di Piero Vassallo
Negli anni del secondo dopoguerra circolavano festose e incrollabili convinzioni intorno all’imminente, universale trionfo del socialismo scientifico.
Sul pensiero sovietico i festanti ammiratori vedevano scendere le abbaglianti luci della sapienza liberatrice e della giustizia ultima e invincibile. Sotto il ritratto del piccolo padre Stalin folle di fedeli pii e stupefatti accendevano rosse e benaugurati candele.
Gli scettici e gli indifferenti si erano intanto rifugiati in circoli cauti e riservati, nei quali ferveva un’attività intesa a ritardare l’avvenimento fatale.
Specchi dell’arrendevolezza occidentale, quei circoli sfoggiavano un titolo fabiano, per richiamare alla memoria il temporeggiatore Fabio Massimo e il suo impegno nel gioco al rinvio dell’inevitabile.
Nel margine cattolico la sacra (ma non santa) paura faceva circolare un’untuosa convinzione intorno alla necessità impellente del compromesso ecumenico con i sovietici, vincitori designati dalla Storia ideale ed eterna.
Irriso e respinto dietro la lavagna dei bocciati, il cardinale Giuseppe Siri osò sostenere, in perfetta solitudine, che nel sole dell’avvenire si vedeva una macchia nera, stampata dalla occulta sopravvenienza della gnosi arcaica.
Intorno al giudizio dell’irriverente e deviazionista cardinale la musica delle cacavelle e dei putipù scatenò la danza dei riderellari sapienti e perpetui.
Se non che puntigliosi lettori di pagine insospettabili cominciarono a scoprire le tracce di una diffusa inclinazione a nascondere, sotto i panni della scienza progressiva, mitologie, magie e alchimie risalenti da antiche e fumose superstizioni.
Max Horkheimer e Theodor Wiesengrund Adorno intanto riducevano l’illuminismo al lumicino d’una sgangherata e malefica dialettica.
All’inizio degli anni Sessanta, la casa editrice laica Nuova Italia, ripropose (imprudentemente) il testo di un attendibile e geniale discepolo di Hegel, Karl Rosenkranz, il quale affermava con candore che la filosofia idealista era in larga misura dipendente dall’insensata eresia gnostica.
Timidamente la micidiale e scandalosa notizia cominciò a circolare nel margine tradizionalista tenuto sotto schiaffo ma in grado di ridere del paradosso antichista, strisciante nel futuro dell’ateismo.
Nella inossidabile casa editrice Einaudi all’improvviso si consumò una scissione: la scoperta di influssi gnostici nella religione del progresso eccitò e scatenò l’entusiasmo metafisico delle avanguardie eccentriche, che erano parcheggiate nella stamperia comunista.
Dall’incontrollata cupidigia di metafisiche stranezze fu avviata la società editrice Adelphi, ricettacolo delle antichissime superstizioni e dei feroci deliri, che avevano nutrito i paganesimi, le eresie e, ultimamente, le burocrazie rivoluzionarie.
Gli scolastici passatisti, in precipitosa fuga dal futuro a sinistra, rammentarono che, negli anni Trenta, Walter Benjamin, deluso dalle sanguinarie conquiste di Stalin, trovò rifugio nella dottrina gnostica, che annunciava la disfatta del Creato e il rovesciamento della speranza rivoluzionaria nello zero metafisico e nelle sue dolenti e oscene consolazioni.
Cardine della svolta di Benjamin fu la dottrina di Marcione Pontico, banditore teologico di una guerra al creato combattuta da sodomiti e assassini.
Disintegrata dalla svolta di Benjamin, la parola Progresso circola imperterrita nel vocabolario dei trasformisti, che hanno deportato l’ideologia comunista nei giardini della borghesia confusa ed estenuata.
D’ora in avanti la parola Progresso si pronuncia con l’erre moscia. Il pensiero delle avanguardie postmoderne avanza nella dimensione altra, dove si obbedisce ai profondi e segreti comandi dell’involuzione.
Un ampio e ragionato catalogo dei pensieri d’antiquariato, festanti sulle cattedre della scolastica già progressista, è ora proposto dall’editrice Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe. Titolo del volume “Continuità della gnosi nella modernità Atti del terzo convegno di studi sull’opera di Ennio Innocenti” (www.fraternitasaurigarum.it).
Ennio Innocenti, lo rammenta Luigi Copertino nella sua puntuale relazione, ha demistificato il progressismo, dimostrando la sua sotterranea dipendenza dall’empia follia dell’eritis sicut Dei: “proclamare l’avvento di una nuova era comporta l’affermazione del disvalore del mondo gratuitamente dato, del mondo in quanto creazione non dipendente dalla volontà umana. Affermazione della negatività del mondo congiunta alla pretesa di sostituire la realtà mondana con l’altra elaborata di sana pianta dall’uomo, che dunque se ne proclama alla fine creatore”. E’ in tal modo svelata la radice mitologica e insensata delle filosofie in marcia sotto il raggiante vessillo della Dea Ragione.
Giovanni Cogliando, autore di una acuta relazione sul rapporto tra Qabballah e gnosi spuria, dimostra l’avvenuta, perfetta inversione dell’ottimismo progressista: “una teologia dell’anarchia ha steso la sua influenza sul novecento politico e filosofico. … il metodo del nichilismo è da contemplare fino in fondo, in quelle che sono le sue conseguenze sul dominio della vita, che si espande fino a livelli inimmaginabili un secolo fa. Il messianismo antinomico ha portato al dissolvimento alla possibilità di pensare la redenzione. … La persona è stata declassata a centro di pulsioni individuali, facilmente ordinabili come un caos da cui trarre fuori le forme che sono più funzionali al potere”.
Sagace continuatore dell’opera di Cornelio Fabro, padre Christian Ferraro scende nelle profondità della filosofia hegeliana e ne rivela la dipendenza dalla teoria gnostica intorno all’origine del mondo dall’indeterminato: “Il cominciamento è il puro essere, senza alcuna determinazione, non quell’essere o quell’altro essere, ma l’essere e basta, l’essere vuoto. Il problema è che l’essere vuoto, senz’alcuna determinazione, è ineffabile: appena volessimo dire qualcosa riguardo a questo essere l’avremmo cancellato in quanto essere vuoto e indeterminato perché ogni dire sarebbe una determinazione e non si riferirebbe più al puro essere. Privo di ogni determinazione, l’essere si mostra dunque massimamente vuoto e massimamente indeterminato. Ma ciò che è massimamente vuoto e indeterminato è nulla. Pertanto, conclude Hegel, il puro Essere e il puro nulla sono dunque lo stesso”.
Di conseguenza svaniscono i presupposti della dialettica qualitativa, ossia “le tensioni di creatura e Creatore, uomo e società, tempo ed eternità, finito e Infinito e, sopra tutto, quelle più autenticamente qualitative di vero e falso, di bene e male“. In parole povere: l’indifferentismo religioso e l’immoralismo, che hanno espugnato la scena culturale contemporanea, dipendono dalla suggestione gnostica soggiacente alla filosofia di Hegel e al suo disumanizzante prolungamento nel marxismo-leninismo. La legalizzazione delle turpi leggi abortiste, eutanasiste e libertine, sono concepibili soltanto nell’orizzonte fumoso, disegnato da una filosofia del diritto che disconosce la dialettica del bene e del male.
Intrigante è infine la relazione di Valentino Cecchetti sull’infiltrazione di influssi esoterici nell’ideologia labirintica concepita da Adriano Olivetti. Le scorribande olivettiane nelle praterie iniziatiche, dove fiorisce l’avversione mistica alle attività produttive, sono anticipazioni della metamorfosi magico-finanziaria dell’economia e profezie della speculazione pura, che impoverisce e soffoca produttori e consumatori.
Nell’accorata conclusione, Ennio Innocenti afferma che la Chiesa Cattolica, “diffusa in tutto il mondo, con forze umane e risorse spirituali invidiabili, con un apparato culturale che raggiunge tutti i ceti sarebbe la base per un contrasto efficace. Occorrerebbe, però, come primo passo, che le sue duemila istituzioni universitarie rimettessero in onore la metafisica senza prescindere da quella tomista”.
L’alluvione gnostica nel moderno ha infatti alterato la ragione occidentale: senza il ricorso al medicina tomista quale antidoto al delirio dei teologi modernizzanti, la restaurazione della metafisica e la riaffermazione delle vera fede rimangono traguardi irraggiungibili.