Dal cappello del laicismo magico
di Piero Vassallo
Coluccio Salutati
Secondo la sentinella ultramoderna Umberto Galimberti, all’umanesimo laico – illuminata dottrina, discesa dalla sentenza di Protagora, secondo cui l’uomo è misura di tutte le cose – si opporrebbe solamente il sacro, ossia la dottrina oscurantista, che afferma la trascendenza di Dio, creatore e signore dell’universo.
Il ruggente Galimberti è la punta avanzata della scolastica costituita in alto per svolgere un programma finalizzato a convincere italiani eterodiretti e/o televisionari che la Sapienza illumina solamente i panteisti, dunque che tutti gli Intelligenti hanno incubato e incubano Pensieri avversi alla verità cattolica.
Privi di vera intelligenza e perciò espulsi dal libro d’oro della Cultura con decreto irrevocabile sono unicamente i pensatori cattolici, in special modo San Tommaso d’Aquino e i suoi interpreti e continuatori.
Intelligenti per ovvio statuto sono invece i precursori di Emanuele Severino, l’Aristotele sul palcoscenico deragliante nelle perpetue superstizioni.
Orbati di Kant e di Hegel, gli umanisti ultramoderni espongono sul panno verde i maghi che avviarono lo scisma della cosa pensante: Cosimo e Lorenzo de’ Medici, Gemisto Pletone, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Cornelio Agrippa, Paracelso, Cardano, Della Rivera e il sommo Giordano Bruno.
Intelligenti sotto copertura sarebbero invece Dante, Petrarca, Boccaccio, Coluccio Salutati, e gli altri autori giudicati propedeutici al rinascimento. Con acrobatica sentenza, la Volgata li appiattisce sulla figura di un soggiacente laicismo (antiaristotelico, antitomista, anticattolico) scoperto per magia fra le contrarie righe delle loro opere.
I banditori del Petrarca (1304-1374) iscritto a un invisibile partito laicista, cripto pagano e moderno, ad esempio, dimenticano le dichiarate ragioni della contrarietà all’aristotelismo: “Ma sei tu, mio Dio, signore di ogni sapere, al di fuori del quale non esiste altro, che io debbo e voglio anteporre ad Aristotele, a qualsiasi filosofo e poeta, a quanti si affannano a imbastire discorsi magniloquenti e ne menano vanto, alle lettere e alla cultura insomma a ogni cosa”(cfr.: “De sui ipsius et multorum ignorantia”, in “Opere latine”, a cura di Antonietta Bufano, vol. II, Utet, Torino 1975, pag. 1047).
La lettura di Cicerone, di Virgilio e di Seneca, fece crescere in Petrarca l’amore della virtù, il rispetto della legge naturale e il culto della magnificenza. Ma da Sant’Agostino Petrarca imparò che la grazia divina è indispensabile agli uomini che, in obbedienza alla legge naturale, intendono percorrere la via della nobiltà: “Lex data ut gratia quaereretur, gratia data est ut lex impleretur”.
Petrarca coniugò la ragionevole stima dei classici con la consapevolezza dei limiti da assegnare alla letteratura, che, scrive nel “De sui ipsius et multorum ignorantia”, separata dalla sapienza cristiana rende tronfi e ridicoli. La sua rivendicazione dei classici è perfettamente indenne dalla fatua passione per il paganesimo, che infiammerà gli intellettuali fiorentini del XV secolo.
Analoga la manipolazione di Coluccio Salutati (1331-1406), ammiratore e corrispondente di Francesco Petrarca. Il prof. Roberto Cardini, ad esempio, sostiene che Salutati “non ha certamente inventato l’Umanesimo, e tuttavia fu lui a trasferire a Firenze la rivoluzione intellettuale avviata da Petrarca, a modificarla in profondità e a svilupparla: la trasformò da fatto letterario in ideologia civile e politica, la legò organicamente e indissolubilmente a Firenze … innestò l’ellenismo nel ceppo esclusivamente latino dell’Umanesimo con ciò completando la rivoluzione petrarchesca”. (Cfr. Premessa al Convegno, in “Le radici umanistiche dell’Europa Coluccio Salutati cancelliere e politico”, edizioni Polistampa, Firenze 2012).
Cardini, sorvolando sul fatto che Salutati non conosceva il greco, si spinge al punto di proporre il suo accesso di Salutati “al Pantheon dei santi laici italiani” che hanno dato un rilevante contributo alla comune cultura europea.
Ancora un piccolo passo avanti e Salutati diventerebbe un precursore di Altero Spinelli, Mario Monti e Mario Draghi. Inverosimile precursore, dal momento che il vero Salutati concepì il progetto di una federazione italiana legata al Papato “tamquam membra cum capite”: il perfetto contrario dell’Europa delle disgrazie venerate dai banditori della filosofia neopagana e dal loro codazzo di maghi, massoni, liberali, tanatofili, cucchiai d’oro, strozzini, pederasti, pornografi, tossicodipendenti e spogliarelliste.
D’altra parte Daniela De Rosa, autorevole docente dell’Università di Cassino, studiosa seria e puntualmente documentata, dimostra la perfetta estraneità del Salutati (lontananza temporale, prima di tutto) alla rivoluzione neopagana avviata in Firenze da un mago filosofante, l’eretico bizantino Giorgio Gemisto Pletone (1355-1452) il fondatore della fumosa scuola di Mistra.
Irriducibile all’umanesimo cristiano, l’umanesimo neopagano, infatti, approdò in Italia con Pletone durante il Concilio di Ferrara e Firenze (1438-1439), quando Salutati era morto da quarantadue anni.
Pletone, quasi rinnovando il disgraziato progetto di Giuliano l’Apostata, diffuse fra gli intellettuali italiani del Quattrocento quella passione fanatica per l’ellenismo spurio (il Platone esoterico, Plotino, Porfirio, Proclo, Giamblico, Psello) che rovesciò l’ordine dei princìpi di ragione stabilito da Sant’Agostino e da San Tommaso d’Aquino (e condiviso da Petrarca e da Salutati).
Con piena ragione De Tejada affermava che “L’orazione di Gemisto al Dio Unico [sintesi del falso ecumenismo trionfante nel Quattrocento fiorentino] è un inno pagano, che annuncia la trasformazione dell’Umanesimo cristiano nell’Umanesimo panteistico”. (Cfr.: “Liberalismo, totalitarismo, tradizionalismo”, in “Traditio”, Genova giugno 1978, pag. 12).
Opportunamente Daniela De Rosa ristabilisce la verità intorno alla genuina fede cattolica che indusse Salutati a sostenere, contro gli scismatici cardinali francesi, che sostenevano l’antipapa Clemente VII, le ragioni di Urbano VI, il papa italiano che regnò dal 1378 al 1389.
Quale prova della lealtà cattolica di Salutati, De Rosa cita un brano degli Annali ecclesiastici, in cui un continuatore del Baronio, l’oratoriano Olderico Rinaldi, riconosceva al cancelliere fiorentino il merito di aver strenuamente difeso Urbano VI contro gli scismatici di Avignone: “pio ardore maxima orbis Christiani pars schismaticos execrata est, Florentinorumque nomine Collutius Pierus Florentiae reipublicae scrinii praefectus dum antipapa creabatur, perduellium impostura detexit, Urbanique veri pontificis assuerit dignitatem” (“Le radici umanistiche dell’Europa Coluccio Salutati cancelliere e politico”, op. cit. pag. 233).
Urbano VI fu un papa tosto, che applicava la giustizia con inflessibile rigore: una personalità lontana dalla figura dell’ecumenista indifferente alla verità disegnata dai discepoli di Pletone e di Ficino.
La chiacchiera laica continuerà imperterrita ma la fede cattolica di Salutati è fuori discussione. De Rosa sostiene addirittura che la fede di Salutati oscurò la passione per lettere: “Per Coluccio, che ormai considerava l’esperienza umana soprattutto alla luce della fede, fin quasi a mettere in discussione, come ha mostrato Ronald Witt in un recente libro, il suo stesso umanesimo, si trattava della salvezza eterna propria e della moltitudo fidelium, a nome della quale si era assunto il compito di parlare, dall’alto del suo magistero culturale” (Le radici umanistiche dell’Europa, Coluccio Salutati cancelliere e politico, op. cit., pag. 237)