CORSO DI ESCATOLOGIA
Immortalità e Resurrezione
di P. Giovanni Cavalcoli, OP
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per leggere il primo capitolo: “La morte e l’immortalità dell’anima”, CLICCA QUI
Continuando il nostro piccolo corso di escatologia, fermiamoci ancora questa volta sul tema dell’immortalità dell’anima, ma non più in relazione al problema della morte, bensì in rapporto alla resurrezione del corpo, secondo la visione cattolica.
In questi ultimi decenni la discussione sul dogma cristiano della resurrezione – resurrezione di Cristo e resurrezione nostra – è stato molto ricca, con forte impegno ecumenico, col sorgere di vedute più approfondite, ma anche di concezioni erronee. Naturalmente non è possibile, nello spazio di questo breve articolo, accennare anche brevemente a tutti questi dati, peraltro molto interessanti.
Fermiamoci innanzitutto sulle espressioni linguistiche. Si parla, tradizionalmente, di resurrezione della carne, resurrezione dei morti o dai morti o anche semplicemente di resurrezione. L’espressione più esatta e più chiara mi sembra quella che ho usata all’inizio: resurrezione del corpo. Il Beato Giovanni Paolo II, nelle catechesi che tenne negli anni ’80, ricordò il fatto preciso della resurrezione: alla fine del mondo ed all’avvento finale di Cristo (parusia), le anime, attualmente separate dal loro corpo, riassumeranno il loro corpo, maschile per quanto riguarda i maschi, femminile per quanto riguarda le femmine.
Un nuovo squarcio di luce sulla condizione dei corpi risorti ci è stato dato dagli insegnamenti del Beato Giovanni Paolo II circa il fatto che non solo il corpo maschile ma anche quello femminile sarà presente nella risurrezione. Ciò può sembrare oggi ovvio a molti, tanto da suscitare il sorriso, ma in realtà questa chiarificazione ha dovuto vincere il radicato e ben noto pregiudizio, presente per lunghi secoli anche nella teologia cattolica, secondo il quale la donna è un essere inferiore, difettoso, tentatore ed incompleto rispetto al maschio, da qui la difficoltà di ammettere il corpo femminile nella risurrezione dove tutto evidentemente dev’essere perfetto.
E’ vero che questa consapevolezza in fondo è sempre stata implicita nella Chiesa sin dagli inizi – si pensi solo al dogma dell’Assunta -; tuttavia in passato esisteva una specie di diastasi tra la Madonna nella sua celeste sublimità e la donna nelle basse condizioni di questo mondo, per cui non era facile legare questa femminilità alla femminilità di Maria, che sembrava in qualche modo trascendere le condizioni della femminilità, sempre vista come un difetto, mentre chiaramente Maria, essendo vista come creatura perfettissima, con difficoltà era vista anche come donna.
Altri forse, attirati da una forte istanza spiritualistica, potranno restare perplessi nell’immaginare la presenza dei sessi nella risurrezione e saranno forse portati ad ironizzare sul paradiso di Maometto. Infatti – potranno forse chiedersi – che senso hanno i sessi in una condizione di vita celeste dove non ci sarà più la generazione? La risposta – che meriterebbe di essere approfondita – ce l’ha data lo stesso Pontefice spiegandoci, nel suo commento a Gn 2, che l’unione dell’uomo con la donna non serve solo alla generazione ma alla realizzazione della pienezza dell’umano come tale. Riguarda, come dice Wojtyla, “l’ordine dell’esistenza”(1).
Il Concilio Lateranense IV insegna che risorgeremo con il corpo che abbiamo adesso, ossia è questo nostro corpo, questo corpo che ha creato Dio, che risorgerà; come è avvenuto per Cristo: il suo corpo è risorto dalla tomba. Ovviamente si tratta del nostro corpo in se stesso, così come è stato voluto e creato da Dio, non del nostro corpo nelle attuali condizioni di mortalità, perché ciò vorrebbe dire morire un’altra volta, come è avvenuto per la risurrezione di Lazzaro. Viceversa il corpo risorto è un corpo glorioso ed immortale, le cui fattezze difficilmente ci sono immaginabili nella vita di quaggiù.
Si noti bene che la prospettiva di riprendere il nostro corpo esclude la dottrina della reincarnazione, che ignora quella che è l’unità psicofisica dell’individuo umano, per la quale a quel dato corpo non può che corrispondere quella data anima e viceversa.
Da notare inoltre, che secondo la Rivelazione cristiana, tutti risorgeranno in questo modo, tanto i beati che i dannati: i primi aumenteranno la loro beatitudine, che in qualche modo si estenderà al corpo; i secondi, la loro pena, che pure si estenderà al corpo. Questo evento è annunciato da Cristo stesso: “Verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del figlio dell’uomo e ne usciranno: quanti fecero il bene per una resurrezione di vita e quanti fecero il male per una resurrezione di condanna (Gv 5, 28-29).
Nella visione cristiana esiste però una concezione della resurrezione più ampia e più profonda, che non esclude la prima, ma che le si sovrappone: la resurrezione dell’anima dal peccato grazie al battesimo. Ovviamente l’anima in se stessa, ontologicamente, è immortale, come abbiamo visto nella lezione precedente. L’anima risorge spiritualmente dal peccato mortale, si libera dalla dannazione conseguente al peccato originale, per riacquistare la vita divina perduta col peccato.
E’ questa la concezione di S.Paolo. In questo senso, il cristiano può e deve cominciare a risorgere sin da adesso, con l’esercizio delle opere buone in grazia. Sotto questo punto di vista la risurrezione del cristiano è in certo senso, almeno spiritualmente, già avvenuta. In questo senso l’Apostolo può dire: “Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove siede Cristo alla destra del Padre”(Col 3,1). Tuttavia Paolo si premura di confutare coloro che ritengono che la resurrezione sia già avvenuta, nella falsa convinzione che la vita nuova predicata dal Vangelo non si riferisca ad un futuro nell’oltretomba, ma ad un futuro o a un presente (cf II Tm 2,18) di questo mondo.
C’è tuttavia da pensare, e la storia dei santi ne è testimone, che la vita di grazia conceda in qualche modo anche al corpo di alcuni privilegiati, sin da quaggiù, un nuovo vigore, una nuova bellezza, una nuova giovinezza, prefigurazione e pregustazione della beata risurrezione del paradiso. La spiritualità orientale è particolarmente sensibile a questo aspetto della vita fisica cristiana, parlando della cosiddetta “luce taborica”, pensiamo a S.Serafino di Sarov, luce in qualche modo fisica, splendente in pienezza al momento della Trasfigurazione di Cristo, ma presente a volte per partecipazione anche nel corpo dei santi sin da questa vita, quasi preludio e caparra della vita futura.
Ciò è anche testimoniato dalle incredibili imprese, fatiche, privazioni e sofferenze alle quali sanno sottoporsi certi santi, segno evidente, questo, della prodigiosa forza e vitalità fisica di un corpo che sa resistere in condizioni assolutamente proibitive per un altro corpo non dotato di questa anticipata risurrezione. Si pensi anche alle salme incorrotte di certi santi, anche dopo secoli e che emanano profumo a poca distanza dalla morte.
Alcuni teologi, di recente, seguendo un indirizzo protestante, hanno sostenuto che la Scrittura non insegna l’immortalità dell’anima ma la resurrezione. Che dire di questa interpretazione? Occorre chiarire. C’è chi ha inteso dire che l’ideale cristiano non è quello platonico di un’anima di per sé immortale, preesistente al corpo, pura e divina, che aspira ad abbandonare il corpo, fonte di illusione e di cattive azioni, ostacolo alla libertà spirituale ed alla visione della verità divina: l’ideale cristiano è invece sì quello della visione della divina verità dopo la separazione dal corpo conseguente alla morte, ma con l’ulteriore prospettiva e speranza del ritorno alla vita del proprio corpo al momento della parusia.
In questo senso non possiamo che essere d’accordo con questa tesi. Ma c’è anche chi, incredulo circa l’immortalità dell’anima, e quindi la separabilità dell’anima dal corpo con la morte, ha pensato che la Scrittura insegna o una risurrezione dell’anima e del corpo assieme subito dopo la morte o “nella morte stessa”(Rahner), ovvero che la “resurrezione” non sia un fatto ultraterreno, in un altro mondo, ma un fatto di questo mondo, di un futuro meramente immanente, storico e mondano e che quindi si tratti semplicemente di una vita umana dignitosa che fruisce dei beni della giustizia e della pace (Gustavo Gutiérrez, Albert Nolan), sia pure nel segno della vita di grazia.
La verità del dogma della resurrezione suppone invece l’immortalità dell’anima, definita dal concilio Lateranense V nel 1513 e la permanenza delle anime separate in uno stato di attesa della parusia, simile a quella che viviamo noi su questa terra, con la differenza che l’attesa delle anime beate è da intendersi alquanto più agevole di quanto non sia per noi, immersi come siamo nelle noie, nelle lungaggini e nelle tergiversazioni della vita presente. Questa attesa delle anime è chiaramente insegnata nel dogma della visione beatifica definito da Benedetto XII nel 1336 e dalla nostra stessa professione di fede: et iterum venturus est, expecto resurrectionem mortuorum, fatti evidentemente posti nel futuro.
Infatti la Chiesa, sposa di Cristo, non è divisa in due direzioni di marcia verso la parusia: moto veloce (“alta velocità”), anzi incontro immediato col Risorto per le anime salve; lunga attesa (“treno regionale”) per noi di quaggiù. No, secondo l’insegnamento della Chiesa, chiaramente insinuato dalla Scrittura, è tutta la Chiesa, del cielo e della terra, che attende la futura risurrezione dei morti, e che è in cammino verso il Regno, a pari “velocità”, perché la Chiesa è un’unica mistica persona, è il corpo di Cristo.
La differenza sta solo nel fatto che mentre la durata delle anime separate, durata meramente spirituale, è detta “eviternità”(aeviternitas), è una pura successione di atti spirituali (per esempio le preghiere dei santi o la purificazione delle anime del purgatorio) ed è certamente dolce perché inserita nella beatitudine o in preparazione della beatitudine, la durata del nostro vivere terreno, legato alle vicende ed alle traversie della materia, è la durata temporale, ed è certamente pesante, perché risente delle miserie del peccato.
Questo vuol dire che Cristo deve realmente venire e non è vero, come alcuni credono, che la parusia sia già avvenuta: resterebbe solo da prenderne coscienza, e questo sarebbe appunto l’atto delle anime dei trapassati. E’ chiaro che in Dio tutto è in atto e che Cristo è Dio, ma è anche uomo, e nella parusia abbiamo l’ultimo atto concreto e storico della sua umanità, umanità non astratta ma immersa nella storia e signora della storia. Se pensassimo diversamente, cadremmo in una forma di docetismo o monofisismo già più volte condannato come eretico dalla Chiesa sin dai primi secoli.
Questa idea pertanto non è per nulla conforme a quanto insegna la Chiesa sulla scorta della Scrittura. Cristo deve venire per l’intera Chiesa, la Chiesa conosce in certo modo un divenire storico anche nella sua dimensione celeste ed ultraterrena. Per questo l’intera Chiesa lo attende, come una innamorata attende l’innamorato, – pensiamo alla simbologia del Cantico dei Cantici – il quale, come dice al termine della Scrittura, la assicura con premura ed amore: “vengo presto!”.
Bologna, 5 settembre 2011
(1) Per un approfondimento di questi temi, mi permetto di segnalare il mio libro La coppia consacrata, Edizioni Vivere In, Monopoli (BA), 2008.