“Mi pare una grande trascuratezza non studiare assolutamente quanto crediamo di capire”. In questa frase di Sant’Anselmo, utilizzata sovente dallo storico e poeta svizzero Gonzague de Reynold (1880-1970), si esorta a cercare di comprendere meglio quello che presumiamo di aver capito in modo completo. Nella sua ricerca storica, lo scrittore nativo di Friburgo (purtroppo ingiustamente poco conosciuto in Italia) ci pone l’immagine della forza della storia come un fiume, evocando dinanzi alla nostra mente stupendi parallelismi geografici, che richiamano i paesaggi elvetici a lui cari: “Il fiume sgorga da una sorgente ai piedi di un ghiacciaio. Attraverso i ciottoli, i pezzi di ghiaccio e le lastre di neve indurita, comincia a dividersi in un ruscellamento di fili d’acqua…Subito si gonfia in un torrente che cade di cascata in cascata…la sua caduta forma un piccolo lago nel quale le sue acque si calmano. Il fiume scivola obliquamente in mezzo ai pascoli fino nella valle sempre più larga … e va così, largo e limpido, di città in città, di popolo in popolo, va a gettarsi nel mare. Il fiume può scomparire sottoterra…può rallentare e disperdersi nelle paludi…può improvvisamente andare in collera, inondare città e campagne…lo si vede sempre rientrare nel suo letto. Dalla sua sorgente alla sua foce, malgrado tutti gli ostacoli, segue una direzione costante. È uno”. 

Che cosa voleva indicarci con questa affascinante metafora del fiume? La forza della corrente straordinaria della storia che, come il fiume, “si impadronisce del passato, spinge il passato sul presente e li spinge entrambi nel futuro”. Di se stesso scrisse: “Sono stato preso a lungo per un uomo del passato, un reazionario. Non si è mai immaginato un momento che il richiamo al passato poteva essere una nostalgia dell’avvenire”

Guardando la storia attraverso la contemplazione del creato, Gonzague de Reynold offriva similitudine poetiche dense di significato: “L’albero può perdere impunemente le foglie e persino i suoi rami maestri e, ancora, il suo tronco può essere abbattuto dalla folgore e raso al suolo: ma, se sotto le radici sono profonde e sane, se arrivano ancora ad attingere la loro linfa fin nelle ossa sacre dei morti, allora l’albero ricrescerà”. Con quest’altra limpida immagine, il cattolico de Reynold, insignito del Gran Premio Schiller nel 1955, invitava tutti noi a chiederci che cosa avevano amato e cercato gli uomini del nostro passato e sollecitava tutti noi ad interrogarci cosa dovevamo noi a loro, oggi. 

Da umile e grande poeta, voleva far comprendere la storia con la virtù della pietà: “La pietà che ci insegna la storia corona e illumina la giustizia che dobbiamo ai morti con la gratitudine, il rispetto e l’amore”. Gonzague de Reynold ci stimola così ad osservare e studiare quanto crediamo di aver capito alla scuola della bellezza del creato, con tutti i suoi particolari apparentemente insignificanti e monotoni come i ruscelli, gli alberi, le valli, riprendendo così quanto scritto nel libro della Genesi: “Dio vide che era cosa buona”. In questo modo, secondo Gonzague de Reynold, potremo gustare nella geografia del nostro Paese (come lui fece nella sua amata Svizzera) la storia e quella corrente spirituale che la anima, la presenza provvidenziale di Dio: “Si sente passare nella notte una corrente potente che, qui e là, fa brillare lumi perché non ci perdiamo tutti nelle tenebre, perché ritroviamo il nostro cammino e seguiamo la direzione giusta. Una corrente spirituale che viene da Dio e ritorna a Dio, dopo aver attraversato la vita umana, la vita delle nazioni, e dei secoli, e il tempo”.

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