rasa delle memorie, esso induce al rimpianto della vera amicizia, divenuta oscura, quando ancora esista sulla terra, ed espressa in modo tanto esemplare dall’umanità di Gesù. Nel segno dell’amicizia, egli operò uno dei miracoli più stupefacenti, riportando quaggiù un trapassato nell’aldilà. Una memoria tangibile perdura sotterra: la tomba di Lazzaro in uno scavo nella roccia.

Dal Natale alla Pasqua. Idea dell’alba in cui fu dato l’annuncio della Risurrezione. “Non più un’ora che passa, ma un’ora che resta permanentemente sospesa sul mondo e sugli spiriti, come un punto di orientamento e salute”. Le genti convenute in pellegrinaggio: “tutti fratelli nella Risurrezione”: possibilità largita ad ogni uomo, anche a quelli che non ne approfittano.

Seguono le andate sui monti; le fonti sparse ovunque, famose seppure minuscole o asciutte. Serenità di Ain Karem, ora luogo di villeggiatura, dove abitarono Zaccaria sacerdote e sua moglie Elisabetta, dove la Vergine incinta venne a trovare la cugina già anziana, dopo aver sostenuto la fatica di un lungo viaggio. Dal paese ameno, il Battista andò nel deserto, rude penitente, annunciatore del Messia, senza peli sulla lingua. Ed è grazia del Cielo che, nel paese eredità dei fieri califfi, si trovino altri santuari: della Visitazione e della nascita di San Giovanni.

A Emmaus, l’incontro dei due discepoli con Gesù risorto viene intensificato da un ulteriore edificio pel Sacrificio dell’altare, eretto sulle pietre della dimora di Cleofa, padre dell’altro discepolo. “Prima, i due pellegrini incerti e sgomenti per il fallimento delle profezie, per la delusione patita […] Poi, i primi barlumi che intervengono nei loro cuori sotto la spiegazione che egli dà di Mosè e dei profeti […] poi la gioia completa di Emmaus. Sicché, se la strada di Emmaus segna il momento di buio interiore in cui certi spiriti posson trovarsi, Emmaus è il ritrovamento della luce”.

In Galilea. Il monte Tabor, isolato, domina la piana, abbraccia la regione. Sulle pendici alligna ancora la vite; sulla cima pianeggiante, cinta da mura: fiori, orti, luce, aria fresca attorno alla Basilica della Trasfigurazione. E mentalmente si sale dal monte terreno, dai terreni apostoli, al Padre celeste, attraverso la Trasfigurazione.

A Nazaret giunge la serenità dell’Annuncio a Maria, in mezzo a 5500 abitanti cristiani e 2500 musulmani.. A Séforis, villaggio islamico con alla sommità un convento di suore, nacque la Madonna. Su Cana è scesa la povertà e l’aridità. “Bello, a Cana, leggere il Vangelo delle nozze, com’è narrato da Giovanni al capo secondo; il libro che più parla di nozze”. Proprio lì, l’initium signorum, il primo segno della Vita divina.

Giungendo al “lago di Gesù”, “che Gesù tanto amò” si ha l’illusione di scorgerne la barca, la barca di Pietro. Soltanto Tiberiade vive di tremila musulmani e seimila ebrei, “che vi passeggiano da padroni e han fede che in questa loro città, o a Safed sui monti vicini, dovrà nascere il Messia, che poi salirà a Gerusalemme a conquistarla con un colpo di mano”. I cattolici sono pochissimi. “Ma, Signore, non sono questi i luoghi della Redenzione? E dove sono i redenti?” “E il pellegrino volta le spalle alla città, col cuore che tutto gli duole”. Sulle rive, da cui i pescatori staccano le barche a vela andando alla pesca, le belle Magdala, Betsaida, Cafarnao, Corazin adesso sono cose piccole e squallide, o brani di muri rasi al suolo e invasi dai rovi. Invece i monti rimangono. Sullo sfondo, grandeggia il maestoso Hermon, “la montagna che non è come le altre”, dal cui nevaio prende origine il Giordano. Il fiume scende nobilmente a gettarsi nel lago. Tutto ciò appare dalla collinetta detta Monte delle Beatitudini: “il nuovo Sinai senza più lampi né tuoni; il monte sul quale la legge venne allargata e innalzata e ogni disumano fu tolto”. Il sito “è terreno tutto italiano, comperato dal nostro Governo per i buoni uffici del senator Schiapparelli”. “Le Suore francescane che vi hanno aperto un ospizio, stanno lì a custodire la fedeltà alle Beatitudini”.

L’itinerario è compiuto, si ricade su Gerusalemme, sulle sante vestigia oggetti della fede da conservare e, possibilmente, da ricuperare. Esse sono simboli di spiritualità, di civiltà spirituale. Inutile soffermarsi sulle somiglianze e sulle diversità tra la Terrasanta attuale e Quella della Scrittura e della Tradizione. “Di te non rimarrà pietra su pietra” Gesù predisse a Gerusalemme. La meta ultima e ideale del pellegrinaggio è Roma. Si avrà riposo soltanto sulla “pietra di Pietro”, “presso il Cristo che s’è fatto romano”.

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