CRISI DEL MAGISTERO O CRISI NEL MAGISTERO? – di P.Giovanni Cavalcoli,OP

di P.Giovanni Cavalcoli,OP

 


Sappiamo, come cattolici, che il Magistero della Chiesa, sia esso ordinario o straordinario, come collegio dei Vescovi o anche singoli Vescovi in comunione col Successore di Pietro, è infallibile, ossia enuncia dottrine definitive ed irreformabili, quando si pronuncia sul dato della rivelazione divina, si tratti di verità di fede o di verità necessariamente connesse con la fede.

Così anche le dottrine dei Concili, compreso il Concilio Vaticano II, in materia di fede, non possono essere errate o mutare o smentire dottrine precedentemente definite, ossia sono infallibili. Possono semmai confermarle, farcele conoscere meglio, spiegarle, esplicitarle, svilupparle, ma sempre in continuità con le precedenti dottrine, soprattutto se si tratta di dogmi solennemente definiti. E’ solo sul piano della pastorale o delle direttive disciplinari che la Chiesa può essere fallibile e quindi mutare, abrogare o sconfessare un certo passato che si rivela dannoso o superato.magistero

Sappiamo viceversa come, nella storia della Chiesa, sono stati gli eretici e gli scismatici a negare o a mettere in dubbio questi dati, che invece per il cattolico sono indiscutibili e forniscono il criterio di discernimento e di valutazione per riconoscere e giudicare le posizioni di certi Vescovi o addirittura assemblee di Vescovi che si pronunciano in materia dottrinale scostandosi dai suddetti insegnamenti del Magistero.

Chi, in special modo e con accanimento, nei secoli passati, ha negato l’infallibilità del Magistero della Chiesa in particolare nell’interpretazione della Sacra Scrittura, negando valore nel contempo alla Tradizione apostolica come fonte, insieme con la Scrittura, della divina rivelazione, e rivendicando ad ogni semplice fedele la possibilità di conoscere infallibilmente la verità evangelica, come è noto è stato Lutero, la cui scuola è ancora viva nei suoi discepoli odierni, ora con toni meno aspri, ora invece con atteggiamento ancor più demolitore, a seconda delle correnti, notoriamente spesso in contrasto tra di loro.

Il dialogo ecumenico con i protestanti (prescindo qui da quello con gli ortodossi dissidenti orientali), avviato dal Concilio ormai da quarant’anni, ha dato certamente buoni frutti, nel senso di mitigare da ambo le parti polemiche eccessive, favorire una migliore conoscenza reciproca, eliminare vecchi errori interpretativi o inveterati equivoci, incentivare un atteggiamento di mutua carità, tolleranza e comprensione, avviare preghiere comuni e mutua collaborazione nel campo della giustizia e della pace.

Ma nel contempo, da parte di studiosi seri ed oggettivi, veramente amanti della Chiesa e pienamente fedeli alla sana dottrina, ben informati dei fatti, non mossi da spirito di parte, si rileva ormai da anni l’esistenza di un modo errato di praticare l’ecumenismo, infedele alle direttive del Magistero conciliare e postconciliare, un modo che spesso, anziché aiutare i fratelli separati ad avvicinarsi alla Chiesa cattolica nel riconoscimento dei loro errori, ha portato e porta certi cattolici a cadere nei detti errori, pur conservando eventualmente il nome di cattolico, quando non si dà un esplicito e cosciente abbandono della fede cattolica e della comunione ecclesiale.

C’è chi indubbiamente, pur professandosi “cattolico”, non essendo riuscito ad apprezzare le novità dottrinali del Vaticano II nella loro continuità col Magistero precedente, ha osato accusare il Concilio nientemeno che di “modernismo”, equivalente al termine “eresia”, senza trattenersi dall’accusare di abbandono della Tradizione apostolica nientemeno che i Papi del postconcilio, a partire dal Beato Giovanni XXIII, sino al Presente felicemente regnante. Inutile chiedersi come costoro e con quale diritto vogliano fregiarsi ancora del titolo di “cattolico”.

Ma si dà anche, nell’ambiente teologico, prelatizio ed episcopale, e qui i casi sono molto più numerosi e veramente scandalosi, chi, pur essendo rivestito di autorità, ma abusandone, si è permesso o si permette di interpretare le dottrine conciliari in modo sfacciatamente modernista, ponendole in rottura con quelle della Tradizione e del precedente Magistero della Chiesa e quindi in contrasto con l’interpretazione ufficiale e legittima proposta dalla S.Sede e dallo stesso Magistero postconciliare.

E ciò eventualmente in base ad una concezione modernistica del dogma e ad un’interpretazione del Concilio non come corpo di dottrine, alcune delle quali infallibili, ma come “evento” in un senso atematico, esistenzialistico e storicistico, fingendo un ossequio persino esagerato di questo “evento”, ma in realtà assumendo da esso, magari con’interpretazione sbagliata o faziosa, solo quegli elementi che garbano al proprio soggettivistico arbitrio, né più né meno come potrebbe fare un protestante liberale o un modernista dei tempi di S.Pio X.

Purtroppo un’impostazione del genere, rappresentata per esempio dal pensiero rahneriano, si è presto diffusa nei seminari e nelle istituzioni accademiche ecclesiastiche sin dall’immediato postconcilio, tanto da influenzare generazioni di sacerdoti e quindi di Vescovi. Un dato di fede particolarmente colpito da questa tendenza è precisamente l’idea del sacerdozio e quindi del Magistero della Chiesa, non più fedele al dogma cattolico, ma modellata sulla concezione del pastore protestante.

E’ sorto così un ambiente episcopale dubbioso, incerto e non ben fondato circa la propria stessa legittimità cattolica, quindi incapace di individuare in questo campo errori e deviazioni e di correggerli con pastorale sagacia e fermezza. “Perché tacciono? – si chiedeva S.Caterina da Siena – Perché comettono gli stessi peccati che dovrebbero correggere!”. Vescovi di questo genere come possono pretendere obbedienza dai fedeli – e come se la pretendono! -, se sono loro i primi ad allontanarsi dal Magistero della Chiesa e del Papa?

Vescovi dal cattivo comportamento morale, per la verità vengono segnalati, ma il problema è più grave: c’è chi devia dalla stessa retta fede e non se ne parla. Oppure ne parlano i lefevriani, ma purtroppo non sempre a proposito, quando dovrebbero essere i primi loro a chiedersi quanto loro stessi sono obbedienti alla Chiesa del postconcilio.

E’ chiaro che il comune fedele dev’essere assai prudente nel giudicare l’insegnamento di un Vescovo. Ma oggi gli errori sono talmente evidenti, che spesso non occorre una speciale preparazione teologica per scoprirli: basta attenersi agli insegnamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica, come ha esortato a fare di recente il Papa, insegnamenti che sono alla portata di tutti.

Per ora la S.Sede si astiene dal segnalare pubblicamente nome e cognome i prelati dissidenti o devianti; li sopporta, probabilmente li richiama in segreto, prega ed attende la loro resipiscenza. Gioca forse in questo atteggiamento il timore che intervenendo, possano scoppiare disordini. Oppure, dato che prelati del genere hanno un certo peso negli stessi ambienti vaticani, la S.Sede deve essere molto cauta nel muoversi. Se devo esprimere però un mio sommesso parere, credo che la situazione sia giunta ad un punto talmente grave, che tutto sommato sarebbe forse meglio, come si suol dire, “mettere le carte in tavola”, senza temere ricatti o ritorsioni. A volte occorrono gli interventi chirurgici.

Infatti anche fingere una concordia che non esiste rischia di aggravare la confusione e l’ipocrisia e di aumentare lo sconcerto dei fedeli. Se non rischio di fare della retorica, vorrei dire che stiamo vivendo tempi eroici, simili a quelli dei grandi dibattiti cristologici tra Vescovi nei primi secoli. Di fatto sono oggi tornate, tra l’altro, tutte le eresie cristologiche che erano state confutate dal Concilio di Calcedonia. Ho l’impressione che la franchezza di tali dibattiti potrebbe servire a cacciare l’errore e ad incoraggiare coloro che vogliono essere fedeli.

Dunque: crisi del Magistero o crisi nel Magistero? Per noi cattolici, non ci sono dubbi: il Magistero episcopale sotto la guida del Papa, nelle condizioni suddette, è infallibile. La crisi è in singoli Vescovi o episcopati, i quali del resto, per ravvedersi, non hanno che da riassumere vigorosamente le proprie responsabilità, come esorta a fare S.Giovanni all’inizio dell’Apocalisse nelle famose esortazioni “alle sette Chiese”.

La Chiesa, per quanto possa patire delle crisi, non la si corregge dal di fuori con espedienti meramente umani, furbeschi o falsamente spirituali, come hanno sempre preteso di fare presuntuosi, ambiziosi o squilibrati di ogni risma, scismatici, faziosi, fanatici, esaltati, pseudoprofeti, pseudomistici, ribelli, rivoluzionari, fondamentalisti, eretici e gnostici, ma essa stessa, per divino e indefettibile volere, ha in se stessa, grazie alla sapienza ed alla forza dello Spirito Santo ed alla pratica della carità e della  penitenza, il criterio e le energie necessarie e sufficienti per purificarsi, riformarsi, progredire e risplendere più bella di prima nel cammino inarrestabile, tormentato ma entusiasmante della storia verso l’incontro finale con lo Sposo.

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